Avete mai visto un’azienda licenziare decine di migliaia di persone mentre annuncia investimenti per miliardi? Microsoft l’ha fatto quest’anno, e non è l’unica. Metà del 2025 e il settore tech ha già eliminato più di 94.000 posti di lavoro, ma stavolta i numeri dei licenziamenti raccontano una storia completamente diversa dal passato.
Non si tratta di crisi o difficoltà economiche: queste aziende stanno registrando i profitti più alti della loro storia. Si tratta di qualcosa di molto più inquietante. L’intelligenza artificiale ha iniziato a sostituire il lavoro umano su scala industriale, e nessuno sembra volerlo ammettere apertamente. La verità è che ogni giorno più di 500 lavoratori del settore tecnologico stanno perdendo il posto non per incompetenza o crisi di mercato, ma perché un algoritmo può fare il loro lavoro a costo zero.
Licenziamenti Big Tech, i numeri di una riorganizzazione planetaria
I dati del 2025 sono spietati. Secondo il tracker indipendente Layoffs.fyi, che monitora i licenziamenti nel settore tecnologico globale, siamo già a quota 94.000 posti eliminati in soli sei mesi. Ma non è solo questo: sono numeri che rappresentano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che sta ridisegnando il mercato del lavoro su scala planetaria.
La classifica dei “grandi licenziatori” vede in testa le stesse aziende che guidano la corsa all’intelligenza artificiale. Microsoft ha tagliato oltre 15.000 posizioni mentre investiva 80 miliardi di dollari nello sviluppo dell’IA. Amazon ha eliminato 16.000 posti, Google 12.000, Meta 10.000. Non sono numeri casuali: rappresentano una strategia precisa di sostituzione tecnologica del lavoro umano.
Il caso più emblematico è quello di IBM, che ha licenziato 8.000 dipendenti del reparto risorse umane sostituendoli completamente con il sistema AskHR, un agente conversazionale che automatizza il 94% delle attività di routine. “Il nostro numero totale di dipendenti è in realtà aumentato”, ha dichiarato il CEO Arvind Krishna, “perché l’AI ci ha permesso di investire di più in altre aree”. Una frase che suona come una beffa per chi ha perso il posto, ma che rivela la logica spietata di questa trasformazione.

L’Europa non è immune: dalla Germania all’Italia
Il fenomeno non risparmia l’Europa, dove i licenziamenti seguono dinamiche simili ma spesso con maggiore discrezione mediatica. SAP, il colosso tedesco del software, ha annunciato 8.000 tagli alla forza lavoro nel contesto di quella che l’azienda definisce con una “supercazzolen”
“trasformazione del setup operativo per sfruttare al massimo le sinergie organizzative, grazie all’efficienza AI-driven”.
In Italia, la situazione è altrettanto preoccupante. IBM Italia ha annunciato il licenziamento di 85 dipendenti, riducendo la forza lavoro nel paese a 2.368 unità. Una diminuzione che segue un trend iniziato anni fa: tra il 2019 e il 2020, l’azienda aveva già eliminato circa 1.000 posti di lavoro nel nostro paese.
OpenText ha ufficializzato 1.200 licenziamenti, il 2% della forza lavoro complessiva. UiPath ha programmato una riduzione di 420 unità, il 10% del proprio personale. Ogni annuncio è accompagnato dalla stessa semantica, per non dire retorica: “ottimizzazione”, “efficienza”, “trasformazione strategica”. Parole che nascondono una realtà dolorosa per migliaia di famiglie.

Le professioni sotto tiro: da HR a sviluppo software
Le prime vittime di questa ondata sono state le funzioni considerate “automatizzabili”. I dipartimenti risorse umane sono stati decimati: routine come elaborazione ferie, gestione buste paga, consultazione documentazione dipendenti sono ora gestite interamente da sistemi AI.
Anche il customer service sta subendo una trasformazione radicale. Klarna ha ridotto l’organico di circa 1.000 persone dopo aver implementato assistenti virtuali che svolgono compiti precedentemente affidati a centinaia di operatori. Chegg, la piattaforma educativa, ha tagliato 240 posti (il 22% dello staff) perché molti studenti preferiscono ora utilizzare strumenti come ChatGPT invece dei servizi a pagamento dell’azienda.
Ma la sorpresa arriva dal settore che sembrava più al sicuro: lo sviluppo software. Microsoft riporta che strumenti come GitHub Copilot stanno scrivendo fino al 30% del nuovo codice, riducendo drasticamente la necessità di programmatori junior e di supporto tecnico.

