I server ronzano ventiquattr’ore su ventiquattro. Migliaia di chip processano richieste, generano risposte, addestrano modelli. E dentro i data center che alimentano ChatGPT, Gemini e Claude, la temperatura sale costantemente. Per evitare il surriscaldamento, ci sono enormi impianti di raffreddamento che pompano acqua a tutte le ore. Tonnellate d’acqua. Nel frattempo, le centrali elettriche bruciano combustibili per tenere accese quelle macchine. L’impatto ambientale dell’AI è sempre più salato, ma quasi nessuno lo sta pagando e nessuno sembra preoccuparsene troppo.
Secondo nuove stime pubblicate sulla rivista Patterns, nel 2025 l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale ha raggiunto dimensioni comparabili a quelle di un’intera metropoli. Le emissioni di CO2 prodotte dai sistemi di AI quest’anno equivalgono a quelle di New York. Il consumo d’acqua? Pari a quello di tutte le bottiglie d’acqua consumate nel mondo in un anno. I numeri sono impressionanti, ma probabilmente prudenti: già, la situazione potrebbe essere peggiore, perché c’è un problema: le aziende tecnologiche non dicono quanto inquinano davvero i loro modelli.
Impatto ambientale AI: i dati che mancano
Alex de Vries-Gao, dottorando presso il VU Amsterdam Institute for Environmental Studies, ha passato mesi a ricostruire il puzzle. Le aziende pubblicano report di sostenibilità, certo, ma raramente scompongono i dati per mostrare quanto pesa specificamente l’intelligenza artificiale. De Vries-Gao ha dovuto arrangiarsi: ha analizzato le stime degli analisti, le conference call sugli utili, i documenti pubblici sulla produzione di hardware AI. Ha calcolato quanta energia consumano presumibilmente quei chip. Poi ha convertito l’energia in emissioni.
Il risultato? Tra 32,6 e 79,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. New York City ne emette circa 50 milioni. L’intelligenza artificiale, in sostanza, inquina come una delle città più grandi d’America. E il consumo d’acqua oscilla tra 312,5 e 764,6 miliardi di litri annui.
È come se avessimo costruito una nuova metropoli invisibile, fatta di server invece che di palazzi, ma con la stessa fame di risorse. La differenza è che delle città conosciamo l’impronta. Dell’intelligenza artificiale, no.
Data center: i divoratori d’acqua nascosti
L’acqua non serve solo per raffreddare i server: come vi scrivevo prima, serve anche alle centrali elettriche che alimentano quei data center. Le turbine a vapore richiedono quantità enormi di liquido. L’impatto ambientale dell’AI passa anche da questo: dalla catena di fornitura energetica che sta dietro ogni query a un chatbot.
Shaolei Ren, professore di ingegneria all’Università della California di Riverside, aveva stimato (nel 2023) un consumo d’acqua di 600 miliardi di litri entro il 2027. Lo studio di de Vries-Gao suggerisce che potremmo averlo già raggiunto. “Penso che questa sia la sorpresa più grande,” commenta Ren. Come già raccontato in questo articolo, l’espansione dei data center sta creando tensioni locali ovunque vengano costruiti.
Negli Stati Uniti, che ospitano più data center di qualsiasi altro paese, l’opposizione locale cresce. Le comunità si ribellano quando scoprono che una nuova struttura AI prosciugherà le riserve idriche della zona. In alcuni casi, i progetti vengono bloccati. Ma l’industria continua a espandersi.
L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale che non vediamo
Le stime di de Vries-Gao catturano solo il consumo energetico diretto, non includono le emissioni lungo la catena di fornitura: la produzione dei chip, il trasporto dell’hardware, lo smaltimento dei componenti obsoleti. L’impatto ambientale reale dell’intelligenza artificiale è probabilmente molto più alto. Ren definisce l’analisi “davvero conservativa” proprio per questo motivo.
Il range di risultati è ampio perché i dati precisi non esistono. Le aziende tecnologiche omettono dettagli cruciali: il consumo indiretto d’acqua, la quota di risorse usata specificamente per l’intelligenza artificiale, la localizzazione esatta dei data center. La trasparenza è zero. E senza trasparenza, non si può misurare. Senza misurazioni, infine, non si possono fare norme precise per arginare il problema.
Secondo le proiezioni, la domanda energetica globale per l’intelligenza artificiale potrebbe raggiungere i 23 GW nel 2025, superando il consumo di Bitcoin nel 2024. Per contesto: 23 GW equivalgono all’intero fabbisogno elettrico dei Paesi Bassi.
Emissioni CO2: il paradosso della rete elettrica
L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale varia enormemente a seconda di dove si trova un data center. Se è alimentato da una rete elettrica sporca, brucia carbone e gas. Se ha accesso a rinnovabili, l’impronta si riduce. Ma c’è un problema: le rinnovabili sono intermittenti. Il sole non splende sempre, il vento non soffia sempre. I data center, invece, devono funzionare sempre.
Alcune aziende dichiarano di voler raggiungere il 100% di energia pulita. Google, per esempio, punta a matchare ogni ora di consumo con energia carbon-free entro il 2030. Nel 2022 era al 64%. Ma il totale dell’elettricità consumata è aumentato così rapidamente che la percentuale è rimasta piatta. La crescita dell’intelligenza artificiale sta mangiando i progressi sulla sostenibilità.
De Vries-Gao è diretto:
“Non c’è modo di stabilire una cifra estremamente precisa, ma sarà comunque una cosa enorme. Alla fine, tutti ne pagheranno il prezzo.”
Impatto ambientale dell’AI, cosa succederebbe con più trasparenza
Come vi ho detto, senza dati pubblici sull’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale, i governi non possono legiferare efficacemente. Le comunità locali non possono opporsi con numeri alla mano. Gli investitori non possono valutare i rischi ambientali delle aziende tech.
“Dobbiamo davvero chiederci: è così che vogliamo che sia? È giusto?” si chiede de Vries-Gao. “Abbiamo davvero bisogno di questa trasparenza, così possiamo iniziare a discuterne.” Un po’ come se stessimo guidando con il tachimetro coperto. Sappiamo che stiamo andando veloci, ma non quanto. E nel frattempo, il consumo energetico dell’intelligenza artificiale raddoppia ogni 3,4 mesi.
Se le previsioni di de Vries-Gao sono corrette, entro pochi anni l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale potrebbe superare quello di intere nazioni industrializzate. Come raccontavo qui, la corsa ai megadatacenter è già iniziata. Musk ne ha costruito uno con 100.000 GPU nel Tennessee. OpenAI pianifica cluster ancora più grandi.
Quando e come ci cambierà la vita
Se l’industria continua su questa traiettoria, entro il 2030 l’intelligenza artificiale potrebbe consumare più elettricità dell’intera Unione Europea. Le bollette energetiche aumenteranno per tutti. Le reti elettriche dovranno essere potenziate. Le risorse idriche locali saranno sotto pressione. A meno che non si introducano standard di efficienza obbligatori e requisiti di trasparenza, l’impatto ambientale dell’AI crescerà esponenzialmente insieme alle sue capacità.
Approfondisci
Ti interessa il futuro dell’AI e le sue implicazioni? Leggi anche questo scenario sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale generale entro il 2027. Oppure scopri perché il futuro dell’AI potrebbe giocarsi nello spazio.
Le aziende tecnologiche continuano a investire miliardi nell’intelligenza artificiale. I modelli diventano più grandi, più capaci, più affamati di risorse. Ma finché l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale resterà un’incognita, sarà impossibile valutare se il gioco vale davvero la candela.