Ah, il deserto. Quella distesa infinita di sabbia, caldo e, diciamocelo, una certa monotonia che ti fa desiderare un po’ di verde. Bene, tenetevi forte: a Sharjah, uno degli Emirati Arabi, hanno deciso che la monotonia non va bene e che il verde si può costruire. Sì, avete capito bene. Non una villetta con il prato all’inglese, ma un’intera città. Una roba che, se ci pensate bene, è un po’ come ordinare un igloo in pieno agosto a Palermo. La chiamano Khalid Bin Sultan City e promette di cambiare il volto di un pezzo di quel nulla dorato, portando l’acqua dove non c’è e l’ombra dove il sole picchia senza pietà. Roba da ‘starchitect’ d’altri tempi, o forse solo l’ennesima prova che quando hai un po’ troppi soldi (e sabbia) in tasca, le idee ti vengono un po’… aride?
L’architetto che disegna dune a Sharjah

Allora, chi c’è dietro questo ennesimo miraggio di cemento e palme? Ovviamente, uno studio con un nome che pesa: Zaha Hadid Architects (ZHA). Già noti per aver piazzato nel deserto di Sharjah la curiosa sede a forma di duna per BEEAH, il committente di questa nuova fatica.
E, guarda caso, pare che l’ispirazione per la nuova città venga proprio da lì, dalle forme fluide modellate dal vento. Zaha Hadid, anche se non c’è più, lascia la sua impronta curvilinea e a tratti un po’… aliena.
Vogliono creare una “rete urbana multicentrica”. Che, tradotto per noi comuni mortali, significa che non c’è un unico centro, ma tanti piccoli nuclei, tutti collegati. Bella l’idea sulla carta, soprattutto quando si parla di fuggire dal caldo infernale.
L’oasi lunga 2 chilometri: il cuore verde di Sharjah?
Il pezzo forte, il vero colpo di scena di questo progetto a Sharjah, è un’oasi. Non una pozzanghera o un laghetto artificiale, ma un “nastro” verde lungo due chilometri (avete capito bene, due chilometri), ombreggiato, che si snoda attraverso la città.
Immaginatevelo: un parco lineare che cambia forma e larghezza, creando “tasche” diverse, ognuna con la sua atmosfera. Dicono che conferirà alla città un “senso unico del luogo”. Beh, considerando che prima c’era solo sabbia, direi che questo è poco ma sicuro. L’idea è quella di puntare tutto sui pedoni e sul trasporto pubblico. Niente macchine che sferragliano ovunque, almeno non nel disegno ideale. Muoversi a piedi tra il verde e l’acqua, cercando di non sciogliersi sotto il sole. Un’impresa, eh?

I sette quartieri e i dettagli “mancanti”
La città sarà divisa in sette quartieri distinti. Ogni nucleo avrà le sue brave case, uffici, negozi, luoghi di culto. Insomma, tutto quello che serve per tirare su una città dal nulla. Ma attenzione, qui viene il bello (o il meno bello): al momento mancano dettagli fondamentali.
Tipo? Le dimensioni totali della città. La sua popolazione. E, dettaglio non da poco, quando diavolo sarà finita.
Promettono tetti verdi, piante locali, alberi e specchi d’acqua. Tutto per rendere la vita un po’ più sopportabile. E qui sorge spontanea una domanda: quanta acqua, quanta energia, quanta manutenzione servirà per tenere in vita questo paradiso artificiale nel bel mezzo di un deserto?
Sostenibilità? Dipende dall’aria condizionata
Parlano di sistemi di energia rinnovabile (almeno in parte) e di acqua riciclata per l’irrigazione. Sono passi lodevoli, certo. Ma si può davvero definire “sostenibile” una città che esiste solo grazie a un massiccio intervento umano per combattere un clima che urla “stai a casa o muori di caldo”?
La sfida non è solo costruire, ma mantenere. Mantenere l’ombra, l’acqua, l’aria respirabile. E qui l’aria condizionata (che non viene mai citata esplicitamente nelle descrizioni entusiastiche, ma sapete che c’è) gioca un ruolo, diciamolo, centrale.
Questo progetto, come una città che “sorgerà dal deserto”, è un’altra tessera nel mosaico delle ambizioni del Golfo.

Non siete soli a costruire nel nulla
Già Dubai si arrabatta per rendere la sua città un po’ più “pedonale”, un tentativo forse di rimediare agli eccessi del passato. E poi c’è l’Arabia Saudita, che sta letteralmente impazzendo con progetti titanici come la JEC Tower (il grattacielo che doveva toccare il cielo e che ora è in pausa) e soprattutto The Line.
Un concetto che, come vi ho accennato qui, è quello di piegare la geografia alla volontà umana (e alle possibilità economiche). Queste iniziative sembrano gare a chi ce l’ha più… artificiale? Più grande? Più fuori di testa?
Del resto, secondo diverse fonti, il Medio Oriente è il nuovo parco giochi dell’architettura estrema, dove i limiti sono solo la fantasia e la quantità di petrolio estratto.
E quindi? Vivremo in un’oasi di plastica?
Alla fine, la Khalid Bin Sultan City a Sharjah è l’ennesimo capitolo di questa storia. Una storia di ambizione, denaro a palate e il desiderio di dimostrare che anche nel luogo più inospitale si può creare qualcosa di “umano”, di “verde”, di “vivibile”.
Vi fa riflettere, no? Sulla nostra eterna lotta contro la natura, sul nostro bisogno di plasmare il mondo a nostro piacimento, anche quando questo va contro ogni logica apparente. Sarà davvero un luogo dove la gente vorrà vivere, camminare sotto il sole filtrato e ammirare palme che sanno un po’ di fotomontaggio? O sarà l’ennesima cartolina patinata, un set cinematografico nel deserto?
Torniamo alla sabbia iniziale. Quella distesa infinita che, con la sua monotonia, almeno non vi prometteva paradisi artificiali. Questo nuovo progetto vi promette un’oasi. Speriamo solo che, una volta lì, l’acqua non sia finta e l’aria sia un po’ più fresca di quello che immaginate, anche se siete a un passo da una “foresta” di gru.