Lo squalo bianco serra le mascelle. La pressione è abbastanza da spezzare un femore, perforare un polmone, strappare via interi pezzi di tessuto. Ma questa volta qualcosa resiste. Il materiale tiene, la pelle resta intatta, il sangue non esce. Come è possibile?
Un gruppo di ricercatori australiani ha testato una muta resistente ai morsi di squalo direttamente sugli animali: squali bianchi e squali tigre, le due specie responsabili della maggior parte degli incontri con gli umani. I risultati, pubblicati su Wildlife Research, non eliminano tutti i rischi ma riducono drasticamente il danno critico. Meno emorragie, meno perdita di tessuto, meno morti. E forse, un modo per proteggere anche loro.
Quattro materiali, due specie, un problema
Il team della Flinders University, guidato da Charlie Huveneers, ha selezionato quattro materiali diversi. L’obiettivo era trovare qualcosa che funzionasse davvero, non solo sulla carta. Serviva un materiale abbastanza resistente da fermare un morso letale, ma abbastanza pratico da poter essere indossato in acqua. La cotta di maglia, per dire, funziona benissimo: i denti non passano. Il problema è che pesa come un’ancora e ti trasforma in un sub involontario. Non proprio ideale per chi vuole fare surf o snorkeling.
Così hanno testato alternative più leggere. Tra queste, il polietilene ad altissimo peso molecolare, lo stesso usato per le corde da vela. Resistente, flessibile, e soprattutto galleggia. Non è adamantio, il celebre (e immaginario) materiale indistruttibile che costituisce le lame di Wolverine, ma ci va vicino. Ogni materiale è stato confrontato con il neoprene standard, quello delle mute normali. E il neoprene, prevedibilmente, non ha retto granché.
I test non sono stati condotti in laboratorio con simulazioni. Sono stati condotti su squali veri. Squali bianchi e squali tigre, nello specifico. Quelli che, secondo l’International Shark Attack File, sono coinvolti nella stragrande maggioranza degli attacchi documentati. Gli animali hanno morso i materiali con tutta la forza disponibile. Poi i ricercatori hanno valutato i danni secondo quattro categorie: superficiale, moderato, sostanziale, critico. Quest’ultima è quella che ti uccide.
“Questi materiali non eliminano tutti i rischi, ma possono ridurre la perdita di sangue e i traumi da lacerazioni e perforazioni gravi, salvando potenzialmente vite umane”, ha spiegato Huveneers in un comunicato ufficiale. Tradotto: non sei invulnerabile, ma le possibilità di sopravvivere aumentano parecchio.
Non solo una questione di pelle intatta
Il punto non è solo evitare di perdere un braccio. È evitare di morire dissanguati in acqua mentre aspetti i soccorsi. Un morso di squalo bianco può causare emorragie massive in pochi secondi. Se la muta riesce a contenere il danno, anche solo parzialmente, il tempo disponibile per ricevere assistenza medica si allunga. E quel tempo fa la differenza tra una cicatrice da mostrare agli amici e un necrologio.
Tom Clarke, altro ricercatore del team, ha sottolineato che
“tutti i materiali testati hanno ridotto la quantità di danni sostanziali e critici, quelli tipicamente associati a gravi emorragie e perdita di tessuto o arti”.
Anche le differenze tra i materiali erano minime. Il che suggerisce che non serve per forza il tessuto più avanzato del pianeta: bastano soluzioni già disponibili, combinate nel modo giusto.
Salvare gli squali salvando gli umani
C’è un altro aspetto, forse più importante del primo. Le strategie di mitigazione degli attacchi di squalo finora sono state prevalentemente letali. Reti anti-squalo, drumline (esche con ami giganti), abbattimenti selettivi. Funzionano? Tecnicamente sì. Sono sostenibili? Assolutamente no. Gli squali bianchi stanno scomparendo, e non sappiamo nemmeno bene perché. Molte specie sono già a rischio estinzione. Continuare a ucciderli per proteggere i bagnanti è una soluzione a breve termine con conseguenze a lungo termine disastrose.
Una muta resistente ai morsi cambia l’equazione. Protezione personale invece di sterminio collettivo. Se funziona, non serve più installare reti che intrappolano anche tartarughe, delfini e altri animali. Non serve più uccidere squali preventivamente perché “potrebbero” attaccare qualcuno. Si può convivere, con qualche accortezza in più.
E c’è anche una componente economica. Un attacco fatale in una zona turistica può avere conseguenze devastanti per l’economia locale. Le spiagge vengono chiuse, i turisti scappano, le attività collassano. Se una muta può ridurre il rischio di mortalità, l’impatto economico di un eventuale incidente si ridimensiona. Non è cinismo, è pragmatismo.
Meno di cento attacchi di squali, ma contano tantissimo
Gli attacchi di squalo sono rari. Statisticamente irrilevanti. Meno di cento casi documentati all’anno in tutto il mondo. Ma quando accade, l’impatto è enorme. Non solo per la vittima, ma per l’intera percezione pubblica degli squali. Un singolo attacco fatale può scatenare campagne di abbattimento, petizioni per installare reti, richieste di chiusura delle spiagge. E alla fine, a pagare il prezzo più alto sono sempre gli squali.
Questa muta non risolve tutto. Non ti rende immune. I traumi interni possono comunque verificarsi, anche se la pelle resta intatta. Ma riduce il rischio di morte per emorragia, che è la causa principale di mortalità negli attacchi di squalo. E questo, forse, basta per cambiare le regole del gioco. Per tutti.