Un robot che salda nello spazio. Sembra fantascienza da film anni ’80, invece è il progetto ISPARK: 560.000 sterline di fondi britannici per costruire un braccio robotico capace di saldare e riparare satelliti in orbita. L’Università di Leicester, insieme alla TWI Ltd (specialisti in saldatura), sta sviluppando qualcosa che potrebbe sembrare banale sulla Terra, ma che nello spazio è un problema irrisolto da decenni.
Perché saldare nel vuoto, con temperature che oscillano tra +120°C e -150°C, senza gravità e con radiazioni che friggono l’elettronica, è come provare a cucinare un soufflé durante un terremoto. Finora, se un satellite si rompeva, si buttava via. Se serviva una struttura grande, andava progettata per sopravvivere al lancio (forze da 3-4 G, vibrazioni infernali) e infilata in un razzo. Limiti fisici, limiti economici, limiti di design. E mò?
Perché saldare nello spazio è così complicato
Il problema è tecnico, e pure fisico. Sulla Terra la saldatura funziona perché c’è aria: l’arco elettrico si propaga attraverso gas ionizzato, il calore si dissipa per convezione, i materiali si comportano in modo prevedibile. Nello spazio, tutto questo salta. Il vuoto elimina la convezione termica, il che significa che il calore resta intrappolato dove non serve e sparisce dove servirebbe. La microgravità fa fluttuare il metallo fuso in gocce che vagano libere invece di depositarsi dove dovrebbero.
E poi c’è il freddo. O meglio, l’alternanza termica brutale: una faccia del satellite esposta al sole può raggiungere 120°C, mentre quella in ombra precipita a -150°C. Saldare in queste condizioni richiede un controllo termico millimetrico, altrimenti il giunto si crepa appena si raffredda. Le radiazioni cosmiche, poi, degradano sensori e circuiti elettronici, rendendo difficile anche solo monitorare il processo. In altre parole, un caos!
I principali ostacoli della saldatura spaziale: Vuoto (no convezione termica), microgravità (metallo fluttuante), instabilità termica estrema (+120°C/-150°C), radiazioni ad alta energia, impossibilità di intervento umano prolungato (affaticamento astronauti).

Come funziona ISPARK: gemelli digitali e robot autonomi
Il cuore del progetto è un gemello digitale: un modello virtuale che simula le condizioni spaziali sulla Terra. Ogni saldatura eseguita dal robot in laboratorio viene confrontata con questo modello, che replica vuoto, temperature e comportamento dei materiali. Se il giunto virtuale regge, si passa al test reale. Se no, si corregge l’algoritmo.
Il robot stesso sarà montabile su bracci già esistenti (tipo quelli della Stazione Spaziale Internazionale) e userà saldatura ad arco elettrico, una tecnica collaudata ma mai applicata fuori dall’atmosfera. L’intelligenza artificiale del sistema dovrà compensare in tempo reale le variazioni termiche, regolare l’intensità dell’arco e prevedere come il metallo fuso si comporterà senza gravità.
Daniel Zhou Hao, responsabile del progetto, spiega che l’obiettivo non è solo riparare satelliti: “Stiamo sviluppando una tecnologia abilitante che potrebbe ridefinire come le grandi strutture vengono costruite e mantenute in orbita”. Telescopi modulari, stazioni spaziali estensibili, habitat lunari assemblati sul posto. Tutte cose che oggi richiedono lanci multipli e costi astronomici.

Gli altri progetti di saldatura orbitale
Il Regno Unito non è solo. Negli Stati Uniti, ThinkOrbital ha già testato un sistema di saldatura autonoma nello spazio attraverso esperimenti preliminari. L’Università del Texas sta costruendo un ambiente virtuale che simula la superficie lunare, per testare saldatura ad arco elettrico, laser e fascio di elettroni senza dover spedire nulla in orbita.
La corsa è globale perché la posta in gioco è alta: chi domina la saldatura spaziale domina l’assemblaggio orbitale. E questo significa costruire strutture che oggi sono impossibili da lanciare in un pezzo unico. Un telescopio con uno specchio da 50 metri, invece dei 6,5 del James Webb. Una stazione spaziale che si espande modularmente, senza limiti di dimensioni. Habitat lunari che si autoriparano.
Scheda del Progetto
- Ente: University of Leicester + TWI Ltd
- Finanziamento: £560,000 (£485,000 da UK Space Agency)
- Programma: National Space Innovation Programme (NSIP)
- TRL stimato: 4-5 (validazione in laboratorio, prossimo step: test orbitale)
Saldare nello spazio, eliminare “l’usa e getta” spaziale
Oggi lo spazio funziona con una logica assurda: se qualcosa si rompe, si abbandona. Ci sono oltre 36.000 detriti spaziali tracciati in orbita, molti dei quali sono satelliti morti che avrebbero potuto essere riparati. Ogni missione è progettata per essere autonoma, completa, irrecuperabile. Un approccio che ricorda le capsule del caffè: usa, butta, ricompra.
La saldatura robotica ribalta questo paradigma. Un satellite con un pannello solare danneggiato? Si salda un nuovo modulo. Una stazione spaziale che deve espandersi? Si aggiungono sezioni senza dover lanciare una nuova struttura completa. Dirk Schaefer, dell’Università di Leicester, parla di “economia spaziale più responsabile e resiliente”. Tradotto: meno sprechi, missioni più lunghe, infrastrutture orbitali che durano decenni invece di anni.
C’è un aspetto quasi ironico in tutto questo: la tecnologia più avanzata che stiamo sviluppando per lo spazio è… saldare. Una cosa che facciamo sulla Terra da oltre un secolo. Ma è proprio questa banalità apparente a renderla rivoluzionaria (ok, lo ammetto, l’ho usata). Perché se riusciamo a saldare nello spazio, possiamo costruire praticamente qualsiasi cosa.

Quando cambierà le cose
I primi test orbitali di ISPARK potrebbero avvenire entro il 2027-2028. Se tutto funziona, la prima missione di riparazione satellitare potrebbe essere operativa entro il 2030. Tradotto: tra cinque anni potremmo vedere il primo satellite “aggiustato” invece che buttato via.
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