Il Washington Post ha appena annunciato che sostituirà parte dei suoi editor con Ember, una intelligenza artificiale. Non è uno scherzo, né l’ennesima boutade di Jeff Bezos. La scrittura assistita tramite AI è il primo esperimento su larga scala di una testata mainstream che affida la supervisione editoriale a un algoritmo.
L’obiettivo dichiarato è attirare “scrittori non professionisti” e trasformarli in contributori attraverso suggerimenti automatizzati e analisi della struttura narrativa. Se alcune redazioni sperimentano l’AI per automatizzare i contenuti, il Washington Post fa un passo oltre: automatizza la formazione stessa dei giornalisti.
Ember: l’editor che non dorme mai
Il progetto interno chiamato “Ripple” ha già superato la fase di ricerca e sviluppo, iniziata oltre un anno fa. Lippe Oosterhof, consulente strategico del Washington Post e sviluppatore del sistema, ha creato quello che potrebbe essere il primo editor artificiale della storia del giornalismo. Ember non si limita a correggere grammatica e sintassi: analizza la struttura narrativa, suggerisce miglioramenti e guida gli aspiranti scrittori attraverso un processo di coaching personalizzato.
Il “tracker della forza narrativa” rappresenta il cuore del sistema. L’interfaccia mostra in tempo reale come si sta sviluppando l’articolo, con una barra laterale che evidenzia gli elementi fondamentali: “tesi iniziale”, “punti di supporto” e “finale memorabile”. Un assistente AI live fornisce domande di sviluppo e suggerimenti per aggiungere “punti di supporto solidi”. È come avere un redattore capo che sussurra costantemente all’orecchio, ma che non si stanca mai e costa molto meno.
La sperimentazione partirà questa estate con partnership editoriali, per poi espandersi in autunno al testing con “scrittori non professionisti”. Il Washington Post ha già identificato potenziali collaboratori: dall’Atlanta Journal-Constitution al Salt Lake Tribune, passando per popolari autori di Substack come Matt Yglesias e The Dispatch.
Washington Post, quando il business incontra l’innovazione forzata
La mossa arriva in un momento di profonda crisi per il Washington Post. Jeff Bezos sta cercando disperatamente di invertire la rotta di un’azienda che ha perso centinaia di migliaia di abbonati e milioni di dollari. La pressione per ridurre i costi e trovare nuove fonti di revenue ha spinto la dirigenza verso soluzioni sempre più creative e controverse.
Il progetto Ripple mira a raggiungere potenzialmente 38 milioni di adulti americani, secondo le ricerche interne. L’idea è semplice: se non puoi permetterti giornalisti professionisti, crea un sistema che trasformi chiunque in un giornalista competente. È la logica dell’economia delle piattaforme applicata al giornalismo tradizionale. Funzionerà?
La scrittura assistita che divide le redazioni
Non tutti nel settore vedono di buon occhio questa evoluzione. Come abbiamo già analizzato, l’intelligenza artificiale nel giornalismo non è una novità. Già nel 2017 il Washington Post aveva lanciato Heliograf, il suo primo robot-giornalista per coprire eventi sportivi e risultati elettorali. Ember ora rappresenta un salto qualitativo: non produce contenuti, ma forma chi li produce.
La questione va oltre la semplice automazione. Secondo l’Ordine dei Giornalisti, l’85% degli operatori del settore si aspetta che l’AI diventi fondamentale per personalizzare i contenuti e velocizzare i flussi di lavoro. Tuttavia, affidare la supervisione editoriale a un algoritmo solleva interrogativi etici e professionali inediti.

Washington Post, il paradosso della democratizzazione
Il Washington Post sostiene di voler “democratizzare” il giornalismo, rendendo la scrittura di qualità accessibile a chi non ha una formazione specifica. In realtà, sta creando un sistema in cui la competenza umana viene sostituita da prompt predefiniti e analisi statistiche. È davvero democratizzazione o (passatemi il termine) è la “commoditizzazione” definitiva della professione giornalistica?
La scrittura assistita promette di liberare i “veri” giornalisti da compiti ripetitivi, permettendo loro di concentrarsi su analisi approfondite e inchieste. Ma cosa succede quando l’AI diventa così brava da rendere superflua anche quella supervisione umana che il Washington Post promette di mantenere?
Verso un giornalismo senza giornalisti
Il progetto Ember è un banco di prova per l’intero settore. Se funziona, ogni editore sarà tentato di replicarlo. Se fallisce, dimostrerà che alcuni aspetti del giornalismo restano irriducibilmente umani. Il Washington Post sta giocando con il futuro stesso della professione, e la posta in palio è molto più alta dei semplici bilanci aziendali.
Forse la vera domanda non è se l’intelligenza artificiale possa scrivere bene quanto un giornalista, ma se siamo davvero pronti a vivere in un mondo dove la distinzione tra contenuto professionale e amatoriale si dissolve completamente nell’algoritmo.
Il Washington Post ha scelto: e voi, da che parte state?