Bruxelles, sale riunioni del Consiglio Energia. Sullo schermo scorre una tabella: quota elettrico in Europa, primo semestre 2025. 15,6%. Il 100% previsto per il 2035 è un tantino lontano, o sbaglio?
Le mani dei lobbisti del settore automotive segnano appunti, il direttore ACEA alza lo sguardo. “mancano solo dieci anni? Non ci siamo”. La Germania annuisce. L’Italia pure. La Francia esita, ma a quel punto serve concretezza. Totalino dell’incontro: il 2035 come anno per il ban alle auto a benzina resta lì, scritto nel regolamento europeo. Solo che le auto vendute non seguono la tabella di marcia. E se la montagna non va a Maometto, Maometto inizia a guardarsi intorno.
Auto elettriche 2035, il piano che scricchiola
Nel 2023 (non venti anni fa) sembrava chiaro: dal 2035 solo auto elettriche o veicoli a emissioni zero. Stop alla benzina diesel, Raus alle ibride, e neutralità climatica entro il 2050. Un pacchetto che profumava di Green Deal e che faceva sentire l’Europa paladina della transizione ecologica. Appena due anni dopo i numeri raccontano un’altra storia. I dati ACEA dipingono un mercato diviso: le ibride tengono il 43% del mercato, le auto elettriche a batteria non sfondano ovunque. Per dire, in Germania crescono del 35% mentre nei Paesi Bassi solo del 6%. In Francia calano addirittura. E in Italia? Nonostante gli incentivi, il parco circolante elettrico resta un miraggio per la maggioranza degli automobilisti.
La Commissione Europea dovrebbe annunciare la revisione anticipata del regolamento sulle auto elettriche 2035, con possibili deroghe per ibride plug-in e motori termici alimentati a carburanti sintetici (e-fuel).
Sintetizzo: l’industria automotive europea, rappresentata dall’ACEA, sostiene che “i target CO2 per il 2035 non sono più realistici” alla luce delle attuali dinamiche di mercato.
Le ibride plug-in tornano in gioco
L’apertura più concreta riguarda le ibride plug-in. Fino a ieri escluse dal 2035, ora potrebbero sopravvivere se equipaggiate con batterie ricaricabili sufficientemente capienti o con range extender (piccoli motori a combustione che ricaricano la batteria senza azionare le ruote). Un po’ come dire: ok all’elettrico, ma con una stampella termica incorporata. BMW e Mercedes hanno spinto forte su questo fronte. Anche perché le piattaforme flessibili costano meno: un telaio che può ospitare batterie, benzina, ibrido o idrogeno costa meno di tre linee di produzione separate.
Germania ed Europa dell’Est applaudono. La Polonia, che ancora dipende pesantemente dal carbone per l’energia elettrica, guarda con sospetto a un futuro tutto-elettrico. L’Italia ha una posizione più ambigua: salva la Motor Valley (Ferrari, Lamborghini, Maserati) con deroghe per i produttori di nicchia, ma sul resto esita. Il governo italiano vorrebbe i biocarburanti, ma Bruxelles da quell’orecchio non ci sente: preferisce gli e-fuel, prodotti con energie rinnovabili e CO2 catturata, considerati neutri in termini di ciclo di vita. E allora guardiamoli questi e-fuel.
E-fuel, la carta tedesca che piace meno
Gli e-fuel sono combustibili sintetici: idrogeno verde più CO2 riciclata fanno metanolo, che può alimentare un motore termico. Teoricamente carbon-neutral. Praticamente costosissimi. Le proiezioni indicano prezzi cinque volte superiori alla benzina tradizionale, almeno fino al 2030. La Germania ha ottenuto una deroga per questo tipo di carburanti. Ma Berlino non è sola: Porsche sta costruendo un impianto pilota in Cile, Bosch investe in R&S, l’industria chimica spera in un nuovo mercato.
Il problema? La scalabilità. Per sostituire anche solo il 10% della benzina europea con e-fuel servirebbe più energia rinnovabile di quella attualmente prodotta nell’intera UE. Gli ambientalisti di Transport & Environment parlano di “strategia di distrazione”: invece di accelerare sull’elettrico, si insegue un combustibile che forse sarà pronto tra dieci anni. E intanto? Intanto si continua a vendere diesel Euro 6, chiamandolo “transizione”.
Auto elettriche 2035, il paradosso delle colonnine
C’è un altro dettaglio che complica tutto: le colonnine di ricarica. L’UE aveva previsto una colonnina ogni 60 km entro il 2026. Siamo a fine 2025 e molte tratte autostradali italiane restano deserte dal punto di vista infrastrutturale. Secondo Motus-E, l’Italia avrà tra 198.000 e 239.000 punti di ricarica pubblici entro il 2035, con investimenti privati fino a 4 miliardi. Cifre che fanno paura. E che spiegano perché molti automobilisti preferiscono ancora un’ibrida: hai il motore elettrico per il tragitto casa-lavoro e il termico per il weekend fuori porta senza l’ansia da autonomia (con tanti saluti all’ambiente).
Il dato più rilevante? La penetrazione delle auto elettriche varia del 600% tra un paese europeo e l’altro. In Norvegia superano già le auto a benzina. In Polonia si contano sulle dita di una mano. Imporre un bando uniforme su mercati così diversi inizia a sembrare più ideologico che pratico.
E quando la politica si scontra con la praticità, di solito vince la seconda. Tu chiamala, se vuoi, realpolitik a quattro ruote.
Scenario conservativo vs accelerato: Gli analisti ipotizzano due traiettorie. Nello scenario conservativo, al 2035 circoleranno 8,6 milioni di veicoli elettrici in Italia. In quello accelerato, 10,4 milioni. La differenza? Politiche industriali coraggiose, incentivi strutturali, infrastrutture pronte. Al momento siamo moooolto più vicini al primo scenario che al secondo.
La Cina ride, l’Europa trema
Sullo sfondo di questo dibattito c’è un attore ingombrante: la Cina. Mentre l’Europa discute se ammettere o no gli e-fuel, Pechino ha già vinto la partita industriale delle auto elettriche. BYD e CATL controllano oltre il 55% del mercato globale delle batterie. I costruttori cinesi sfornano modelli elettrici a prezzi che i brand europei possono solo sognare. E quando l’UE ha provato a difendersi con dazi antidumping, la Cina ha minacciato ritorsioni sui veicoli a grande cilindrata tedeschi. Risultato? Bruxelles tentenna, Berlino frena, l’industria europea perde quote di mercato.
Il riciclo delle batterie, che dovrebbe abbattere i costi e le emissioni iniziali dei veicoli elettrici, è ancora agli inizi. Le tecnologie ci sono, ma la scala industriale no. Nel frattempo i consumatori europei guardano ai modelli cinesi, più economici e spesso più tecnologici. Il paradosso è che la transizione verso le auto elettriche 2035 rischia di trasformarsi in un regalo all’industria asiatica, con i marchi storici europei relegati a produttori di nicchia per ricchi nostalgici.
Approfondisci
Ti interessa capire come funziona davvero la mobilità sostenibile? Leggi anche come il riciclo delle batterie sta cambiando le carte in tavola. Oppure scopri l’innovazione di Stanford che taglia i costi delle batterie del 40%.
La partita delle auto elettriche 2035 si gioca su tre tavoli: tecnologia (batterie migliori, ricarica rapida), politica (incentivi credibili, infrastrutture pronte) e geopolitica (non perdere il treno industriale cinese). Per ora l’Europa sembra giocare su tutti e tre con le carte sbagliate. Forse perché il mazzo lo ha mischiato qualcun altro.