Il “paradosso” dei profitti record
La cosa più sconcertante di questa ondata di licenziamenti è che avviene in un momento di salute economica eccezionale per il settore tech. Microsoft ha registrato ricavi per 70,1 miliardi di dollari nel primo trimestre 2025, con un aumento del 13% rispetto all’anno precedente. Amazon ha visto crescere le vendite dell’11%, raggiungendo 158,9 miliardi di dollari, con un incremento del reddito operativo del 55,6%.
“Non siamo di fronte a licenziamenti legati alla situazione finanziaria dell’azienda”, ha spiegato una fonte interna a Microsoft, “ma piuttosto a un’ottimizzazione dei quadri”. Un eufemismo che nasconde una verità scomoda: queste aziende stanno scoprendo che possono mantenere o addirittura aumentare i profitti con molto meno personale umano.
Licenziamenti, che fine fanno gli umani
Dietro ogni statistica ci sono persone reali, famiglie, progetti di vita stravolti. Il fenomeno sta creando anche un effetto domino preoccupante: le offerte di lavoro IT negli Stati Uniti sono crollate del 70% rispetto ai picchi massimi. Significa che non solo si perdono posti, ma se ne creano anche molti meno di nuovi.
Katherine Wong, dipendente Google all’ottavo mese di gravidanza, ha scoperto di essere stata licenziata a un mese dal congedo di maternità aprendo la propria casella email. Scene simili si sono ripetute in tutto il mondo, da dipendenti Meta che hanno scoperto il licenziamento perché il badge non funzionava più ai tornelli, a ingegneri Microsoft che hanno ricevuto la comunicazione via Teams. Futuro Prossimo ha un canale aperto con i dipendenti Amazon (che spesso chiedono di restare anonimi) e negli scorsi mesi sono arrivate storie simili anche dall’azienda di Bezos. Siamo qui, comunque, per tutti. Scriveteci, vi ascolteremo.
Verso un futuro incerto ma non necessariamente apocalittico
Sarebbe facile cadere nell’allarmismo, ma la realtà è più sfumata. L’intelligenza artificiale sta effettivamente sostituendo alcune categorie di lavoro, ma ne sta anche creando di nuove. Le stesse aziende che licenziano assumono anche: Meta, Google e Salesforce hanno aperto centinaia di posizioni per esperti in intelligenza artificiale negli ultimi mesi.
Il problema è che questa transizione sta avvenendo a velocità disumana, senza dare il tempo necessario per la riqualificazione professionale. Come vi sottolineavo in questo articolo, spesso l’AI viene usata come capro espiatorio per decisioni aziendali scomode. Ma stavolta i dati suggeriscono che il collegamento tra intelligenza artificiale e licenziamenti sia molto più diretto e strutturale.
Licenziamenti Big Tech, la necessità di nuove regole
Il 2025 ci sta mostrando che l’integrazione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro non è più una questione di “se”, ma di “come”. Secondo il World Economic Forum, l’AI potrebbe eliminare 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025, creandone contemporaneamente 97 milioni di nuovi legati all’economia digitale (. Certo, mediaticamente è più facile vedere i licenziamenti che le assunzioni, ma è anche vero che in termini di impiego umano è una presa in giro oggi parlare di “fase espansiva”.
La sfida non è fermare il progresso tecnologico, ma gestirlo in modo che non lasci indietro centinaia di migliaia di persone. Servono politiche di riqualificazione professionale, reti di sicurezza sociale più robuste, e forse (anzi, soprattutto) un dibattito onesto su come redistribuire i benefici di questa nuova efficienza.
Perché alla fine, dietro ogni algoritmo che sostituisce un lavoratore, c’è sempre un essere umano che deve reinventare la propria vita. E questo, nessuna intelligenza artificiale potrà mai farlo al posto suo.