C’è una guerra in Ucraina, lo sappiamo tutti e non è necessario scrivere molto altro: un conflitto in corso dal 2014, esploso drammaticamente nelle ultime settimane, apparentemente senza via d’uscita. Decine di migliaia di morti, milioni di sfollati, soluzione difficile. Un conflitto che continua nonostante i tentativi (veri o presunti) di negoziare per rispettare le esigenze di tutti, e le iniziative per la Pace.
Colpisce, ad ogni modo, vedere che la Storia non si ripete mai ma fa rima: nella propaganda militare diffusa dai media, nelle nuove e vecchie censure, e nel coinvolgimento di più attori sul teatro di guerra. Tra questi, le grandi aziende tecnologiche, o Big Tech.
Big Tecnologici come nuovi Stati
Su questo tema è interessante osservare il ruolo di Big Tech in questa guerra sanguinosa. Seguendo una tendenza ormai non più allo stato embrionale, i giganti della tecnologia mondiale non si limitano a fornire strumenti ai belligeranti (o ai pacifisti): prendono parte attiva.
Negli anni, queste aziende hanno ottenuto un monopolio virtuale presentandosi come piattaforme imparziali che valorizzano la libera espressione. Allo stesso tempo, però, per crescere si conformavano alle pressioni locali per rimuovere o limitare certe informazioni. Sono state persino in grado di ottenere l’accesso in Russia, che per decenni ha combattuto per tenere fuori i media occidentali durante l’era sovietica.
Anche allora Big Tech ha avuto un ruolo: la Russia, ad esempio, ha chiesto più volte a Facebook e Twitter di rimuovere i post che incoraggiavano le proteste anti-governative, o ha chiesto ad Apple e Google di rimuovere le app destinate ad aiutare i politici dell’opposizione. E in diversi casi le aziende hanno acconsentito. È accaduto anche con diverse tornate elettorali in Occidente (USA su tutte), con tutto il carico di accuse che aziende come Twitter o Meta hanno ricevuto sulla manipolazione dei dati e dei risultati elettorali. Il fenomeno è proseguito poi con un “ravvedimento” che ha prodotto altri squilibri (migliaia di account censurati, la cacciata di candidati presidenziali dalle piattaforme).
Ora, quelle stesse aziende si trovano invischiate in un nuovo conflitto, con una posta in gioco più alta ed enormi capacità: da quelle di costituire un vantaggio strategico per una nazione a quelle di orientare completamente la narrativa del conflitto (e dunque l’opinione pubblica). Sono al servizio della pace, o schierate come uno stato in guerra?
L’ingerenza fa ritenere Big Tech più una “nazione transnazionale” che un gruppo di aziende.
Quando Google, due giorni fa, ha “spento” il suo servizio di mappe in Ucraina dopo essersi consultata con i funzionari ucraini, si è posta di fatto al fianco di una nazione nella difesa da un’altra nazione. Facendo una scelta strategica in un teatro di guerra! Attenzione, non rileva in questo momento valutare il merito della scelta, ma la sua importanza.
Idem per Youtube, che su richiesta Ucraina, ha bloccato i canali di Russia Today nel paese. Stessa cosa anche per Microsoft, che ne ha rimosso le app, e che fa dichiarazioni come se fosse una nazione, informando il governo ucraino e ragionando sulla legittimità o sulla illegittimità dell’aggressione Russa. O ancora per Starlink, impiegata da Elon Musk per fornire connettività internet via satellite all’esercito Ucraino. Stesso discorso per WhatsApp, che ha attivato una linea di assistenza in collaborazione con le forze di emergenza Ucraine. A queste si aggiungono perfino gli operatori di contenuti in streaming come Netflix, che in questo caso (prima volta per aziende di questo tipo) hanno bloccato anche canali ufficiali statali di altri paesi.
Le aziende americane (e non solo) stanno in altre parole prendendo posizione nei conflitti geopolitici. E questo è un altro segnale di un processo che vedremo svilupparsi in modo massivo nei prossimi decenni.
Man mano che il ruolo di Big Tech nella guerra d’Ucraina diventa più evidente, è chiaro che queste aziende non sono più piattaforme imparziali. Si stanno schierando in questo conflitto, e stanno agendo come nazioni transnazionali. Questo potrebbe essere un segno delle cose a venire, dato che Big Tech continua a crescere in potere e influenza. A lungo termine, nel futuro il mondo potrebbe vedere queste aziende diventare vere e proprie superpotenze (perfino con loro territori, con loro monete, con loro ‘cittadini’, con loro ‘eserciti’) con un controllo ancora maggiore su informazione e comunicazione.