Charlie Kirk è morto. Ma non è stata una pallottola a ucciderlo: è stata l’America stessa, malata di odio e incapace di guarire. Il conservatore di 31 anni è caduto mentre faceva quello che aveva sempre fatto: parlare. Ma in un paese dove le parole sono diventate armi e la politica è guerra, parlare può costare la vita.
Un anno fa gli esperti avevano previsto tutto. Violenza post-elettorale, escalation di tensioni, democrazia al collasso. Nessuno li ha ascoltati. Ora Kirk è morto e l’America deve fare i conti con il mostro che ha creato.

Le profezie che nessuno voleva sentire
Un anno fa, il politologo Alexander Cohen aveva messo nero su bianco quello che molti temevano ma nessuno osava dire. Come vi abbiamo raccontato esattamente un anno fa, settembre 2024, Cohen aveva previsto esattamente questa escalation. Ed è andata esattamente così.
Il proiettile che ha ucciso Charlie Kirk il 10 settembre 2025 all’Utah Valley University, lo ribadisco, non è stato sparato da un pazzo isolato. È stato sparato da un’America sempre più armata che ha trasformato la politica in guerra tribale, dove l’obiettivo non è più convincere ma annientare. Cohen aveva capito che il terreno era fertile per nuovi sconvolgimenti. E aveva ragione.
I dati raccolti da Cohen prima delle elezioni 2024 erano inquietanti: il 32% degli americani credeva ancora che le elezioni del 2020 fossero state rubate. Ma c’era di peggio. Il 23% degli americani (e il 33% dei repubblicani) riteneva che “i veri patrioti americani potrebbero dover ricorrere alla violenza per salvare il nostro paese”. Un dato in crescita rispetto al 2021.
Quando le emozioni sostituiscono la politica
Kirk non è morto per le sue idee. È morto perché in America le idee sono diventate identità, e le identità sono diventate eserciti. Uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour nel 2025 conferma quello che molti sociologi temevano: la polarizzazione ideologica negli Stati Uniti ha raggiunto livelli senza precedenti negli ultimi 30 anni.

Come aveva notato la ricercatrice Melissa Butcher nel suo articolo originale, “i sentimenti servono a uno scopo”. Quando condividiamo emozioni intense (rabbia o amore), creiamo legami forti. Ma questi stessi legami ci allontanano dagli altri. Kirk lo sapeva bene: ai suoi eventi di AmericaFest, ripeteva costantemente ai giovani presenti che persone come accademici, atei, senza figli, li odiavano per il fatto di essere conservatori.
Funzionava. Ma funzionava troppo bene. Un po’ come una medicina che, a dosi eccessive, diventa veleno.
Prima di Charlie Kirk: la segregazione “partigiana” che uccide
I numeri raccontano una storia precisa. Secondo una ricerca dell’Università del Connecticut pubblicata a settembre 2025, la polarizzazione politica non è più solo un fenomeno elettorale: è diventata il motore principale delle proteste di strada. Il 42% dei sostenitori di Kamala Harris dichiarava di non avere amici che sostenevano Trump. Quando le persone non si fidano o non socializzano con chi la pensa diversamente, la violenza tra gruppi diventa più probabile.
Kirk era diventato il simbolo perfetto di questa dinamica. Carismatico, combattivo, cinico, insolente, spesso provocatorio. Ma anche efficace e dialettico. Per certi versi, un cliché intollerabile: amava gli Stati Uniti, la libertà, la famiglia e il football americano. Aveva una radio nazionale e girava le università del paese. Milioni di persone lo seguivano.
C’erano tanti momenti in cui diffondeva disinformazione, ma c’erano anche momenti in cui le sue argomentazioni avevano senso. Non è questo il punto, però: il punto è che in un’America dove l’altro deve essere per forza il nemico, Kirk era diventato un bersaglio semplicemente per il fatto di esistere.
La tecnologia ha amplificato tutto. Un rapporto del World Economic Forum del 2025 identifica la disinformazione come la sfida più critica per la coesione politica e la fiducia sociale.
Gli algoritmi dei social media creano “bolle di filtraggio” che massimizzano l’engagement amplificando i contenuti che confermano le nostre convinzioni.

