Respiriamo inquinamento da decenni, ormai lo sappiamo. Misuriamo le polveri sottili, contiamo i microgrammi, chiudiamo le città quando i numeri salgono. Ma mentre ci concentriamo sulla chimica, su metalli pesanti e idrocarburi, qualcosa di molto più piccolo viaggia insieme a loro. Batteri. Non tanti, in realtà: una frazione microscopica del particolato.
Eppure bastano e avanzano. Perché le loro tossine, le endotossine per la precisione, scatenano nei polmoni reazioni sproporzionate. Uno studio appena pubblicato su Environmental Science & Technology lo dimostra con numeri che fanno riflettere: queste molecole batteriche hanno un potere infiammatorio da 10.000 a 100.000 volte superiore alla loro massa. Come se in una folla di mille persone, una sola persona potesse fare il rumore di centomila.
Il nemico invisibile nelle polveri sottili
Il team di ricercatori guidato da Jing Yu della City University of Hong Kong ha analizzato campioni di PM2.5 provenienti da due ambienti molto diversi: una zona costiera e un’area urbana. L’obiettivo era capire quanto le componenti microbiche del particolato contribuissero agli effetti infiammatori complessivi. I risultati hanno sorpreso gli stessi autori. Le endotossine, pur rappresentando meno dello 0,0001% della massa totale delle polveri sottili, sono responsabili tra lo 0,1% e il 17% dell’induzione di interleuchina-8, una molecola chiave nei processi infiammatori polmonari.
Questo squilibrio è quello che i ricercatori chiamano “effetto amplificato”. Le endotossine provengono da batteri Gram-negativi, microrganismi che rilasciano queste tossine quando muoiono. Nei campioni analizzati, la loro origine è risultata variabile: nelle zone costiere prevalevano fonti naturali (rapporto naturale-antropico di 1,6:1), mentre nelle aree urbane dominavano quelle antropiche come edifici, impianti di trattamento acque reflue e attività umane (rapporto 0,7:1). Fonti, insomma, che non rientrano nelle categorie tradizionali di inquinamento industriale o da traffico.
Perché anche l’aria “pulita” può far male
La scoperta spiega un fenomeno che da anni lascia perplessi epidemiologi e medici: perché alcune persone sviluppano problemi respiratori anche quando i livelli di inquinamento chimico sembrano relativamente bassi? La presenza di tossine batteriche potrebbe essere il fattore scatenante che fa la differenza tra un’esposizione tollerabile e una potenzialmente pericolosa. Non è solo questione di quante polveri sottili respiriamo, ma di cosa trasportano con loro.
I sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria si concentrano tradizionalmente su parametri chimici: PM10, PM2.5, biossido di azoto, ozono. Ma nessuno misura sistematicamente la componente biologica. Questo approccio, secondo i ricercatori, è ormai superato. Come riportato su Nature, diventa fondamentale considerare anche il carico batterico per ottenere una valutazione completa dei rischi sanitari.
Dalle gomme ai polmoni: il viaggio delle polveri
Le polveri sottili non nascono solo dai tubi di scarico. L’usura degli pneumatici, per esempio, rilascia ogni anno milioni di tonnellate di particelle fini che si disperdono nell’ambiente. Queste microparticelle di caucciù, insieme a quelle prodotte da freni e asfalto, creano un cocktail complesso che va ben oltre la semplice composizione chimica. I batteri vi si depositano sopra, viaggiano sospesi, entrano nei polmoni. E lì scatenano la tempesta.
Le particelle PM2.5, con diametro inferiore a 2,5 micrometri, riescono a superare le difese naturali delle vie respiratorie e raggiungono gli alveoli polmonari. Qui le endotossine batteriche attivano una cascata infiammatoria sproporzionata rispetto alla loro concentrazione. Le cellule che rivestono i polmoni producono citochine pro-infiammatorie, innescando una risposta immunitaria che può diventare cronica.
Ripensare l’inquinamento
La ricerca ha implicazioni pratiche immediate. Ridurre la massa totale delle polveri sottili potrebbe non essere sufficiente se non si interviene anche sulla componente biologica. I ricercatori suggeriscono che abbattere la tossicità del PM2.5 non richiede necessariamente una riduzione proporzionale della sua massa, ma piuttosto un approccio mirato ai componenti ad alta potenza e bassa concentrazione come le endotossine.
Questo significa ripensare le strategie di controllo della qualità dell’aria. Monitorare i batteri Gram-negativi e le loro fonti. Intervenire su impianti di trattamento acque, sistemi di ventilazione degli edifici, gestione dei rifiuti organici. Tutte attività che oggi sfuggono ai radar delle politiche anti-inquinamento tradizionali, concentrate su industrie e traffico.
In Italia, secondo i dati di Legambiente, 25 città su 98 hanno superato nel 2024 i limiti giornalieri di PM10. Ma quanti di questi sforamenti erano legati alla componente chimica e quanti a quella biologica? Non lo sappiamo. Perché non la misuriamo.
Polveri sottili: la buona e la cattiva notizia
La buona notizia è che identificare i componenti ad alta potenza potrebbe rendere le strategie di abbattimento più efficaci e meno costose, soprattutto nelle regioni con livelli di PM2.5 già moderati. La cattiva notizia è che abbiamo passato decenni a guardare nella direzione sbagliata. O almeno, a guardare solo metà del problema.
Forse è il momento di iniziare a respirare con più consapevolezza. Non solo di quanta aria sporca ci circonda, ma di cosa c’è davvero dentro. Anche se sono solo pochi batteri. Perché a volte, i nemici più pericolosi sono quelli che non vedi arrivare.