Avete mai pensato che le telecamere di sicurezza potrebbero diventare strumenti di morte? A Città del Messico è successo davvero: un hacker dei cartelli messicani ha violato il sistema di videosorveglianza urbano e i dati telefonici di un agente FBI per identificare e far eliminare gli informatori che collaboravano con le autorità americane. È il 2018, l’FBI sta indagando su Joaquín “El Chapo” Guzmán, e qualcuno del cartello di Sinaloa decide di sfruttare la tecnologia per ribaltare il gioco. Il risultato? Morti ammazzati e un rapporto governativo che oggi ci racconta come la sorveglianza digitale sia diventata un’arma a doppio taglio.
Quando la tecnologia diventa complice
La vicenda emerge da un audit di 47 pagine pubblicato dall’Ispettorato Generale del Dipartimento di Giustizia americano. Il documento svela come un hacker al servizio del cartello di Sinaloa sia riuscito a identificare un assistente legale dell’FBI presso l’ambasciata americana a Città del Messico.
Il criminale informatico ha prima osservato chi entrava e usciva dall’ambasciata, poi ha ottenuto il numero di telefono dell’agente federale. A quel punto ha avuto accesso ai registri delle chiamate effettuate e ricevute, oltre ai dati di geolocalizzazione.
Ma la cosa più inquietante è stata l’uso delle telecamere di sorveglianza. Città del Messico aveva installato oltre 18.000 telecamere nel 2018, pensando di aumentare la sicurezza. Invece, l’hacker le ha trasformate in una rete di caccia all’uomo, seguendo l’agente FBI attraverso la città e identificando tutte le persone con cui si incontrava.

Cartelli messicani, il menu dei servizi criminali
Come vi sottolineavo in questo articolo, le operazioni di hacking sono diventate sempre più sofisticate. Il rapporto del Dipartimento di Giustizia rivela che il cartello di Sinaloa aveva assoldato un hacker che offriva “un menu di servizi” per violare telefoni cellulari e altri dispositivi elettronici.
L’epilogo di questa operazione criminale è tragico: secondo l’agente FBI citato nel rapporto, il cartello ha usato queste informazioni per intimidire e, in alcuni casi, uccidere potenziali fonti o testimoni che collaboravano con le autorità.
L’incubo della sorveglianza pervasiva
Questa storia ci fa riflettere su qualcosa di più profondo: viviamo immersi in quella che gli esperti chiamano “sorveglianza tecnica onnipresente”. Ogni nostro movimento viene tracciato da telecamere, ogni nostra chiamata lascia tracce digitali, ogni transazione con carta di credito rivela dove siamo stati.
Il rapporto del Dipartimento di Giustizia è esplicito: i progressi tecnologici hanno reso più facile che mai per nazioni meno sofisticate e organizzazioni criminali identificare e sfruttare le vulnerabilità create da questa sorveglianza diffusa.
Derek Maltz, ex amministratore della DEA, spiega che i cartelli messicani gestiscono imprese multimiliardarie e utilizzano tecnologie sofisticate per migliorare le loro operazioni criminali. Non sono più semplici trafficanti di droga: sono diventati organizzazioni high-tech che usano le stesse tecnologie pensate per proteggerci.
Il paradosso è evidente: le tecnologie di sorveglianza che dovrebbero garantire la nostra sicurezza possono trasformarsi negli strumenti più efficaci per perseguitarci. Quando anche l’FBI fatica a proteggere i propri agenti da queste minacce, dovremmo iniziare a chiederci quanto siamo davvero al sicuro in questo mondo iperconnesso e costantemente monitorato.