Avete mai pensato che mentre leggete questo articolo, qualcuno (magari proprio io) potrebbe star cercando di influenzare il vostro modo di pensare? Non è paranoia. È la nuova frontiera della guerra ibrida, dove il campo di battaglia non è un territorio fisico ma la vostra mente.
Dai laboratori della NATO ai centri di ricerca cinesi, dalle operazioni russe ai programmi USA, tutti stanno perfezionando tecniche per conquistare il territorio più prezioso: la coscienza umana. E funziona meglio di qualsiasi missile.
Quando tutti giocano sporco
La guerra ibrida non è un’invenzione russa, anche se Mosca l’ha perfezionata con maestria. È diventata il nuovo standard operativo per tutte le superpotenze, ognuna con le proprie specialità. La Russia eccelle nel “controllo riflessivo”, una tecnica che manipola le percezioni dell’avversario senza che se ne accorga. Dal 1952, quando il KGB creò il Dipartimento D per la disinformazione, Mosca ha trasformato la manipolazione cognitiva in una dottrina militare completa.
Ma sarebbe ingenuo pensare che sia solo una questione russa. La Cina ha sviluppato quello che l’Esercito Popolare di Liberazione chiama “dominio cognitivo” (认知域作战), una strategia che considera il cervello umano come un vero e proprio teatro operativo.
Pechino utilizza quello che definisce “potere del discorso” per plasmare narrazioni globali, dalle questioni dello Xinjiang alle rivendicazioni su Taiwan. I ricercatori americani hanno documentato come l’intelligenza artificiale cinese generi automaticamente propaganda anti-americana sui social media, sperimentando in tempo reale quali messaggi funzionano meglio.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, non stanno certo a guardare. Il Pentagono ha ufficialmente riconosciuto la dimensione cognitiva come un nuovo dominio operativo, accanto a terra, mare, aria, spazio e cyberspazio. I militari americani parlano apertamente di “manovre cognitive” e sviluppano sistemi per ottenere quello che chiamano “cognitive overmatch” (superiorità cognitiva) sui nemici.
Potevano mancare altre potenze?
Anche la NATO è entrata (da un bel po’) nella guerra ibrida
L’Alleanza Atlantica ha iniziato a sviluppare il proprio concetto di guerra cognitiva nel 2021, creando centri specializzati come l’Innovation Hub canadese. Il documento ufficiale NATO è cristallino: “la mente umana diventa il campo di battaglia” e l’obiettivo è “cambiare non solo ciò che le persone pensano, ma come pensano e agiscono”.
La guerra cognitiva integra capacità cyber, informative, psicologiche e di ingegneria sociale per raggiungere i propri fini. Porta avanti con successo operazioni che plasmano e influenzano le convinzioni e i comportamenti individuali e di gruppo per favorire gli obiettivi tattici o strategici dell’aggressore.
Ma chi sono “l’aggredito” e “l’aggressore” in questo scenario? Difficile dirlo, specie alla luce di un dato allarmante: secondo il documento strategico NATO, la guerra cognitiva si distingue dalla propaganda tradizionale perché “tutti partecipano, per lo più involontariamente, all’elaborazione delle informazioni e alla formazione della conoscenza”. Con il nostro doomscrolling sui social non siamo più vittime passive: siamo complici inconsapevoli che alimentano il sistema che ci manipola.
Intelligenza artificiale e guerra ibrida: la tempesta perfetta
L’arrivo dell’intelligenza artificiale ha trasformato la guerra ibrida da operazione costosa a macchina automatizzata. Quello che prima richiedeva eserciti di troll umani ora può essere gestito da algoritmi che lavorano 24 ore su 24, testando in tempo reale quale contenuto funziona meglio su specifici target demografici. Microsoft ha identificato software cinesi che generano autonomamente propaganda anti-americana, mentre ricercatori europei stimano che oltre 150 aziende stiano sviluppando “soggetti sintetici” per applicazioni di manipolazione cognitiva.
La vera rivoluzione sono i deepfake e il microtargeting guidato dall’AI. Immaginate contenuti falsi ma convincenti, personalizzati sui vostri bias cognitivi specifici e distribuiti attraverso algoritmi che conoscono le vostre vulnerabilità meglio di voi stessi. È già successo nelle elezioni del 2024, quando una AI russa ha creato messaggi di disinformazione personalizzati per singoli elettori americani.
L’aspetto più inquietante? Nessuna delle superpotenze coinvolte nega di utilizzare queste tecniche. La differenza sta solo nell’ammettere apertamente gli obiettivi. Come osserva Emanuel Pietrobon, analista del Centro Studi Machiavelli:
“Le democrazie liberali sono particolarmente vulnerabili alle operazioni cognitive, ma ad oggi mancano strategie di prevenzione e deterrenza adeguate”.

Guerre cognitive e diritto internazionale: nel limbo
Il problema più grande della guerra ibrida è la sua natura sfuggente dal punto di vista legale. Come si fa a dichiarare guerra a chi ti sta manipolando psicologicamente senza mai sparare un colpo? Il diritto internazionale, fermo a una concezione classica di conflitto, non contempla attacchi che causano danni reali (dalle morti per disinformazione sanitaria ai suicidi indotti da manipolazione) senza violenza fisica diretta.
Una ricerca dell’Università di Stellenbosch ha documentato come Russia e Cina conducano operazioni cognitive sistematiche in Africa, sfruttando risorse naturali strategiche e vie economiche chiave. Eppure, tecnicamente, nessuna di queste attività costituisce “aggressione” secondo le definizioni tradizionali.
La guerra ibrida opera nella “zona grigia” del conflitto: abbastanza dannosa da destabilizzare società intere, ma sufficientemente sottile da rimanere sotto la soglia che giustificherebbe una risposta militare tradizionale. È il paradosso perfetto dell’era digitale.
Chi vince nella guerra ibrida? Spoiler: nessuno
La tragica ironia della guerra ibrida è che tutti i protagonisti (Russia, Cina, USA, NATO) dichiarano di voler “proteggere” i propri cittadini dalle manipolazioni altrui, salvo poi sviluppare le stesse tecniche per uso proprio. Il risultato? Un’escalation cognitiva dove tutti manipolano tutti, e l’unica certezza è che la fiducia sociale e la coesione democratica ne escono distrutte. Ovunque.
Come nota l’Institute for the Study of War: “Il solo riconoscimento di una campagna di disinformazione o di guerra cognitiva ne neutralizza gli effetti, almeno in gran parte”. Ma quando tutti giocano lo stesso gioco sporco, riconoscere la manipolazione diventa impossibile: ogni denuncia può essere a sua volta propaganda.
La guerra ibrida non crea vincitori e vinti. Crea società frammentate, cittadini confusi e democrazie indebolite. Mentre le superpotenze si contendono il controllo delle narrazioni globali, voi e io restiamo intrappolati in un conflitto “dove l’unica mossa vincente sarebbe non giocare” (cuoricino a chi indovina la citazione e me la scrive sui social di Futuro Prossimo).
Temo che ormai sia troppo tardi, comunque: il gioco è iniziato, e tutti noi siamo già stati arruolati come soldati inconsapevoli in una guerra che si combatte un clic alla volta.