Gli antidepressivi SSRI salvano vite. Curano la depressione, riducono l’ansia, restituiscono il sonno. Ma portano con sé un effetto collaterale devastante per molti: disfunzioni sessuali che colpiscono fino al 70% dei pazienti. E non è tutto: aggiungete calo del desiderio, difficoltà di erezione, impossibilità di raggiungere l’orgasmo. Il problema è che non c’è modo di sapere chi sarà colpito finché non è troppo tardi. Finora.
Un team di ricercatori danesi ha sviluppato un test EEG che misura i livelli di serotonina nel cervello e predice con l’87% di accuratezza chi svilupperà problemi sessuali durante la terapia. Il test si chiama LDAEP e funziona come un esame dell’udito che rivela anche la chimica del cervello. Bastano 30 minuti per sapere se quel farmaco danneggerà la vita sessuale.
La scoperta che cambia le carte in tavola
Il team guidato da Kristian Jensen dell’Università di Copenaghen ha studiato 90 persone con diagnosi di depressione. I ricercatori hanno misurato l’attività della serotonina nel cervello usando il test LDAEP (Loudness Dependence of Auditory Evoked Potentials), un esame che analizza come il cervello reagisce ai suoni. Più bassa è la risposta, più alta è la serotonina. I pazienti hanno poi iniziato una terapia di 8 settimane con antidepressivi SSRI, monitorando attentamente ogni effetto collaterale sessuale. I risultati, presentati al National Astronomy Meeting 2025 della Royal Astronomical Society a Durham, hanno mostrato qualcosa di preciso: chi aveva livelli alti di serotonina prima della cura aveva molte più probabilità di perdere la capacità di raggiungere l’orgasmo.
Combinando il test LDAEP con informazioni sui problemi sessuali legati alla depressione, i ricercatori hanno previsto la capacità di raggiungere l’orgasmo con l’87% di accuratezza. Per la disfunzione erettile servono più dati, ma la direzione è chiara.
Il problema degli antidepressivi che nessuno ti dice prima
Le disfunzioni sessuali indotte dagli SSRI non sono un dettaglio marginale. Colpiscono tra il 30% e il 70% dei pazienti, secondo studi recenti pubblicati su riviste di psichiatria. Difficoltà a raggiungere l’orgasmo, calo della libido, disfunzione erettile negli uomini, difficoltà di lubrificazione nelle donne. Sintomi che persistono per tutta la durata della terapia. In alcuni casi, come documentato dall’Agenzia Europea dei Medicinali, questi problemi possono continuare anche dopo la sospensione del farmaco, configurando la sindrome PSSD (disfunzione sessuale post-SSRI). È tipo un effetto collaterale che si rifiuta di andarsene, anche quando il farmaco non c’è più.
Il meccanismo è semplice da capire. I farmaci SSRI funzionano aumentando i livelli di serotonina nel cervello, il che migliora l’umore. Ma la serotonina ha un effetto inibitorio sulla funzione sessuale: più serotonina significa meno dopamina e noradrenalina, i neurotrasmettitori che regolano desiderio ed eccitazione. È come se il farmaco che ti restituisce il sorriso ti portasse via la possibilità di godere di un altro tipo di piacere. E non c’è modo di prevederlo. Finché non cominci la terapia.
Come funziona il test LDAEP
La metto giù semplice, poi se vorrete potrete approfondire. Ti mettono delle cuffie, riproducono suoni a volumi crescenti, misurano come il cervello reagisce attraverso l’elettroencefalogramma. La risposta cerebrale ai suoni di intensità diversa rivela quanto è attiva la serotonina.
È un po’ come misurare l’attività di un sistema chimico invisibile usando solo onde sonore e onde cerebrali. Dura circa 30 minuti, non è invasivo, non richiede prelievi. Come ha spiegato Jensen:
“Questi segnali ci permettono di misurare l’attività serotoninergica prima che il paziente prenda la prima pillola. Se i livelli sono alti, possiamo scegliere un altro antidepressivo”.
Attualmente il test non è disponibile nella pratica clinica quotidiana, ma potrebbe diventarlo se gli studi successivi confermeranno i risultati. I ricercatori stanno ora conducendo uno studio su 600 pazienti per validare definitivamente il metodo e capire come i livelli di serotonina interagiscono con gli ormoni sessuali durante la terapia. Se funziona, sarà una svolta.
Un problema di salute pubblica sottovalutato
Il consumo di antidepressivi è esploso negli ultimi vent’anni. In Italia, secondo dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco, l’uso di SSRI è raddoppiato dal 2000 al 2020. Parliamo di milioni di persone. Se anche solo il 30% sviluppa disfunzioni sessuali gravi, stiamo guardando a centinaia di migliaia di pazienti che smettono la terapia per questo motivo, con conseguenze sulla salute mentale.
Come ha sottolineato Eric Ruhe, professore di psichiatria alla Radboud University nei Paesi Bassi:
“Questo test potrebbe aiutare soprattutto i pazienti che esitano a iniziare una terapia proprio per paura degli effetti sessuali. Poter dire con ragionevole certezza che non avranno problemi cambierebbe tutto”.
La prospettiva è quella di una medicina di precisione applicata alla psichiatria: non più farmaci prescritti alla cieca, ma terapie personalizzate basate sulla chimica individuale del cervello.
I ricercatori stanno anche esplorando alternative. Alcuni antidepressivi, come il bupropione o la mirtazapina, hanno un profilo di effetti collaterali sessuali molto più basso. Ma senza un test predittivo, la scelta resta empirica. Il test LDAEP potrebbe cambiare questo, permettendo ai medici di selezionare il farmaco giusto al primo tentativo.
Antidepressivi ed effetti sulla libido: il test esiste, ma serve validazione
Lo studio attuale ha coinvolto 90 pazienti, di cui il 73% donne e con un’età media di 27 anni. È un campione limitato, e i ricercatori lo sanno. Per questo stanno lavorando, come detto, a una validazione su larga scala con 600 partecipanti, includendo più uomini e una fascia d’età più ampia. Se i risultati verranno confermati, il test LDAEP potrebbe diventare parte integrante della valutazione iniziale per chiunque debba iniziare una terapia con SSRI.
La tecnologia esiste. Il test funziona. La serotonina si può misurare. Resta da capire se il sistema sanitario sarà pronto ad adottarlo. Ma la promessa è chiara: meno pazienti che smettono la cura, meno vite sessuali rovinate, più persone che possono curarsi senza dover scegliere tra salute mentale e vita intima.
Non è poco.