Mosca ha appena riportato in vita un incubo che gli Stati Uniti avevano sepolto negli anni ’60. Il Burevestnik, missile da crociera russo a propulsione nucleare, ha completato un test di 15 ore coprendo 14.000 chilometri, secondo quanto annunciato da Putin il 26 ottobre 2025. L’arma è alimentata da un piccolo reattore che scalda l’aria compressa per generare spinta, permettendo teoricamente voli di giorni interi senza rifornimento.
La NATO lo chiama Skyfall. Gli esperti americani lo considerano tecnologicamente rischioso e strategicamente discutibile. Ma il fatto che la Russia continui a investirci dopo anni di fallimenti e un’esplosione mortale nel 2019 che ha ucciso cinque scienziati nucleari dimostra una cosa: Mosca crede davvero che quest’arma possa funzionare. E questo basta per dare una scossa agli equilibri.
Un reattore che vola
Il principio è tipo un ramjet, ma invece di bruciare cherosene usi fissione nucleare. L’aria entra dalla presa anteriore, viene compressa dalla velocità del missile, passa attraverso un reattore nucleare miniaturizzato che la porta a temperature estreme e poi viene espulsa dal retro generando spinta. Niente serbatoi, niente rifornimenti. Almeno in teoria, l’autonomia è limitata solo dalla durata meccanica del motore e dalla stabilità del reattore. Secondo il capo di Stato Maggiore russo Valerij Gerasimov, il Burevestnik ha percorso 14.000 chilometri in 15 ore durante il test del 21 ottobre, e ha precisato che “questo non è il suo limite”.
La struttura prevede un lancio con razzi a propellente solido per portare il missile alla velocità necessaria affinché il ramjet possa funzionare. Una volta raggiunta la velocità di crociera, i booster si sganciano e il reattore nucleare entra in funzione. Da quel momento il Burevestnik può volare a bassa quota, seguire il profilo del terreno, cambiare rotta imprevedibilmente. La velocità stimata è subsonica alta, probabilmente intorno ai 1.200 km/h, anche se Putin ha parlato di capacità supersoniche che gli esperti occidentali considerano improbabili data la configurazione del motore.

Project Pluto, il precedente americano
L’idea non è nuova. Tra il 1957 e il 1964 gli Stati Uniti svilupparono il Project Pluto, un programma per creare il Supersonic Low Altitude Missile (SLAM), un missile da crociera a propulsione nucleare capace di volare a Mach 3 a quota bassissima trasportando fino a 26 testate nucleari. I test dei prototipi di motore, chiamati Tory II-A e Tory II-C, ebbero successo tecnico. Il reattore funzionava. Ma il progetto venne cancellato nel luglio 1964 per quattro ragioni che oggi sembrano quasi profetiche.
Prima ragione: i missili balistici intercontinentali si erano evoluti più rapidamente del previsto, rendendo SLAM meno necessario dal punto di vista strategico. Seconda ragione: nessuno riuscì a trovare un modo accettabile per testare in volo un missile che rilascia radiazioni durante tutto il percorso. Terza ragione: il rumore. Un missile supersonico a bassa quota genera onde d’urto devastanti, e SLAM sarebbe passato a velocità tre volte superiori a quella del suono a poche centinaia di metri dal suolo. Quarta ragione: le emissioni radioattive. Il reattore dello SLAM non aveva un circuito di raffreddamento chiuso: usava direttamente l’aria esterna, che veniva quindi contaminata e rilasciata nell’atmosfera.

Un ex funzionario del Dipartimento di Stato americano, Thomas Countryman, ha definito l’intero concetto “unicamente stupido” e lo ha paragonato a una “Chernobyl volante”. Il fatto che la Russia stia effettivamente portando avanti un progetto simile solleva interrogativi sia tecnici che strategici.
Burevestnik, un track record problematico
Il Burevestnik non ha esattamente una storia di successi. Secondo la Nuclear Threat Initiative, tra il 2016 e oggi sono stati condotti almeno 13 test noti, di cui solo due parzialmente riusciti. L’episodio più grave è accaduto l’8 agosto 2019 nel White Sea, quando un’esplosione durante il recupero di un missile dal fondale marino ha causato il rilascio di radiazioni, uccidendo cinque scienziati nucleari dell’agenzia statale Rosatom e provocando un picco di radiazioni nella città vicina di Severodvinsk.
Il problema fondamentale resta la gestione del reattore. Deve essere abbastanza piccolo e leggero da poter volare, ma anche sufficientemente robusto da sopportare sbalzi di temperatura estremi, variazioni di pressione e sollecitazioni aerodinamiche che possono generare pressioni elevate, nell’ordine di centinaia di bar, equivalenti a decine di megapascal. Questa combinazione di leggerezza e resistenza è una sfida cruciale per garantire la sicurezza e l’efficienza del sistema in condizioni operative complesse.
Le autorità norvegesi hanno confermato di non aver rilevato nessun picco radioattivo dopo il test di ottobre, ma questo non esclude contaminazioni localizzate lungo il percorso. L’Intelligence Service norvegese aveva già avvertito nel 2024 che “i test comportano rischi di incidenti ed emissioni radioattive locali”.

Burevestnik: strategia o propaganda?
Putin ha descritto il Burevestnik come “invincibile” contro le difese attuali e future, grazie alla gittata quasi illimitata e alla traiettoria di volo imprevedibile. Ha ordinato al Ministero della Difesa di preparare le infrastrutture per il dispiegamento operativo dell’arma. Ma molti analisti occidentali restano scettici. Il direttore del Nuclear Information Project della Federation of American Scientists, Hans Kristensen, ha fatto notare che un missile da crociera rimane vulnerabile come qualsiasi altro, e più a lungo vola più tempo c’è per tracciarlo.
C’è poi la questione del peso. Alcune stime suggeriscono che il Burevestnik possa pesare fino a 24 tonnellate, rendendolo difficile da trasportare e schierare. E anche se funzionasse perfettamente, il suo impiego solleva interrogativi geopolitici enormi: lanciare anche solo un test di un’arma a propulsione nucleare potrebbe essere interpretato come un atto di aggressione, dato che è impossibile distinguere da terra se il missile trasporta una testata o meno.
Il Trattato New START tra Stati Uniti e Russia, che limita il numero di testate nucleari strategiche, scade a febbraio 2026. Il Burevestnik, con la sua gittata intercontinentale, potrebbe rientrare nelle armi strategiche anziché tattiche, complicando ulteriormente i negoziati futuri.
Forse il messaggio più importante non è tecnico, ma politico. La Russia sta dimostrando di essere disposta ad assumersi rischi tecnologici estremi pur di mantenere una capacità di deterrenza credibile. Che il Burevestnik sia davvero operativo o meno, il fatto stesso che Mosca continui a investirci dopo fallimenti ripetuti e vittime umane indica una determinazione strategica chiara. E questo, in un’epoca di tensioni crescenti, potrebbe essere sufficiente a riaccendere dinamiche che speravamo fossero finite con la Guerra Fredda.
Come scrivevamo in passato parlando di altri scenari estremi, non bisognerebbe mai sviluppare certe tecnologie. Ma una volta che qualcuno inizia, fermarsi diventa quasi impossibile. Il Burevestnik è l’esempio perfetto di un’idea che dovrebbe restare sulla carta, ma che invece continua a volare. Letteralmente.