Timur Bekmambetov aveva appena finito Mercy, un thriller con Chris Pratt in cui un detective deve provare la propria innocenza a un giudice che è, ironicamente, un’intelligenza artificiale. Qua e là tra le immagini, però, l’AI c’era: e Amazon aveva vietato l’uso di qualsiasi strumento AI in cinema e serie tv. Niente, durante le riprese. Gli attori non volevano. Il produttore ha chiamato Bekmambetov: “Non sono contenti del tuo utilizzo dell’AI”.
Il regista ci ha riso sopra e ha fatto altro. Ha preso un libro sulla riabilitazione neurologica di un soldato sovietico, ha usato un unico attore e un team ridotto all’osso, e ha generato un intero film con l’intelligenza artificiale generativa. Costo: una frazione dei 150 milioni che sarebbero serviti con metodi tradizionali.
“Sono sicuro al 100% che è una rivoluzione. Non solo nel cinema: in ogni industria”, ha detto Bekmambetov da Cipro. Il punto è: non tutti condividono l’entusiasmo. Ecco le fazioni di questa “civil war” hollywoodiana tra chi vuole e chi rifiuta l’AI nel cinema.
AI nel cinema: c’è chi dice si (e volentieri)
James Cameron è entrato nel consiglio d’amministrazione di Stability AI già a settembre 2024. Non è una sorpresa, per un pioniere del cinema: Cameron, lo sapete, è quello che trent’anni fa spingeva la CGI oltre i limiti in Terminator 2, Titanic o The Abyss (un capolavoro sottovalutatissimo, guardatelo).
Ora dice che l’incrocio tra intelligenza artificiale generativa e creazione di immagini CGI è la prossima ondata. Ha già sperimentato con modelli AI durante Avatar: La via dell’acqua. L’ironia? Il creatore di Skynet, l’AI che stermina l’umanità, ora collabora con chi sviluppa quell’AI. Ma Cameron, se non si fosse capito, non ha mai avuto paura delle contraddizioni produttive.
Robert Zemeckis l’ha fatto anchr prima, probabilmente quando a furia di girare scene con la DeLorean ha visto davvero il futuro. In Here, uscito a novembre 2024, ha usato la tecnologia deepfake di Metaphysic per ringiovanire Tom Hanks e Robin Wright in tempo reale sul set. Niente trucco prostetico, niente mesi di post-produzione. Gli attori recitavano, e Zemeckis vedeva subito sullo schermo le versioni giovani. Ha funzionato? Al botteghino no: 13 milioni in tutto, davvero pochino. Ma tecnicamente sì. Lisa Kudrow (l’attrice già “Phoebe” nella serie “Friends”) l’ha criticato definendolo “un endorsement per l’AI nel cinema”.
Lo stesso Tom Hanks ha ammesso: “Chiunque può ricreare se stesso a qualsiasi età con AI o deepfake. Potrei essere investito da un autobus domani, ma le mie performance continueranno”. Solo che non ho capito bene se per lui è un bene o un male.
Cosa si muove: Disney ha appena siglato un accordo da 1 miliardo di dollari con OpenAI, ottenendo licenza per usare Sora, il generatore video AI. Netflix ha usato AI per ringiovanire i personaggi in Happy Gilmore 2. Amazon ha creato team dedicati per animazione e doppiaggio AI. La tecnologia non è più sperimentale: è già in produzione.
Ancora: Darren Aronofsky (“The Wrestler”, tra gli altri) ha addirittura fondato uno studio interamente dedicato a esplorare l’AI nel cinema. Lo ha chiamato Primordial Soup, brodo primordiale, e ha già una partnership strategica con Google DeepMind: ha tre cortometraggi in produzione che comprendono l’uso di Veo, il modello generativo video di Google. Il primo, Ancestra di Eliza McNitt, è stato presentato al Tribeca Festival 2025. Mescola attori e immagini generate: eventi cosmici, mondi microscopici, cose che nessuna camera potrebbe riprendere. “Il cinema è sempre stato guidato dalla tecnologia”, dice Aronofsky.
“Dopo i fratelli Lumière, il sonoro, il colore, gli effetti speciali. Oggi non è diverso”.
Dimenticavo: anche Bekmambetov, intanto, ha investito 5 milioni di dollari in Stanislavsky AI. Un sistema che addestra l’intelligenza artificiale usando tecniche di recitazione. Invece di dire “il personaggio è triste”, Bekmambetov scrive: “Il suo cane è morto ieri, e il tramonto gli ricorda quando giocavano al parco”. Si, esatto: è una AI che impara a pensare come un attore del metodo Stanislavskij. Il software divide le sceneggiature in inquadrature, coordina i reparti su un’unica piattaforma, permette feedback in tempo reale. E l’impressione è che siamo sempre e solo all’inizio.
AI nel cinema: quelli che dicono no
Guillermo del Toro è stato piuttosto netto quando nell’ottobre 2024 ha detto che preferirebbe morire piuttosto che usare l’intelligenza artificiale nei suoi film. Rian Johnson (Knives Out) ha dichiarato che l’AI “sta peggiorando tutto in ogni singolo modo”. Bong Joon-ho (Parasite) ha scherzato di voler organizzare una squadra militare per distruggere la tecnologia. Al festival di Marrakech, Jenna Ortega e la regista Celine Song si sono unite al coro.
