Ventuno delfini malati spiaggiati in Florida tra il 2010 e il 2019. Tutti con una cosa in comune: cervelli pieni di placche beta-amiloidi e proteine tau aggrovigliate. Gli stessi marcatori dell’Alzheimer umano. Il colpevole? L’acido 2,4-diamminobutirrico, una neurotossina prodotta da alghe microscopiche che proliferano nelle acque calde e inquinate.
I delfini malati esposti durante le fioriture stagionali ne avevano concentrazioni 2.900 volte superiori rispetto a quelli morti in altri periodi. Lo studio, pubblicato su Communications Biology, non è solo zoologia: è un campanello d’allarme per la salute pubblica. Perché quelle stesse acque le frequentano anche gli esseri umani.
Quando il cervello si spegne in mare
Un delfino che si spiaggia non è sempre malato nel senso tradizionale. Non ha ferite visibili, parassiti evidenti o infezioni acute. Respira, si muove, ma qualcosa nel suo sistema di navigazione è andato in tilt. I volontari corrono sulla spiaggia con secchi d’acqua, lo bagnano, aspettano l’alta marea. Lo riportano al largo. Lui torna indietro. Di nuovo. È disorientato, come se avesse dimenticato dov’è il mare.
I ricercatori dell’Università di Miami e del Hubbs-SeaWorld Research Institute hanno deciso di capire cosa stesse succedendo nei cervelli di questi animali. Hanno esaminato venti tursiopi comuni (Tursiops truncatus) trovati morti nella laguna dell’Indian River, sulla costa orientale della Florida. Dentro quei cervelli hanno trovato un quadro neuropatologico che somigliava in modo inquietante a quello dei pazienti umani con Alzheimer: placche beta-amiloidi, grovigli neurofibrillari di proteina tau, e inclusioni di TDP-43, un marcatore associato alle forme più aggressive di demenza.
Ma la scoperta più preoccupante è stata un’altra. Nei delfini malati spiaggiati durante la stagione delle fioriture algali (da giugno a novembre), i livelli di acido 2,4-diamminobutirrico erano astronomici. Parliamo di concentrazioni fino a 2.900 volte superiori rispetto agli esemplari morti in altri periodi dell’anno. Questa neurotossina, prodotta dai cianobatteri che esplodono nelle acque calde e ricche di nutrienti, è un parente stretto del famigerato BMAA, già collegato a malattie neurodegenerative negli esseri umani.

Delfini malati: geni impazziti e memoria che svanisce
Quando i ricercatori hanno analizzato l’espressione genica nei cervelli dei delfini malati, hanno scoperto che ben 536 geni si comportavano in modo anomalo. Molti di questi sono coinvolti nell’infiammazione cerebrale, nel funzionamento delle sinapsi e nella comunicazione neuronale. Il gene APOE, il più grande fattore di rischio genetico per l’Alzheimer negli esseri umani, risultava iperattivo: in alcuni delfini era espresso sei volte oltre i livelli normali.
Altri geni preoccupanti includevano il TNFRSF25, che può indurre l’autodistruzione delle cellule cerebrali, e il MT-ND1, un gene mitocondriale presente nel sangue delle persone nelle fasi iniziali dell’Alzheimer.
I ricercatori hanno anche notato alterazioni nei geni legati alla funzione uditiva (MYO1F, STRC, SYNE4), suggerendo che l’esposizione alle tossine possa compromettere la capacità dei delfini di comunicare e orientarsi attraverso l’ecolocalizzazione.
“I delfini sono considerati sentinelle ambientali per l’esposizione a sostanze tossiche negli ambienti marini”, ha spiegato David Davis, tossicologo dell’Università di Miami e coautore dello studio.
“Ci sono preoccupazioni sui problemi di salute umana associati alle fioriture di cianobatteri”.
Un dettaglio che non passa inosservato: nel 2024, la contea di Miami-Dade ha registrato il tasso più alto di Alzheimer di tutti gli Stati Uniti. A soli 300 chilometri dalla laguna avvelenata.
Le alghe che prosperano col caldo
La laguna dell’Indian River è un ecosistema lungo oltre 250 chilometri, circondato da città, fattorie e scarichi industriali. I fertilizzanti agricoli e le acque reflue forniscono nutrienti abbondanti ai cianobatteri, mentre l’aumento delle temperature oceaniche prolunga e intensifica le fioriture algali. Questo non è un problema esclusivamente floridiano. In California, centinaia di leoni marini sono stati trovati spiaggiati e disorientati a causa dell’acido domoico, un’altra neurotossina algale. In Australia, un’esplosione di Karenia mikimotoi ha ucciso migliaia di draghi marini.
Il riscaldamento globale e l’inquinamento da nutrienti stanno creando le condizioni ideali per queste fioriture mortali. E i delfini malati sono solo la punta dell’iceberg. Secondo Paul Alan Cox, direttore esecutivo dei Brain Chemistry Labs in Wyoming, studi condotti sugli abitanti dell’isola di Guam hanno dimostrato che l’esposizione cronica alle tossine dei cianobatteri può scatenare malattie neurologiche anche negli esseri umani, con placche amiloidi e proteine tau identiche a quelle trovate nei cervelli dei delfini.
Delfini malati: sentinelle con la mente “bucata”
I delfini hanno cervelli complessi, vivono a lungo e occupano posizioni elevate nella catena alimentare. Questo li rende modelli eccellenti per studiare l’impatto delle tossine ambientali sulla salute neurologica. Quando si spiaggiano, lo fanno seguendo schemi coerenti: la maggior parte degli episodi nell’Indian River Lagoon avviene in estate, proprio quando le alghe raggiungono il picco di proliferazione.
I ricercatori sottolineano che il 2,4-DAB è probabilmente solo un pezzo di un puzzle molto più complesso. Esistono altre tossine algali note per causare perdita di memoria e morte neuronale, come l’acido domoico e l’acido okadaico. Ma in questo studio specifico, il 2,4-DAB emerge come il principale indiziato.
“Ci sono probabilmente molte strade che portano all’Alzheimer”, ha detto Davis, “ma le esposizioni ai cianobatteri sembrano sempre più essere un fattore di rischio”.
La buona notizia è che possiamo fare qualcosa. Ridurre il deflusso di nutrienti agricoli, migliorare il trattamento delle acque reflue, monitorare attivamente le fioriture algali. La cattiva notizia è che il tempo stringe. Con le acque che si scaldano rapidamente, le fioriture diventeranno più intense e frequenti. E i delfini malati continueranno a dirci qualcosa che forse non vogliamo sentire: che quello che succede a loro può succedere anche a noi.
Per la maggior parte dei bagnanti, un delfino spiaggiato è una tragedia. Per gli scienziati, è un indizio. E questo indizio punta dritto verso le nostre coste, le nostre tavole, i nostri cervelli.