Diciamolo chiaramente: l’ipotesi di vivere in una simulazione ha sempre avuto un fascino irresistibile. Filosofi, fisici, persino Elon Musk ci hanno costruito sopra teorie e scommesse miliardarie. Ma Franco Vazza, ricercatore dell’Università di Bologna specializzato in simulazioni astrofisiche, ha deciso di fare i conti con carta e penna. E i conti, purtroppo per i fan di Matrix, non tornano.
Il suo studio, pubblicato su Frontiers in Physics, dimostra che l’ipotesi della simulazione non è solo improbabile: è fisicamente impossibile. Il motivo? Questione di energia, informazione e termodinamica. Ingredienti che, messi insieme, mandano in frantumi il sogno digitale.
Il sogno digitale si scontra con i numeri
L’ipotesi della simulazione nasce nel 2003 dalla mente brillante del filosofo Nick Bostrom dell’Università di Oxford. La sua teoria tripartita suggeriva che almeno una di queste affermazioni doveva essere vera: o l’umanità si estingue prima di raggiungere capacità computazionali avanzate, oppure le civiltà progredite scelgono di non creare simulazioni, oppure viviamo quasi certamente in una simulazione. Il ragionamento sembrava logico: se una civiltà può creare milioni di simulazioni, statisticamente è più probabile essere dentro una di quelle piuttosto che nella realtà originale.
Ma Vazza ha fatto quello che mancava: i calcoli energetici. Il principio olografico, una delle scoperte più profonde della fisica moderna, stabilisce che l’informazione contenuta in un volume di spazio è proporzionale alla sua superficie, non al suo volume. Pensate ai buchi neri: tutta l’informazione che contengono è “scritta” sulla superficie del loro orizzonte degli eventi, come se l’universo fosse una sorta di ologramma tridimensionale proiettato da una superficie bidimensionale.
Ipotesi della simulazione: l’energia che manca all’appello
Qui casca l’asino dell’ipotesi della simulazione. Vazza ha calcolato quanta energia servirebbe per codificare tutta l’informazione necessaria a simulare anche solo la Terra alla scala di Planck (la più piccola scala misurabile della fisica). Il risultato è sbalorditivo: servirebbe l’energia equivalente alla conversione in energia di tutta la massa contenuta in un ammasso globulare di circa 100.000 stelle.
Ma c’è di peggio. Se volessimo simulare l’intero universo osservabile, la quantità di energia richiesta supererebbe quella contenuta nell’universo stesso. È come pretendere di riempire una bottiglia d’acqua usando l’acqua della stessa bottiglia: matematicamente e fisicamente impossibile.

Buchi neri come computer cosmici
La ricerca di Vazza utilizza i buchi neri come esempio estremo di capacità computazionale. Questi mostri cosmici rappresentano il computer più efficiente teoricamente possibile: la loro temperatura di funzionamento può raggiungere i 10 milioni di Kelvin nei dischi di accrescimento, il massimo fisicamente raggiungibile. Eppure, anche utilizzando un buco nero come processore, servirebbero milioni di anni per calcolare un solo secondo di simulazione terrestre.
Il problema fondamentale risiede nel secondo principio della termodinamica e nel principio di indeterminazione di Heisenberg. Creare e cancellare informazione costa energia, e le simulazioni devono costantemente trasformare informazioni. Ogni operazione AND tra due bit, ogni calcolo, ogni transizione di stato richiede un dispendio energetico che si accumula fino a raggiungere proporzioni astronomiche.
L’ipotesi della simulazione e i computer quantistici
Qualcuno potrebbe obiettare: ma i computer quantistici? Anche in questo caso, Vazza ha una risposta semplice: i principi energetici si applicano ugualmente ai computer quantistici e classici. La meccanica quantistica non offre scorciatoie magiche per aggirare le leggi fondamentali della termodinamica. I qubit devono comunque seguire le regole dell’informazione fisica.
Come abbiamo discusso in precedenti articoli, esistono teorie alternative che vedono l’universo stesso come una sorta di computer quantistico, ma queste non supportano l’ipotesi della simulazione creata artificialmente da un’altra civiltà. Addio sogni fantastici insomma. A meno che…
L’unica possibilità rimasta
Vazza concede una sola possibilità per l’ipotesi della simulazione: che i nostri simulatori vivano in un universo con leggi fisiche completamente diverse dalle nostre. Un universo dove la termodinamica funziona diversamente, dove l’informazione ha proprietà che non comprendiamo, dove i limiti energetici che conosciamo non si applicano.
Ma a quel punto, parliamo di qualcosa di così diverso dalla nostra fisica che l’ipotesi perde ogni significato pratico. È come dire che potremmo essere simulati da una civiltà di unicorni magici: tecnicamente non dimostrabile come falso, ma scientificamente irrilevante.
La realtà vince sulla fantasia
Il lavoro di Vazza è un punto di svolta nel dibattito sull’ipotesi della simulazione. Non si tratta più di speculazioni filosofiche o di calcoli probabilistici, ma di limiti fisici fondamentali che nessuna tecnologia, per quanto avanzata, può superare. La fisica dell’informazione è implacabile: simulare richiede energia, e l’energia disponibile nell’universo semplicemente non basta.
In altri terminj, la prossima volta che guarderò il mio caffè del mattino e mi chiederò se sia reale (soprattutto quando fa schifo), posso rassegnarmi. Non solo è reale, ma la fisica garantisce che non potrebbe essere altrimenti. L’universo, con tutti i suoi difetti e le sue meraviglie, è autentico al 100%. E forse, dopo tutto, è proprio questo che lo rende così straordinario. L’universo, dico. Il caffè è una ciofeca.