La tensione è reale. Attori e sceneggiatori hanno scioperato per mesi nel 2023, e l’intelligenza artificiale era uno dei motivi principali. I contratti scadono nel 2026, e Hollywood si sta preparando a un altro possibile blocco. SAG-AFTRA, il “sindacato” americano degli attori ha inserito clausole che richiedono consenso e compenso per utilizzo di volti generati da AI. La Writers Guild, che protegge autori e sceneggiatori, propone che se una sceneggiatura AI viene rielaborata da un umano, è quest’ultimo a mantenere i crediti come autore principale. Potrebbe essere ridotto a un mero compromesso per salvare la nostra faccia in carne ed ossa.
Ad ogni modo, come scrivevo su, le perplessità sull’AI nel cinema non vengono solo da sindacati preoccupati per i posti di lavoro. Vengono da chi fa film. Kevin Yorn, avvocato di Scarlett Johansson (che da questa storia ha già avuto problemi), inserisce clausole in ogni contratto dei suoi clienti per governare l’uso di repliche digitali.
“L’AI fa in modo che qualcuno possa ricreare la tua voce, il tuo volto, il tuo movimento, la tua cadenza, l’intera tua persona da performance passate”, dice Yorn.
Beh, è vero. Come è vera una cosa evidente, ormai: il confine tra una persona e un programma sta collassando.
AI nel cinema: chi sta in mezzo (con grande scomodità)?
La maggior parte degli studios è in un limbo, attualmente. Troppo spaventati per parlarne apertamente, troppo interessati ai tagli di costo per ignorarla. “Gli studios sono stati troppo timidi”, dice Amit Jain, CEO di Luma AI. “Hanno paura di parlarne con i loro registi”. Il risultato: sperimentano in silenzio. Usano ChatGPT per analizzare sceneggiature, AI per campagne marketing, algoritmi per prevedere il successo al botteghino. Ma non lo dicono ad alta voce.
Netflix analizza i dati di visualizzazione per identificare quali temi hanno il maggior potenziale di engagement. Amazon ha team che cercano efficienza nell’animazione e nel doppiaggio. Disney testerà presto la possibilità di far creare video delle sue principesse e supereroi ai fan, usando Sora di OpenAI. È un movimento tellurico che accade proprio ora, mentre parliamo.
Qualche numero della frattura: Più di 65 nuovi studios AI sono stati lanciati dal 2022, di cui oltre 30 solo nel 2024-2025. Parallelamente, oltre 120 creativi di Hollywood (Mark Ruffalo, J.J. Abrams, Pedro Pascal, Mark Hamill) hanno firmato una lettera aperta chiedendo regolamentazioni stringenti sull’AI in California.
Due realtà che crescono insieme, ma in direzioni opposte: e prima o poi una mangia l’altra (magari lasciandone un po’, per una questione fisiologica). Credo di intuire quale sarà.
Sten Saluveer, del Marché du Film di Cannes, prevede che entro massimo 5 anni saremo in grado di generare film completi di qualità con AI multimodale: video, audio, testo. Ed Ulbrich, veterano degli effetti visivi, dice che un film fatto interamente con AI potrebbe arrivare nelle sale già entro la fine di quest’anno, e comunque di certo entro fine 2026.
Alkan Avcioglu sostiene che il suo documentario Post Truth del 2025 sia stato il primo realizzato interamente con strumenti AI. Hooroo Jackson rivendica lo stesso primato per il lungometraggio animato DreadClub: Vampire’s Verdict del 2024.
Molto presto l’AI nel cinema non sarà più un tema divisivo, da discutere. Cambierà l’industria, in ogni caso. Cambierà il modo di lavorare, forse cambierà anche chi controlla gli strumenti, e cambierà anche la definizione stessa di attore, regista, autore. In altre parole, di ciò che significa “cinema”.
Che succede ora
OpenAI ha rilasciato Sora 2 a ottobre 2024. All’inizio permetteva a chiunque di creare video con persone famose e personaggi protetti da copyright, a meno che le star o gli studios non optassero esplicitamente per escludersi. L’industria è esplosa. Nessuna causa legale depositata, ma abbastanza pressione da far cambiare politica a OpenAI: ora serve un via libera esplicito da celebrità e detentori di proprietà intellettuale.
Il problema, però, è più profondo: molti sistemi generativi sono stati già addestrati su enormi quantità di video, inclusi film e show TV di successo, senza chiedere permesso a nessuno e senza licenze chiare. Un rischio legale che nessuno sa ancora quantificare. “Le cause richiedono anni per risolversi”, dice Aaron Moss, avvocato specializzato in copyright.
“Non puoi rimettere il genio nella bottiglia”.
Alcuni cercano ancora di fermarlo. Altri di cavalcarlo.
Bekmambetov, intanto, sta già sviluppando il suo prossimo progetto: The Man With a Shattered World, tratto dal libro dello psicologo russo A.R. Luria. Anche questo film è quasi interamente generato con intelligenza artificiale, con un solo attore professionista (che Bekmambetov si rifiuta di nominare). Il tema del film? Le allucinazioni e i glitch del sistema, che rappresentano il danno cerebrale del soldato protagonista. Poesia accidentale o calcolo preciso? Forse entrambi.
Quarant’anni fa Zemeckis inseriva Tom Hanks virtualmente nella Casa Bianca di JFK per Forrest Gump. Oggi Hanks può esistere in un film senza esserci fisicamente.
La tecnologia continua a fare quello che ha sempre fatto: cambiare le regole. Solo che stavolta cambia anche chi fa le regole.