Il primo gennaio 1913 non fu solo Capodanno. Fu il giorno in cui l’Ufficio postale americano lanciò il Parcel Post. Cos’era? Un servizio per spedire pacchi pesanti, finalmente. Una vera svolta, dicevano. Apriva mercati, univa il paese rurale. Tutti entusiasti, specialmente chi viveva lontano dai centri abitati. Ma sapete com’è, l’entusiasmo a volte genera idee… diciamo, alternative. Se puoi spedire un pacco pesante, perché non un pacco vivo?
Un pacco piccolo, magari sotto i 5 chilogrammi (11 libbre circa, il limite di peso iniziale), da affidare al fidato postino rurale. E così, nel giro di poche settimane, spuntarono i primi casi: bambini spediti per posta, con tanto di francobollo.
Un pacco un po’ troppo… umano
Avete presente quando una nuova regola o un nuovo servizio viene introdotto e la gente subito cerca di capire fino a che punto può spingerne i limiti? Bene, questo è esattamente quello che successe con il Parcel Post. Non era certo l’intenzione dell’Ufficio postale creare un servizio di baby-sitting a domicilio via sacco della posta. Eppure, la mente umana, nel suo costante sforzo di ottimizzare (o, più spesso, di arrangiarsi), trovò questa singolare soluzione.
La prima storia documentata, quella che fece un po’ di rumore, riguarda una coppia dell’Ohio, Jesse e Mathilda Beagle. Era solo poche settimane dopo l’inaugurazione del servizio. Decisero di “spedire” il loro figlio di otto mesi, il piccolo James, alla nonna. Distava solo pochi chilometri (qualche miglio) a Batavia. Il bambino era sotto il limite di peso, per fortuna, e l’operazione costò la modica cifra di 15 centesimi in francobolli. Per non saper né leggere né scrivere, lo assicurarono per 50 dollari. Una cifra che, a pensarci, dice molto sul “valore” attribuito al “pacco” in termini assicurativi, ma lasciamo perdere.
Secondo Jenny Lynch, storica dello United States Postal Service (USPS), questa storia finì sui giornali “probabilmente perché era carina”. Carina? Un bambino spedito per posta? Vabbè, de gustibus. Fatto sta che l’idea, per quanto bizzarra, prese piede.

Il “corriere” d’eccezione e l’Ufficio postale
Non pensate che i bambini venissero infilati a casaccio nei sacchi postali, tra lettere e pacchi fragili. O almeno, non sempre. Il caso più noto, quasi leggendario, è quello di Charlotte May Pierstorff, una bimba di quattro anni dell’Idaho. Era il febbraio 1914. May fu “spedita” via treno da Grangeville a casa dei nonni, a circa 117 chilometri (73 miglia) di distanza.
Perché spedire una bambina di quattro anni invece di farle prendere un biglietto del treno? Semplice, dice la signora Lynch: “La tariffa postale era più economica di un biglietto del treno.” Ecco la vera spinta: il portafoglio. La stessa spinta che oggi ci fa cercare lo sconto online o il codice promozionale. L’eterna legge del minimo sforzo (economico, in questo caso).
Fortunatamente per la piccola May, non fu trattata come un pacco di patate. Fu accompagnata durante il viaggio dal cugino di sua madre, che lavorava come impiegato nel servizio postale ferroviario. È probabile che la sua posizione (e magari un po’ di beneplacito locale, come a volte accadano cose strane e inattese) abbia permesso questa spedizione “speciale”. La sua storia è diventata così famosa che le hanno persino dedicato un libro per bambini, Mailing May. Un classico per augurare la buonanotte con un brivido postale? Chissà.
Quando il postino era di famiglia
Questi episodi, che spuntavano di tanto in tanto grazie a postini rurali disposti a chiudere un occhio (o forse solo a interpretare le regole in modo molto… elastico), ci dicono qualcosa di più profondo del semplice risparmio. Ci parlano del ruolo centrale che il postino aveva nelle comunità rurali americane all’inizio del ventesimo secolo.
Erano figure di fiducia, a volte le uniche persone a visitare regolarmente le case più isolate. Non portavano solo lettere e cataloghi (che con il Parcel Post diventavano ordini consegnabili). Erano un collegamento con il mondo esterno, un punto di riferimento. C’erano storie di postini che aiutavano in caso di malattia, o persino che assistevano al parto. Erano, come li definisce Jenny Lynch, “servitori fidati.” E questa fiducia era tale da far credere ad alcuni genitori di poter affidare a loro persino la sicurezza dei propri figli per un breve tragitto.
Le regole? Dettagli.
Certo, non passò molto tempo prima che qualcuno, ai piani alti dell’Ufficio postale, si accorgesse che forse spedire esseri umani non era esattamente lo scopo del Parcel Post. Nel giugno 1913, giusto qualche mese dopo i primi casi, diversi giornali (come il Washington Post, il New York Times e il Los Angeles Times) annunciarono che l’amministratore delle poste aveva ufficialmente vietato la spedizione di bambini.
Ma, ironia della sorte, la Lynch rivela che “Secondo i regolamenti a quel punto, gli unici animali permessi nella posta erano api e insetti.” Quindi, i bambini non erano mai stati legalmente spedibili. Non c’era bisogno di un nuovo divieto, c’era solo bisogno che qualcuno si ricordasse delle regole esistenti e magari iniziasse a farle rispettare un po’ più rigidamente. La storia di May Pierstorff spedita con la “tariffa polli” è un altro aneddoto che circola, anche se, sempre secondo la storica, “i pulcini non erano ammessi prima del 1918.” Insomma, un bel caos normativo, o forse solo la dimostrazione che la realtà sul campo supera sempre la fantasia burocratica.

Qual è “l’ufficio postale” dell’era moderna?
Questo episodio de “il futuro di ieri” dedicato all’Ufficio postale ci ricorda, con un sorriso un po’ amaro, come spesso l’adozione di una nuova tecnologia o di un nuovo servizio non sia mai lineare. C’è una fase di “selvaggia sperimentazione” da parte degli utenti, che provano a piegarla alle proprie esigenze, a volte in modi del tutto inattesi e potenzialmente pericolosi.
Ed è qui che entra in gioco la riflessione: quanto spesso vediamo accadere qualcosa di simile oggi? Pensate a nuove piattaforme, a nuove forme di intelligenza artificiale. Vengono lanciate con uno scopo preciso, ma poi l’ingegno umano (o la sua propensione a trovare scorciatoie) le trasforma, le usa in modi che i creatori non avrebbero mai immaginato, sollevando questioni etiche, di sicurezza, di semplice buon senso. È come se la storia, in forme diverse, continuasse a riproporci lo stesso copione: un nuovo strumento, un periodo di apprendimento collettivo, a volte un po’ caotico e pieno di errori divertenti (se visti con il senno di poi) o preoccupanti.
Oggi, per fortuna, i bambini hanno un’ampia gamma di opzioni di viaggio decisamente più convenzionali rispetto a farsi attaccare un francobollo addosso e aspettare il postino. Ma la storia del Parcel Post e dei suoi piccoli “pacchi” umani ci lascia con la consapevolezza che ogni progresso, ogni nuova possibilità, porta con sé non solo l’innovazione attesa, ma anche l’imprevedibilità dell’uso che ne farà l’uomo.
Un piccolo promemoria, avvolto in un sacco di tela, che il futuro è sempre un po’ più strano di come lo immaginiamo.