Mettiamola così: se la celiachia fosse un ladro, finora per beccarlo dovevamo prima aprirgli la porta di casa e invitarlo a derubarci. Perché il glutine challenge, quella tortura medievale travestita da procedura medica, funziona proprio così: ti costringe a stare male per sapere se hai motivo di stare male. Ma i ricercatori del Walter and Eliza Hall Institute hanno trovato un modo per smascherare il colpevole senza dargli le chiavi. Un test della celiachia si basa su un’analisi del sangue che individua le cellule T specifiche per il glutine anche quando sono “a riposo”. Praticamente come beccare un criminale dalle impronte digitali invece che aspettare che commetta il crimine.
Il test della celiachia che funziona al contrario
Oggi, per diagnosticare la celiachia con certezza, bisogna talvolta seguire un protocollo che sembra uscito dal Medioevo: mangiare glutine per settimane (anche se ti fa star male), poi sottoporsi a gastroscopia con biopsia intestinale. Un percorso che ha scoraggiato milioni di persone dal cercare una diagnosi, lasciando circa l’80% dei celiaci senza saperlo.
Il nuovo test sviluppato in collaborazione con Novoviah Pharmaceuticals ribalta completamente l’approccio. Invece di provocare una reazione immunitaria mangiando glutine, il sangue del paziente viene esposto al glutine direttamente in laboratorio. Se ci sono cellule T specifiche per il glutine, rilasciano interleuchina-2 (IL-2) in quantità misurabili.
Jason Tye-Din, gastroenterologo che guida il laboratorio di ricerca sulla celiachia, lo spiega bene:
“Ci sono probabilmente milioni di persone nel mondo che vivono con celiachia non diagnosticata semplicemente perché il percorso verso la diagnosi è difficile e a volte debilitante”.

Celiachia, i numeri che contano
I risultati pubblicati sulla rivista Gastroenterology parlano chiaro: 90% di sensibilità e 97% di specificità. In parole semplici, il test becca 9 celiaci su 10 e sbaglia solo 3 volte su 100 quando dice che non c’è celiachia. Lo studio ha coinvolto 181 partecipanti: 75 persone che seguivano già una dieta senza glutine, 13 con celiachia attiva non trattata, 32 con sensibilità al glutine non celiaca e 61 controlli sani.
Olivia Moscatelli, ricercatrice che ha vissuto in prima persona la diagnosi di celiachia a 18 anni, sottolinea un aspetto cruciale: “Abbiamo anche scoperto che l’intensità del segnale IL-2 si correla con la gravità dei sintomi del paziente, permettendoci di prevedere anche quanto severamente una persona celiaca potrebbe reagire al glutine, senza che debba effettivamente mangiarlo”.
Il test della celiachia che vede l’invisibile
Una delle scoperte più importanti riguarda la cosiddetta “celiachia silenziosa“: persone senza sintomi evidenti ma con danni intestinali in corso. I metodi diagnostici attuali spesso la mancano, ma questo test riesce a individuarla. È come avere un rivelatore di fumo che funziona anche quando non vedi ancora le fiamme.
Il test funziona persino in presenza di altre malattie autoimmuni come diabete di tipo 1 o tiroidite di Hashimoto, condizioni che spesso creano falsi positivi negli esami tradizionali. “La tecnologia che usiamo è altamente sensibile e può rilevare il segnale IL-2 a livelli eccezionalmente bassi”, spiega Moscatelli. “È come riuscire a rilevare un singolo granello di sabbia in una piscina”.
Il test della celiachia del futuro è già qui
Come abbiamo sottolineato in questo articolo, la ricerca sulla celiachia sta facendo passi da gigante. Questo nuovo approccio diagnostico rappresenta un cambio di paradigma che potrebbe finalmente far emergere quella parte dell'”iceberg della celiachia” che resta nascosta proprio a causa delle difficoltà diagnostiche.
Il team ora sta lavorando con Novoviah per confermare l’accuratezza del test su popolazioni più diverse e raccogliere i dati necessari per le approvazioni regolatorie. Se tutto procederà come previsto, presto potremmo dire addio al paradosso di dover star male per scoprire perché stiamo male.