Trentacinque anni fa un giornalista scrisse qualcosa che oggi ci toglie il sonno: i computer come “una droga del futuro” che offre “felicità artificiale”. Sembrava un’esagerazione, una di quelle previsioni destinate a invecchiare male. Invece è successo l’opposto. Il mondo virtuale che allora veniva descritto come minaccia futuristica è diventato il nostro habitat naturale.
Ogni giorno spendiamo ore in ambienti digitali, cerchiamo gratificazioni immediate negli schermi, costruiamo identità alternative attraverso avatar. Quella “cocaina elettronica” di cui si parlava nel 1990 ha un nome oggi: si chiama semplicemente “vita quotidiana”.
Quando il futuro bussò alla porta dei giornali

Il 25 gennaio 1990, La Stampa pubblicava un articolo che oggi fa tremare i polsi. Il titolo era inequivocabile: “Computer, cocaina del futuro. Dona una felicità artificiale e pericolosa”. Ma non si fermava lì. L’articolo descriveva nel dettaglio come la “simulazione elettronica” avrebbe trasformato le nostre fantasie in realtà, creando dipendenze comportamentali simili a quelle delle sostanze stupefacenti.
Il pezzo andava oltre la semplice provocazione. Parlava di persone che avrebbero trascorso ore intere immerse in mondi virtuali, perdendo il contatto con la realtà fisica. Descriveva come questi ambienti digitali avrebbero offerto esperienze “più pervasive e controllabili” di quelle reali, creando una forma di dipendenza psicologica potentissima. Letteralmente, stava descrivendo il 2025.
Il mondo virtuale che non doveva esistere esiste eccome
Oggi sappiamo che esistono 141 mondi virtuali attivi, popolati da centinaia di milioni di avatar. Il mercato del metaverso vale già centinaia di miliardi e la Commissione Europea stima una crescita di 800 miliardi di euro entro il 2030. Quell’articolo del 1990 aveva previsto perfino questo: parlava di un’economia parallela che si sarebbe sviluppata attorno alla “felicità virtuale”.
Ma la previsione più agghiacciante riguardava gli effetti neurobiologici. L’articolo suggeriva che l’interazione con ambienti virtuali avrebbe modificato i circuiti cerebrali del piacere, proprio come fanno le droghe tradizionali. Ricerche recenti confermano che la dipendenza da internet provoca cambiamenti cerebrali simili a quelli causati da cocaina, eroina e alcol. I ricercatori chiamano questo fenomeno “cocaina digitale” senza nemmeno sapere che il termine era già stato coniato nel 1990.
La profezia del controllo sociale attraverso il mondo virtuale
La Stampa del 1990 conteneva un passaggio particolarmente inquietante. L’autore, Ennio Caretto, storico giornalista e scrittore corrispondente dall’estero, suggeriva che i mondi virtuali sarebbero diventati strumenti di controllo sociale, offrendo alle persone una valvola di sfogo per frustrazioni e desideri insoddisfatti nella vita reale. Una forma di “oppio dei popoli” digitale che avrebbe reso le masse più docili e meno inclini alla ribellione.
Guardando come le aziende oggi utilizzano il mondo virtuale per influenzare comportamenti d’acquisto e come i governi studiano questi ambienti per comprendere i meccanismi sociali, quella previsione fa venire i brividi. Il 77% dei progetti aziendali online si concentra su retail ed entertainment: esattamente quello che l’articolo prevedeva come “commercializzazione del sogno”.
Il lato oscuro della felicità artificiale nel mondo virtuale
L’aspetto più profetico dell’articolo si addentrava nelle possibili conseguenze psicosociali. Si parlava di persone che avrebbero preferito le relazioni virtuali a quelle reali, di giovani incapaci di distinguere tra esperienza digitale e fisica, di una società sempre più frammentata tra chi vive nel mondo virtuale e chi vi resiste.
Studi attuali dimostrano che l’utilizzo intensivo di mondi virtuali può portare all’isolamento sociale, esattamente come temuto nel 1990. La possibilità di vivere vite alternative attraverso avatar perfetti crea aspettative irrealistiche verso la realtà fisica. Come spiegavano anche noi in questo approfondimento sui rischi psicologici della tecnologia, la linea tra identità digitale e reale si sta assottigliando pericolosamente.
Quando la previsione diventa istruzione d’uso
Il paradosso più amaro è che quell’articolo di La Stampa non voleva essere un manuale, ma un avvertimento. Descriveva un futuro distopico che sperava di scongiurare attraverso la consapevolezza. Invece, sembra quasi che l’umanità abbia usato quelle previsioni come una roadmap verso il presente.
Ironia della sorte? Oggi i ricercatori utilizzano la realtà virtuale per studiare e trattare le dipendenze da cocaina, chiudendo un cerchio concettuale iniziato trent’anni fa. Il computer non è diventato la cocaina del futuro: è diventato qualcosa di più sottile e pervasivo. È diventato l’aria che respiriamo nel mondo virtuale che ci siamo costruiti intorno.
Forse dovremmo ringraziare quel giornalista del 1990. Non per aver sbagliato le previsioni, ma per averle centrate con una precisione che ci costringe a guardare noi stessi allo specchio.