Da oggi, Amazon licenzia 30.000 dipendenti corporate. È il taglio più grande dal 2022 e stavolta il motivo è cristallino: l’intelligenza artificiale costa meno degli esseri umani. Andy Jassy, CEO dell’azienda, lo aveva detto chiaramente a giugno: “L’AI ci permetterà di ottenere guadagni di efficienza significativi”. Traduzione: meno stipendi da pagare, più algoritmi al lavoro. I licenziamenti colpiscono il 9% della forza lavoro corporate (350.000 dipendenti d’ufficio).
Le divisioni più colpite sono risorse umane, cloud computing e operazioni. I manager hanno ricevuto istruzioni ieri per comunicare la notizia ai team. Le email sono partite oggi. Reuters riporta che i tagli potrebbero estendersi per settimane. Questa la notizia “nuda”, poi c’è da ragionarci su. Lo facciamo insieme?
La matematica spietata di Seattle
Trentamila persone licenziate non sono un dettaglio. Sono interi reparti che spariscono, competenze accumulate in anni di lavoro che diventano irrilevanti da un giorno all’altro. Secondo fonti vicine al Wall Street Journal, diverse lettere relative ai licenziamenti sono già partite. Il quadro è chiaro: Amazon non sta più cercando di bilanciare efficienza e occupazione. Ha scelto l’efficienza.
Le divisioni colpite raccontano una storia precisa. Le risorse umane, storicamente il cuore pulsante di ogni azienda, vengono ridimensionate perché chatbot e sistemi automatizzati possono gestire selezione del personale, onboarding e gestione dei benefit. Il cloud computing, proprio la divisione che genera la maggior parte dei profitti di Amazon, viene snellito perché l’AI può ottimizzare server e analizzare dati senza supervisione umana. Il reparto operativo che coordina magazzini e logistica perde pezzi perché robot e algoritmi predittivi fanno lo stesso lavoro con meno errori.
Il dato più inquietante? Amazon non sta affrontando una crisi. L’azienda continua a macinare profitti record. Nel 2024 ha investito oltre 100 miliardi di dollari in infrastrutture cloud e AI.
I licenziamenti non sono una reazione a difficoltà economiche, ma una strategia deliberata per aumentare i margini di guadagno sostituendo stipendi con algoritmi.
Licenziamenti Amazon, una “decimazione” tecnologica
Questo non è il primo giro di licenziamenti per Amazon. Dal 2022, anno in cui Jeff Bezos ha passato le redini a Jassy, l’azienda ha già eliminato 27.000 posti di lavoro. Ma quei tagli erano diversi: conseguenza della pandemia, della bolla degli acquisti online che si era sgonfiata, di una crisi economica globale. Oggi la situazione è completamente ribaltata. Amazon licenzia mentre cresce, mentre fattura, mentre si espande.
La vera svolta è arrivata a giugno, quando Jassy ha inviato una email a tutti i dipendenti corporate. Il messaggio era netto: “Chi diventa esperto di AI ci aiuterà a reinventare l’azienda. Chi non lo fa rischia di restare indietro”. Non era un avvertimento. Era un epitaffio anticipato. Come riportato dal Sole 24 ORE, quella email ammetteva esplicitamente che “l’AI ridurrà la forza lavoro corporate”.
Amazon ha oltre 1.000 sistemi di intelligenza artificiale già operativi o in fase di test. Creano contenuti pubblicitari personalizzati, ottimizzano la logistica, assistono i clienti via chat e voce, scrivono codice, riassumono dati, generano analisi predittive e supportano i team interni nelle attività ripetitive.
In pratica, fanno esattamente quello che fino a ieri facevano 30.000 dipendenti.
Il piano che nessuno vuole vedere
I 30.000 licenziamenti corporate sono solo l’antipasto. Secondo documenti interni rivelati dal New York Times, Amazon starebbe progettando di sostituire fino a 600.000 lavoratori statunitensi entro il 2033. Un piano industriale preciso, con obiettivi, scadenze e budget.
L’obiettivo dichiarato è automatizzare tre quarti delle operazioni globali, tagliando oltre 12 miliardi di dollari di costi entro il 2027. La matematica è spietata: ogni articolo stoccato costa 30 centesimi in meno con i robot rispetto agli esseri umani. Moltiplicato per miliardi di pacchi all’anno, il risparmio diventa astronomico. E se per la cosegna mettono anche occhiali da cyborg ai corrieri…
Un esempio concreto? Il magazzino di Shreveport, Louisiana. Mille robot gestiscono la maggior parte del confezionamento e della spedizione. Risultato: 25% in meno di lavoratori rispetto a un magazzino tradizionale. Entro il 2026, quello stesso impianto richiederà solo la metà dei dipendenti.
Amazon prevede di replicare questo modello in 40 strutture entro la fine del 2027.