Trump e Harris: benzina sul fuoco
Cohen aveva visto giusto anche sui protagonisti. Donald Trump aveva intensificato la retorica sul “voto rubato”: dalle 100 dichiarazioni durante la campagna del 2020 alle 550 del maggio 2024. Era come se avesse premuto l’acceleratore sulla macchina del caos elettorale.
Dall’altra parte, Kamala Harris dipingeva Trump come una minaccia esistenziale per la democrazia. Una narrazione basata su preoccupazioni legittime, ma che contribuiva a creare quel clima di isteria ostile che Cohen temeva.
I tentativi di attentato contro Trump nell’estate 2024 avevano già mostrato dove stava andando il paese. La reazione tiepida di alcuni settori dell’opinione pubblica, persino i suggerimenti che Trump “se la fosse cercata” (stesse reazioni anche con Kirk in queste ore), erano il termometro di una democrazia malata.
La crisi delle istituzioni e il collasso della fiducia
Dietro l’assassinio di Kirk c’è qualcosa di più profondo della semplice polarizzazione politica. Una ricerca della Columbia Business School del 2025 dimostra che la divisione politica americana influenza ormai persino le scelte di consumo: dove fare shopping, quali marchi comprare, persino per quale squadra fare il tifo.
Come aveva intuito Butcher, le persone ora “si organizzano in base a come si sentono”. Democratici e repubblicani non vivono più negli stessi quartieri, non frequentano gli stessi locali, non guardano gli stessi programmi TV. È una forma di “segregazione partigiana” che rende l’altro non solo diverso, ma incomprensibile.
La fiducia nelle istituzioni centrali si sta sgretolando. Il Congresso ha tassi di approvazione bassissimi. I partiti stessi non godono di fiducia. Questa sfiducia si estende ai media, alle università, persino alle scuole pubbliche. I repubblicani esprimono significativamente più sfiducia verso media e istituzioni educative rispetto ai democratici. Gli Stati Uniti, di fatto, sono in una guerra civile a bassa intensità.
La ricerca di comunità nel caos
Tra tanta disperazione, Butcher aveva intravisto qualcosa di importante. In ogni conversazione che aveva avuto attraverso lo spettro politico americano, la gente parlava del desiderio di “far parte di qualcosa di più grande”, di “sentirsi al sicuro attraverso la comunità”, di “riportare indietro un senso di connessione e cura”.
Anche nei momenti di massima rabbia, le conversazioni rivelavano il desiderio di vivere in relazioni significative e piene di cura. Il problema è che troppo amore può rendere i confini della comunità rigidi e meno adattabili al cambiamento. Ma la connessione può anche contenere il potenziale per contrastare sentimenti di perdita, ambivalenza, odio e violenza.
Kirk, nel suo ultimo discorso prima di essere ucciso, stava rispondendo a una domanda sulla violenza delle armi. L’ironia è palese, e amara: un uomo che parlava di sicurezza attraverso le armi è morto per mano di qualcuno che aveva scelto, sempre attraverso le armi, l’insicurezza come risposta.
Il prezzo delle previsioni
L’assassinio di Charlie Kirk è la conferma che l’America ha superato un punto di non ritorno. Come ha scritto Ian Bremmer nel 2025, gli Stati Uniti si trovano in una “guerra contro se stessi” nonostante mantengano una supremazia economica, militare e tecnologica.
Le previsioni di Cohen si sono avverate con precisione chirurgica. La violenza post-elettorale c’è stata, anche se con modalità diverse da quelle del 6 gennaio. Non serviva un assalto di massa al Campidoglio. Bastavano tre semplici elementi: un proiettile, un uomo, una pistola.
Il risultato? Identico: la democrazia americana sotto attacco, non dall’esterno ma dall’interno.
Ora che le profezie più fosche si sono realizzate, resta una domanda che nessuno vuole affrontare: se un paese non riesce più a gestire le proprie divisioni senza ricorrere alla violenza, può definirsi ancora una democrazia? O è qualcos’altro che non abbiamo ancora il coraggio di chiamare per nome?
A prescindere dalle sue idee, e dalle nostre, Charlie Kirk aveva 31 anni, una moglie e due figli piccoli. Non è tornato a casa. E l’America, o forse il mondo in generale, deve decidere se vuole continuare così o se è ancora in tempo per tornare indietro. Ma ogni giorno che passa, quella strada diventa più difficile da percorrere.