I qubit hanno un problema di socializzazione: devono rimanere isolati per mantenere le proprietà quantistiche, ma allo stesso tempo devono interagire per fare calcoli utili. È il paradosso centrale del quantum computing che i ricercatori dell’Università del New South Wales hanno risolto con eleganza: qubit di fosforo che si parlano attraverso elettroni messaggeri. Una scoperta pubblicata su Science che potrebbe integrare il calcolo quantistico direttamente nei chip di silicio, usando gli stessi strumenti dell’industria elettronica moderna.
Quando gli atomi scoprono il telefono
Il team guidato da Andrea Morello è riuscito a creare entanglement quantistico tra due nuclei di fosforo separati da 20 nanometri. Non sembra molto, ma in termini atomici equivale a far parlare due persone da stanze diverse, e senza urlare. La chiave del successo sta negli elettroni che fanno da “telefoni”: ogni nucleo di fosforo controlla il proprio elettrone, e quando questi elettroni si toccano quantisticamente, i nuclei iniziano a condividere informazioni istantaneamente.
Come descritto nella ricerca pubblicata su Nature, gli elettroni possono “allungarsi” nello spazio quantistico e toccarsi anche a distanza considerevole. Quando questo succede, i nuclei di fosforo che controllano questi elettroni diventano istantaneamente correlati: misurare lo stato di uno ti dice automaticamente qualcosa dell’altro.
La distanza di 20 nanometri non è casuale: corrisponde alla scala dei transistor moderni. Significa che questi qubit “parlanti” possono essere integrati nei chip di silicio usando le stesse tecnologie che producono già i processori dei nostri smartphone. Come riporta IEEE Spectrum, questo apre la strada a computer quantistici compatibili con l’industria esistente.
Qubit nella realtà
Fino a oggi, i qubit nucleari potevano parlare solo se condividevano lo stesso elettrone, un po’ come persone costrette a stare nella stessa stanza per sentirsi. Il problema è che aggiungere più nuclei allo stesso elettrone rende tutto ingestibile: troppi inquilini in uno spazio troppo piccolo.
Questo lavoro australiano cambia le regole del gioco. Ogni nucleo mantiene il proprio elettrone (la propria “stanza silenziosa”), ma gli elettroni possono toccarsi a distanza. È come dare a ogni persona un telefono per chiamare altre stanze: l’ambiente rimane tranquillo, ma la comunicazione funziona perfettamente.
La tempistica dell’operazione è impressionante: il gate quantistico si completa in circa 2 microsecondi, un tempo che in termini quantistici è velocissimo. Morello spiega che si tratta di un “gate geometrico”, dove l’informazione viene trasferita attraverso il percorso che l’elettrone compie, non attraverso l’energia che accumula.

La gara dei giganti quantistici
Mentre gli australiani insegnano agli atomi a conversare, la corsa globale ai qubit non si ferma. Microsoft ha presentato Majorana 1, il primo processore basato su qubit topologici che promette di scalare a un milione di qubit su singolo chip. IBM punta a 4.158 qubit entro il 2025 con sistemi modulari interconnessi.
Ma i numeri raccontano solo metà della storia. Come evidenziato da Physics World, il vero progresso sta nella correzione degli errori: Harvard e Google hanno dimostrato sistemi con 48 qubit logici capaci di autocorrezione. I qubit “parlanti” del fosforo potrebbero rappresentare un approccio diverso: invece di correggere gli errori, li prevengono usando nuclei atomici naturalmente più stabili.
Come raccontiamo da anni qui su Futuro Prossimo, la strada verso computer quantistici pratici passa attraverso la qualità, non solo la quantità. I nuclei di fosforo offrono tempi di coerenza nell’ordine dei secondi, contro i millisecondi dei qubit superconduttori più avanzati.
Il futuro del qubit parla in “siliciese”
La vera genialità della scoperta australiana sta nella compatibilità industriale. Mentre altri approcci richiedono temperature vicine allo zero assoluto e camere di raffreddamento costosissime, il fosforo in silicio parla la lingua dell’industria dei semiconduttori che conosciamo.
Questo non significa che i computer quantistici arriveranno domani sulla nostra scrivania. Significa però che quando arriveranno, potrebbero farlo usando fabbriche e processi che esistono già. E non è una cosa da poco: è un po’ come se il futuro avesse scelto di prendere l’ascensore invece delle scale.
Gli atomi hanno imparato a parlare. Ora tocca a noi decidere cosa fargli dire.