Provate a partecipare a un colloquio di lavoro dove l’intervistatore è un’intelligenza artificiale. Suona futuristico, vero? Bene, il futuro è già qui, e porta con sé un problema che nessuno si aspettava: l’AI discrimina. Al Politecnico di Milano hanno creato un’installazione interattiva che simula proprio questa situazione. Si chiama “Not for Her” e il nome dice tutto. Durante questi colloqui virtuali, l’intelligenza artificiale mostra tutti i suoi pregiudizi contro le donne. Contro la parità di genere. E la cosa più preoccupante è che questi algoritmi stanno già decidendo chi assumere nelle aziende vere.
Quando la macchina impara i nostri peggiori difetti
La verità sull’intelligenza artificiale è più cruda di quanto immaginiamo. Gli algoritmi che dovrebbero essere neutri stanno invece amplificando le discriminazioni di genere in modi che nemmeno ci sognavamo. Lo studio dell’UNESCO “Bias Against Women and Girls in Large Language Models” ha rivelato una realtà sconcertante: i modelli linguistici di grandi dimensioni descrivono le donne come lavoratrici domestiche quattro volte più spesso degli uomini.
Pensateci: mentre le donne sono associate a parole come “casa”, “famiglia” e “bambini”, i nomi maschili vengono collegati automaticamente a “business”, “dirigente”, “stipendio” e “carriera”. Ma il problema va oltre le semplici associazioni di parole. Come spiega Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano, l’intelligenza artificiale può essere “uno strumento di discriminazione oppure offrire la possibilità di un utilizzo responsabile ed etico”.

L’algoritmo che ti giudica senza conoscerti
I sistemi di selezione del personale basati sull’AI stanno già operando in migliaia di aziende. Secondo le ricerche del Gruppo RES, se questi sistemi utilizzano dati di addestramento con pregiudizi di genere, limitano automaticamente l’accesso alle opportunità di carriera per le donne, contribuendo alla perpetuazione delle differenze salariali.
Il meccanismo è diabolicamente semplice: l’intelligenza artificiale impara dai dati del passato, dove le disparità di genere erano ancora più marcate. Risultato? Gli algoritmi assumono che questa sia la “normalità” e continuano a discriminare, pensando di fare la cosa giusta. È come se avessimo creato macchine programmate per ignorare la parità di genere e mantenere lo status quo, anche quando quello status quo è ingiusto.
Parità di genere: i numeri che fanno paura
La situazione è particolarmente grave nel settore tecnologico stesso. Secondo l’European Institute for Gender Equality, le donne ricoprono solo il 16% dei posti di lavoro nell’AI, e appena il 12% dei professionisti con oltre 10 anni di esperienza è di sesso femminile. Tradotto: gli algoritmi che decidono il nostro futuro sono progettati principalmente da uomini.
Questo divario si riflette anche nell’uso quotidiano della tecnologia. Una ricerca dell’Oliver Wyman Forum su 25.000 lavoratori ha mostrato che il 59% degli uomini utilizza strumenti di AI generativa almeno una volta a settimana, contro il 51% delle donne. Tra i giovani, il divario si allarga ancora di più: 71% degli uomini tra 18 e 24 anni contro il 59% delle donne.
La parità di genere che non arriva mai
Il problema non è solo tecnologico, è strutturale. Come sottolinea il report del World Economic Forum, nessun Paese al mondo ha raggiunto la parità di genere, e ci vorranno ancora 152 anni per colmare i divari economici. L’intelligenza artificiale, invece di accelerare questo processo, rischia di rallentarlo ulteriormente.
Come abbiamo già evidenziato su queste pagine, l’evoluzione dell’AI verso forme sempre più sofisticate amplifica l’urgenza di affrontare questi problemi ora, prima che diventino irreversibili.
Il risveglio necessario
L’installazione “Not for Her” non è solo arte: è un campanello d’allarme. Ogni volta che un algoritmo prende una decisione discriminatoria, non sta semplicemente replicando il passato: sta costruendo un futuro dove le donne hanno meno opportunità e la parità di genere è sempre più utopia. La tecnologia che doveva liberarci dai pregiudizi umani sta diventando il loro megafono più potente.
La soluzione esiste, ma richiede volontà. Serve diversità nei team di sviluppo, dati di addestramento più equi, e soprattutto la consapevolezza che ogni algoritmo può essere corretto. Perché se non agiamo ora, l’intelligenza artificiale del futuro non sarà artificialmente intelligente: sarà artificialmente stupida. E questo, francamente, non possiamo permettercelo.
L’installazione “Not for Her – L’intelligenza artificiale che svela l’invisibile” è visitabile presso la 24esima Esposizione Internazionale della Triennale di Milano dal 13 maggio al 9 novembre 2025. Il progetto è curato dal Politecnico di Milano sotto la direzione della rettrice Donatella Sciuto.
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