Vi siete mai chiesti perché alcune persone di 80 anni sembrano energiche come quarantenni mentre altre faticano già a 60? La risposta potrebbe suonarvi davvero nuova. Uno studio internazionale appena pubblicato ha scoperto che l’infiammazione cronica, quella che i medici chiamano “inflammaging”, non è affatto inevitabile come pensavamo. Anzi, sembra essere più un prodotto del nostro stile di vita moderno che dell’età stessa.
I ricercatori hanno confrontato popolazioni di quattro continenti e i risultati sono sorprendenti. Li guardiamo insieme? Dai.
Quando l’età non fa male
Alan Cohen e il suo team della Columbia University hanno analizzato campioni di sangue di quasi 3000 persone distribuite in quattro popolazioni molto diverse tra loro. Da una parte italiani del Chianti e singaporiani, rappresentanti delle società industrializzate. Dall’altra gli Tsimane dell’Amazzonia boliviana e gli Orang Asli della Malesia peninsulare, comunità indigene che vivono ancora secondo tradizioni antiche.
Il risultato? Nelle società moderne l’infiammazione aumenta costantemente con l’età, alimentando malattie cardiache, diabete e declino cognitivo. Ma nelle popolazioni indigene questo legame sparisce completamente.
Gli anziani Tsimane hanno livelli di infiammazione che oscillano in base alle infezioni del momento, non all’età anagrafica. “L’inflammaging potrebbe non essere un prodotto diretto dell’invecchiamento, ma una risposta alle condizioni industrializzate”, spiega Cohen nella ricerca pubblicata su Nature Aging.

La “roulette russa” delle infezioni
Il 66% dei Tsimane convive con almeno un parassita intestinale, e oltre il 70% degli Orang Asli ha infezioni attive. Dovrebbero essere più infiammati di noi, no? Invece accade l’opposto. La loro infiammazione è acuta e mirata contro minacce reali, non è quella sorta di nebbia tossica perenne che accompagna il nostro invecchiamento urbano.
Questo fattore ci conferma qualcosa di fondamentale: il nostro sistema immunitario è nato per combattere nemici veri, non per logorarsi contro fantasmi creati dal nostro stile di vita. Come spiegano gli stessi ricercatori della Columbia, stiamo assistendo a un “disallineamento evolutivo tra i nostri sistemi immunitari e gli ambienti in cui viviamo ora”.
Infiammazione, le radici del fenomeno
Il termine inflammaging fu coniato da Claudio Franceschi dell’Università di Bologna, che per primo osservò questo legame letale tra infiammazione e invecchiamento. La sua ricerca ipotizza che la “spazzatura molecolare” prodotta dalle nostre cellule danneggiata si accumuli nel tempo, attivando cronicamente il sistema immunitario.
Ma il vero problema, a quanto pare, non sono i detriti cellulari: è che viviamo in ambienti che confondono le nostre difese. Aria inquinata, diete ipercaloriche, sedentarietà, stress cronico e scarsa esposizione ai microbi durante l’infanzia potrebbero aver creato la tempesta perfetta per l’infiammazione cronica e “progressiva” cui assistiamo.

Oltre l’inflammaging
I biomarcatori tradizionali come la proteina C-reattiva e le citochine pro-infiammatorie raccontano storie diverse a seconda di dove vivi. Quello che per un milanese è segno di invecchiamento patologico, per un Tsimane è semplicemente il sistema immunitario che fa il suo lavoro.
Cohen, su questo, è categorico:
“È un avvertimento. Non seguite le ultime mode alimentari per ridurre l’infiammazione. Non capiamo abbastanza la biologia per poterla microgestire”.
La soluzione, in altri termini, non starebbe nei superfood o negli integratori anti-infiammatori, ma nel ripensare radicalmente il nostro rapporto con l’ambiente.
Il futuro senza infiammazione
La scoperta della Columbia potrebbe rivoluzionare l’approccio alle malattie dell’invecchiamento. Invece di accettare l’infiammazione come inevitabile, potremmo imparare a ricreare (ma non chiedetemi come) le condizioni che permettono agli Orang Asli di invecchiare senza infiammarsi.
Come suggeriscono gli studi più recenti, il futuro della longevità non sta nel combattere l’età, ma nel distinguere l’invecchiamento biologico da quello ambientale. Forse la vera scoperta è che siamo noi a invecchiare male, non che l’invecchiamento sia intrinsecamente dannoso.
La prossima volta che incontrate un ottantenne pieno di energie, non chiedetevi che geni abbia. Chiedetevi piuttosto in che mondo ha vissuto.