Immaginatevi 864 server che lavorano in silenzio a 35 metri sotto la superficie del mare, circondati solo da pesci curiosi e alghe che ondeggiano nella corrente. Per due anni hanno funzionato senza che nessun tecnico li toccasse, producendo meno guasti di qualsiasi data center terrestre. È il cosiddetto Project Natick di Microsoft, l’esperimento che ha dimostrato come l’oceano possa diventare il più efficiente sistema di raffreddamento naturale per i nostri server.
C’è solo un dettaglio: Microsoft ha chiuso il progetto. La Cina, però, ha deciso di trasformarlo in realtà commerciale con risultati sorprendenti che potrebbero dare a tutti una bella lezione.
Quando Microsoft scoprì che i server amano l’acqua salata
La storia inizia nel 2013, quando un dipendente Microsoft con esperienza nella Marina americana suggerì un’idea apparentemente folle: perché non mettere i data center direttamente sott’acqua per risparmiare sui costi di raffreddamento? Ben Cutler, responsabile di Progetto Natick, raccolse la sfida e nel 2018 fece calare un cilindro contenente 864 server a 35 metri (117 piedi) di profondità al largo delle Isole Orcadi in Scozia.
I risultati superarono ogni aspettativa. Dopo due anni di test ininterrotti, Microsoft scoprì che i server sottomarini si guastavano otto volte meno rispetto a quelli terrestri. Il motivo? L’ambiente sigillato riempito di azoto eliminava la corrosione da ossigeno, mentre l’assenza di tecnici umani riduceva vibrazioni e manipolazioni dannose. Come spiegò Cutler:
“Pensiamo che ciò abbia a che fare con questa atmosfera di azoto che riduce la corrosione, il freddo, e anche alla mancanza di persone che mettono mano agli apparati”.
I data center tradizionali consumano circa il 40% della loro energia elettrica solo per il raffreddamento. Questo significa centinaia di migliaia di litri d’acqua dolce pompati ogni giorno per mantenere i server a temperature ottimali. Secondo una ricerca britannica, quasi il 50% dell’energia usata nei data center per il raffreddamento viene letteralmente sprecata.
Microsoft abbandona, la Cina accelera
Nonostante i risultati brillanti, Noelle Walsh, responsabile delle operazioni cloud di Microsoft, ha confermato nel 2024 che la compagnia non costruirà più data center sottomarini. “Il mio team ci ha lavorato, e ha funzionato. Abbiamo imparato molto sulla logistica sottomarina”, ha dichiarato, aggiungendo che useranno le conoscenze acquisite per altri progetti.
Ma mentre Microsoft archiviava l’esperimento, la Cina decideva di trasformarlo in business. Hailanyun (nota anche come HiCloud) ha lanciato il primo data center sottomarino commerciale al mondo: l’Hainan Undersea Data Center, una struttura da 1.433 tonnellate posizionata (guarda caso) a 35 metri di profondità al largo dell’isola di Hainan.
Data center sottomarini: la ricetta cinese per l’IA
Il progetto cinese fa un passo avanti rispetto a Microsoft. Il data center di Shanghai, attualmente in costruzione a sei miglia dalla costa, sarà alimentato al 97% da energia eolica offshore e conterrà 198 rack di server nella prima fase, sufficienti per ospitare fino a 792 server compatibili con l’IA.
La potenza di calcolo promessa è impressionante: secondo Li Langping, portavoce di Hailanyun, il sistema sarà in grado di completare l’addestramento dell’equivalente di GPT-3.5 in una sola giornata. Ma il vero punto di forza sta nel raffreddamento naturale.
A differenza dei sistemi terrestri che spruzzano acqua nell’aria o la fanno evaporare vicino ai server, i data center sottomarini pompano direttamente l’acqua di mare attraverso radiatori montati sul retro dei rack. Questo processo elimina completamente il bisogno di acqua dolce e, secondo le valutazioni condotte con l’Accademia Cinese delle Tecnologie dell’Informazione e delle Comunicazioni, riduce il consumo elettrico di almeno il 30%.
Il data center di Hainan può elaborare più di 4 milioni di immagini ad alta definizione in 30 secondi e processare fino a 7.000 richieste di IA al secondo. La struttura è progettata per durare 25 anni e, secondo le stime dell’azienda, permetterà di risparmiare 122 milioni di kWh di elettricità all’anno.
L’occhio critico dell’ambiente marino
Ovviamente, non tutto è rose e fiori sotto il mare. I ricercatori hanno identificato alcuni rischi ambientali che meritano attenzione. Secondo Scientific American, durante le ondate di calore marino, l’acqua di scarico del data center potrebbe essere ancora più calda e contenere meno ossigeno, minacciando la sopravvivenza delle creature acquatiche.
Un altro aspetto preoccupante riguarda la sicurezza. Uno studio del 2024 ha scoperto che i data center sottomarini possono essere danneggiati da specifici rumori prodotti da sistemi di altoparlanti subacquei, sollevando timori per possibili attacchi sonori maliziosi.
Hailanyun risponde alle critiche citando una valutazione condotta nel 2020 nel Fiume delle Perle: “Il calore dissipato dal data center sottomarino ha causato meno di un grado di aumento di temperatura nell’acqua circostante”, sostiene Li Langping. “Non ha causato praticamente alcun impatto sostanziale”.
Data Center, il futuro è già immerso
L’interesse per i data center sottomarini si sta espandendo oltre la Cina. Corea del Sud, Giappone e Singapore stanno valutando progetti simili, alcuni dei quali prevedono strutture galleggianti sulla superficie invece che sommerse.
Il momento sembra perfetto per questa tecnologia. Con l’IA che divora quantità crescenti di energia e l’urgenza di trovare soluzioni sostenibili, i data center sottomarini offrono una via d’uscita elegante: meno consumo energetico, zero spreco d’acqua dolce, e curiosamente, maggiore affidabilità.
Come osserva Shabrina Nadhila dell’Energy Think Tank Ember:
“L’approccio ambizioso della Cina segnala un cambiamento audace verso un’infrastruttura digitale a basse emissioni di carbonio, e potrebbe influenzare le norme globali nel computing sostenibile”.
Forse Microsoft aveva ragione fin dall’inizio, ma ha scelto di fermarsi a un passo dalla meta. La Cina, invece, ha deciso di tuffarsi a capofitto nel futuro. E adesso che i primi risultati cominciano ad arrivare, viene da chiedersi: saremo costretti a seguire l’esempio, o continueremo a sprecare acqua dolce per raffreddare i computer mentre l’oceano ci offre gratuitamente la soluzione?