Gli animali domestici crescono, quelli selvatici si restringono. È successo negli ultimi mille anni e sta accelerando. Lo dimostra uno studio francese che ha analizzato 225.000 ossa, documentando come una sola specie (noi) abbia ridisegnato la biologia di tutte le altre. Dal Medioevo in poi, abbiamo letteralmente spaccato il regno animale in due traiettorie evolutive opposte: da una parte i domestici selezionati per diventare sempre più grandi, dall’altra i selvatici costretti a rimpicciolire sotto la pressione dell’espansione umana.
La grande biforcazione del regno animale
I ricercatori dell’Università di Montpellier hanno compilato 3.858 misurazioni di lunghezza, larghezza e profondità da ossa e denti provenienti da 311 siti archeologici nel Mediterraneo francese. L’analisi copre un arco temporale di 8.000 anni, ma la scoperta più significativa riguarda l’accelerazione verificatasi negli ultimi mille anni. Lo studio pubblicato su PNAS rivela che fino al Medioevo l’evoluzione morfologica di animali domestici e selvatici seguiva traiettorie parallele, influenzata principalmente da fattori ambientali.
Poi qualcosa è cambiato. Dal XII secolo in poi, le due componenti del regno animale hanno iniziato a divergere in modo sempre più marcato. I mammiferi e gli uccelli selvatici sono diventati progressivamente più piccoli a causa della frammentazione degli habitat, della caccia intensiva e della crescita delle popolazioni umane. Quelli domestici, invece, sono cresciuti costantemente grazie alla selezione artificiale mirata a ottenere più carne, latte, lana e forza lavoro.
Oggi la situazione è estrema: la biomassa degli animali domestici rappresenta il 62% di tutti i mammiferi terrestri, quella umana il 34%, mentre i mammiferi selvatici costituiscono appena il 4% del totale. Tra gli uccelli, il 71% della biomassa è costituito da polli d’allevamento. Come documenta CIWF Italia, questa sproporzione ha conseguenze devastanti sulla biodiversità globale.

Quando il clima non basta più
Un aspetto sorprendente dello studio riguarda il ruolo del cambiamento climatico. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le variazioni climatiche non sono state il motore principale di questa trasformazione del regno animale. L’analisi dei dati ambientali degli ultimi 8.000 anni mostra che i fattori antropici hanno avuto un impatto molto più significativo rispetto alle fluttuazioni climatiche naturali.
Il problema è che ora i due fenomeni si sommano. Uno studio del 2024 pubblicato su Nature Communications prevede che entro il 2050 i pesci tropicali saranno del 14-39% più piccoli a causa delle limitazioni nell’approvvigionamento di ossigeno negli individui di taglia maggiore. Meno risorse disponibili significano meno energia, quindi meno prole e corpi ancora più piccoli.
Il caso delle micro-pulcinelle
Gli effetti di questa pressione sono già visibili. Nelle colonie di pulcinelle di mare atlantiche (Fratercula arctica) è emerso il fenomeno delle “micro-pulcinelle”: i piccoli ricevono meno cibo a causa del riscaldamento delle acque, che ha ridotto l’abbondanza di krill del 50% negli ultimi 60 anni. L’energia disponibile per la crescita viene razionata, producendo uccelli sempre più piccoli.
Un po’ come accade con molti uccelli migratori: il riscaldamento globale anticipa l’inizio della primavera, ma quando arrivano nelle aree di nidificazione la fioritura stagionale degli insetti è già finita. I piccoli rimangono senza il cibo necessario per svilupparsi completamente.
Il dato più allarmante arriva dal Living Planet Report 2024 del WWF: in soli 50 anni c’è stato un calo catastrofico del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici. Il crollo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (85%), seguiti da quelli terrestri (69%) e marini (56%).
L’eredità del gigantismo domestico
Sul versante opposto, la selezione artificiale ha prodotto risultati impressionanti. I bovini moderni pesano in media il doppio dei loro antenati medievali. I polli da carne crescono quattro volte più velocemente rispetto a quelli di cinquant’anni fa. Persino i cani domestici mostrano una variabilità di taglia che va dai chihuahua di 2 chili ai mastini di 100: un range che in natura richiederebbe milioni di anni di evoluzione.
Questa trasformazione del regno animale non è solo una curiosità scientifica. Come sottolineano i ricercatori, la dimensione corporea è un “tratto maestro” che influenza tutto: dalla riproduzione alle catene alimentari, dal metabolismo alla capacità di adattamento. Come abbiamo visto studiando l’evoluzione dei dinosauri, la biologia di un animale vincola la direzione della sua evoluzione futura.
La costante riduzione delle specie selvatiche è un segnale d’allarme per la stabilità degli ecosistemi. La crescita continua di quelle domestiche riflette la nostra spinta verso la produttività, ma evidenzia anche le pressioni insostenibili su terra, mangimi e acqua. Messi insieme, questi dati offrono sia uno specchio storico che uno strumento di previsione per gli ecologi.
Dal Medioevo in poi, abbiamo trasformato il regno animale in un esperimento evolutivo su scala planetaria. I risultati sono sotto i nostri occhi: un mondo popolato da giganti addomesticati e nani selvatici. È la “nuova normalità” che abbiamo creato in appena mille anni: ma di normale non ha niente.