Licenziamenti, anche l’Italia nel mirino dell’automazione
Il fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti. In Italia, Amazon impiega circa 17.000 persone. Non è chiaro quante di queste rischino il posto nei prossimi anni, il manager di Amazon Italia disse un po’ di tempo fa che i robot avrebbero creato nuovi posti di lavoro, ma i dati globali non lasciano spazio a molte illusioni. Secondo il rapporto 2025 della Fondazione Randstad AI & Humanities, circa 10,5 milioni di lavoratori italiani risultano altamente esposti al rischio di automazione.
Le professioni più vulnerabili? Operai specializzati e impiegati d’ufficio. Proprio tra le categorie che rappresentano la spina dorsale del mercato del lavoro italiano. Il World Economic Forum prevede (un po’ ottimisticamente) che entro il 2030 si creeranno 170 milioni di nuovi posti di lavoro, ma ne spariranno 92 milioni. Un saldo netto positivo di 78 milioni, certo. Ma quei 92 milioni di persone che perdono il lavoro dove vanno nel frattempo? Riusciranno tutti a ricollocarsi e a entrare nell’altro dato, quello degli occupati?
Quando l’efficienza diventa il problema
La questione non è se l’automazione sia inevitabile. Lo è. La tecnologia non aspetta il permesso, avanza e basta. Il problema è la velocità. Storicamente, circa il 50% dei lavori cambia radicalmente ogni 75 anni. Ma l’intelligenza artificiale sta accelerando questo ritmo in modo esponenziale. Sam Altman, CEO di OpenAI, ha ammesso che
“l’AI potrebbe sostituire milioni di posti di lavoro più rapidamente di quanto la forza lavoro possa adattarsi”.
E non si tratta solo di lavori manuali, anzi. Anche i programmatori, gli sviluppatori, gli analisti stanno iniziando a sentire il fiato sul collo. L’AI scrive codice (ancora maluccio, ma per qualcuno basta), corregge bug, ottimizza database. Un settore che sembrava intoccabile sta scoprendo di non esserlo affatto.
Amazon, dal canto suo, non si scusa. L’azienda continua a sostenere che i robot “lavorano insieme agli esseri umani, non al loro posto”. Ma i numeri raccontano un’altra storia. Trentamila licenziamenti oggi, 600.000 entro il 2033.
La collaborazione sembra avere un costo piuttosto alto per chi non è fatto di circuiti.
Il silenzio degli altri giganti
Amazon non è sola. Meta ha licenziato 600 dipendenti della divisione intelligenza artificiale a ottobre 2025. Google ha tagliato centinaia di posizioni nelle divisioni hardware e Assistant. Microsoft ha eliminato 15.000 posti dall’inizio dell’anno. La lista continua.
Il pattern è sempre lo stesso: profitti record, investimenti miliardari in AI, licenziamenti di massa. Le aziende tecnologiche stanno ridisegnando il mercato del lavoro globale, e lo stanno facendo senza troppi complimenti. Il mantra è sempre quello: fare di più con meno. Meno persone, meno costi, più margini.
E mentre i CEO parlano di “ottimizzazione dei processi” e “riorganizzazione strategica”, migliaia di lavoratori scoprono che la loro esperienza, le loro competenze, i loro anni di servizio valgono meno di un algoritmo che non dorme mai.
Licenziamenti, la domanda che nessuno fa
Alla fine, la vera domanda non è se l’automazione sostituirà i lavoratori. Lo sta già facendo. La domanda è: cosa succede alle persone nel frattempo? Lo abbiamo detto da tempo, e anche recentemente: i “colletti bianchi” sono sotto il tiro dell’intelligenza artificiale come e più degli operai. Come si riqualifica un impiegato di cinquant’anni che ha passato vent’anni a fare un lavoro che ora fa un chatbot?
Dove vanno i 30.000 dipendenti Amazon licenziati?
Le risposte sono vaghe. Si parla di “riconversione professionale”, di “nuove competenze digitali”, di “opportunità nel settore AI”. Ma la realtà è più prosaica: la maggior parte di queste persone finirà per accettare lavori meno pagati, più precari, meno qualificati. Perché il mercato del lavoro non assorbe 30.000 esperti di risorse umane o cloud computing nel giro di qualche settimana.
Amazon continuerà ad assumere 250.000 lavoratori stagionali per i magazzini durante le festività natalizie. Lavori temporanei, a basso salario, senza benefit. Il contrasto è stridente: licenzi i dipendenti corporate qualificati, assumi manodopera a tempo per gestire il picco stagionale. Finché anche quella non diventerà troppo costosa rispetto ai robot.
Trentamila email partite da stamattina. Trentamila persone che hanno scoperto che l’efficienza ha un costo. E che quel costo, stavolta, lo pagano loro.