Nel nostro intestino un esercito di microbi lavora instancabilmente, ogni giorno. Non solo per aiutarci a digerire, ma anche per influenzare direttamente il nostro stato d’animo. I nostri piccoli alleati sono diventati protagonisti di una rivoluzione scientifica che sta riscrivendo le regole della psicologia e della neurologia. Ma come può un microbo, così piccolo e invisibile, avere un impatto così grande sulla nostra mente? Prepariamoci a un piccolo viaggio alla scoperta della Psicobiotica.
Il legame tra intestino e cervello: una storia antica
La connessione tra intestino e cervello non è una scoperta recente. Il leggendario Ippocrate, già 2.500 anni fa, riteneva che tutte le malattie, comprese quelle cerebrali, avessero origine nell’intestino. E ovviamente, Ippocrate non sapeva cosa fosse un microbo. Questa conoscenza avrebbe dovuto attendere fino alla fine del 1600, quando Antonie van Leeuwenhoek, grazie al suo piccolo microscopio portatile, iniziò a svelare il mondo dei microbi.
Nel tardo 1800, lo zoologo russo Élie Metchnikoff fece una scoperta sorprendente. Notò che i bulgari longevi consumavano grandi quantità di yogurt, ricco di batteri. Metchnikoff postulò che fosse proprio questo consumo di yogurt a garantire loro una vita così lunga. L’idea che batteri come il Lactobacillus potessero contribuire alla salute, gettò le basi per il concetto di probiotici. E ora?
La nascita della psicobiotica
Con l’arrivo del 21° secolo, la ricerca sul legame intestino-cervello ha iniziato a guadagnare terreno. Nel 2004, Nobuyuki Sudo ha pubblicato un articolo rivoluzionario su topi germ-free, cioè cresciuti in un ambiente sterile. Questi topi mostravano una risposta anomala allo stress. In qualche modo, la presenza o l’assenza di batteri influenzava il loro comportamento.
Ancora più sorprendentemente, quando Sudo reintrodusse i batteri nell’intestino dei topi, il loro comportamento tornò alla normalità. Questa scoperta fece scattare una vera e propria “febbre” nella ricerca sul legame intestino-cervello. Era l’embrione di una scienza che sarebbe nata solo dieci anni fa.
Psicobiotici: i nuovi alleati del nostro umore
Negli anni successivi, John Cryan e Ted Dinan, due ricercatori dell’University College Cork, hanno approfondito ulteriormente il mistero del legame intestino-cervello.
Nel 2013, hanno coniato il termine “psicobiotica” per riferirsi allo studio dei microbi in grado di migliorare l’umore. Non semplici batteri, ma veri e propri alleati che lavorano in simbiosi con noi.
Come funzionano i psicobiotici?
I psicobiotici comunicano con il cervello attraverso almeno tre percorsi chimici: i neurotrasmettitori, gli ormoni e i fattori immunitari. È sorprendente scoprire che i microbi producono neurotrasmettitori identici a quelli presenti nel nostro cervello, come la dopamina, la serotonina e il GABA.
Questi neurotrasmettitori sono captati dalle cellule nervose che circondano l’intestino e inviati al cervello attraverso il nervo vago. Se questo nervo viene reciso, gli effetti dei psicobiotici scompaiono.
L’ultima decade ha consolidato l’importanza della psicobiotica per la nostra salute mentale. Sono stati identificati specifici batteri psicobiotici, come il Lactobacillus rhamnosus e il Lactobacillus reuteri, che riducono l’ansia influenzando i livelli di GABA. Altri, come il Bifidobacterium longum 1714, riducono i livelli di cortisolo migliorando l’umore e la cognizione. Questi piccoli alleati del nostro intestino hanno un’influenza enorme sul nostro comportamento, portandoci a chiederci: “Chi comanda veramente?”.
Dove siamo oggi e dove stiamo andando: il futuro della psicobiotica
Il prossimo decennio promette ulteriori scoperte nel campo della psicobiotica. La ricerca sta già mostrando che alcune forme di depressione e ansia possono essere alleviate o curate con trattamenti psicobiotici. Forse, in futuro, un esame dell’intestino potrebbe diventare una prassi comune nella valutazione psichiatrica.
Restate sintonizzati, e nel frattempo continuate a nutrire i vostri piccoli alleati intestinali: intestino sano in corpore sano.