Keith Thomas è seduto in laboratorio, bendato. Davanti a lui, bendata anche lei, c’è una donna che non ha mai incontrato. Thomas pensa di muovere una mano. La mano si muove. Ma non è la sua: è di quella donna. Afferra un oggetto, lo solleva, lo sfiora. Thomas sente la forma, la texture, il peso attraverso delle dita che non gli appartengono. Non sta immaginando. Sta toccando. Con il corpo di qualcun altro. Succede nei laboratori dei Feinstein Institutes for Medical Research, dove la parola “paralisi” sta perdendo di significato. E, in fondo, anche la stessa parola “corpo”. Perchè l’impianto cerebrale di Thomas traduce le sue intenzioni in comandi elettrici wireless che viaggiano verso elettrodi posizionati sugli arti di un’altra persona. Il risultato non è telepatia. È qualcosa di più concreto e inquietante: controllo mentale condiviso.
Quando una mente prende in prestito mani altrui
Thomas ha perso sensibilità e movimento dopo una lesione al midollo spinale. Nel 2024, però, grazie a un sistema sviluppato da ricercatori di New York, ha recuperato non solo il controllo delle proprie mani, ma qualcosa di più strano. Può muovere le mani di altre persone con la stessa precisione con cui muoverebbe le sue. E sentire ciò che toccano. L’impianto traduce l’intenzione neurale in impulsi elettrici che raggiungono elettrodi applicati sulla pelle di un’altra persona. Il cervello di Thomas dice “afferra”. Le mani di un’altra persona afferrano, e lui sente l’oggetto.
In uno degli esperimenti più significativi, Thomas e una donna (non disabile) indossavano entrambi bende sugli occhi. Lui guidava le mani di lei a riconoscere oggetti per forma e consistenza. Distingueva tra materiali diversi, superfici ruvide o lisce, oggetti pesanti o leggeri. Tutto attraverso recettori tattili che non erano i suoi. Come un pilota che guida un drone, solo che il drone è fatto di carne, ossa e terminazioni nervose. E il pilota sente davvero cosa tocca il drone.
In un altro test (lo vedete nella foto di copertina) Thomas ha controllato le mani di Kathy Denapoli, una donna con paralisi parziale causata da danni al midollo spinale. Quando Thomas usava l’impianto per dirigere i suoi movimenti, Denapoli sollevava una bottiglia d’acqua, versava, beveva da una lattina. Azioni che non riusciva più a compiere da anni. “Non ce l’avrei fatta senza di te”, ha detto lei. “Ero più soddisfatto perché stavo aiutando qualcuno nella vita reale, non solo un computer”, ha risposto Thomas.
Oltre la protesi: se il controllo mentale è condiviso, il sistema nervoso diventa una rete
Questa non è tecnologia assistiva nel senso tradizionale. Non è il controllo mentale di una macchina. Non stiamo parlando di protesi robotiche che restituiscono autonomia a chi l’ha persa. Stiamo parlando di agentività condivisa, un concetto che fino a ieri apparteneva alla filosofia della mente, non alla neurologia clinica. Il sistema nervoso umano, storicamente confinato dentro i confini della pelle, sta diventando una piattaforma distribuita. Come vi raccontavo tempo fa, gli impianti cerebrali stavano già restituendo sensazioni tattili ai paralizzati. Ora siamo un passo oltre: quelle sensazioni possono arrivare da corpi esterni.
Le implicazioni vanno ben oltre la medicina riabilitativa. Un neurochirurgo a Boston potrebbe guidare le mani di un medico a Nairobi in tempo reale, ogni movimento trasmesso attraverso un link neurale condiviso. Un pianista potrebbe prestare la propria competenza motoria a uno studente, non attraverso istruzioni verbali ma tramite collaborazione neurale diretta. Un operaio edile esperto potrebbe controllare un esoscheletro indossato da un apprendista, insegnando facendo, letteralmente. Incredibile.
Controllo mentale: le domande che nessuno vuole ancora fare
Il terreno morale è complesso quanto la scienza e la tecnologia alla base di queste ricerche. Se una persona può controllare il corpo di un’altra, chi è responsabile dell’azione? In un mondo di sistemi nervosi condivisi, l’intenzione appartiene al “mittente” o al “ricevitore”? I sistemi legali futuri avranno bisogno di definizioni completamente nuove di autonomia e consenso. I filosofi si chiederanno se l’identità stessa sia ancora singolare, o se l’umanità stia evolvendo verso una coscienza distribuita.
Secondo un’analisi tecnica dell’IEEE, i sistemi wireless brain-to-body stanno raggiungendo livelli di precisione e latenza che li rendono praticamente indistinguibili dal controllo motorio naturale. Cosa faremo in futuro di questa tecnologia? E soprattutto: cosa succederà quando (o se) diventerà accessibile su larga scala?
Ciò che è iniziato come un miracolo medico per la paralisi potrebbe ridefinire la collaborazione umana. La “rete neurale” potrebbe diventare la prossima grande piattaforma, quella dove esperienza, competenza e sensazione diventano trasferibili. Potremmo un giorno licenziare memoria motoria come licenziamo software. L’idea di “prestare una mano” potrebbe assumere il significato più letterale mai immaginato.
L’economia del corpo condiviso
La storia di Keith Thomas segna l’alba di quella che potrebbe diventare l’economia del corpo condiviso, dove i link neurali rendono possibile prendere in prestito le capacità altrui o ripristinare le proprie. Man mano che gli impianti diventano più piccoli, sicuri e adattivi, milioni di persone potrebbero recuperare non solo il movimento, ma uno scopo, diventando parte di una rete umana cooperativa.
I confini tra le persone si stanno dissolvendo, sostituiti da una possibilità strana e affascinante: che potremmo arrivare ad abitare le vite degli altri, un pensiero e un movimento alla volta. Thomas e Denapoli lo hanno già fatto. Lui ha mosso. Lei ha sentito. Entrambi hanno vissuto qualcosa che non ha ancora un nome definitivo. Ma che somiglia molto al futuro.
Il sistema nervoso non è più un’isola. È diventato un arcipelago, e i ponti tra le isole non sono fatti di cavi, ma di intenzioni tradotte in impulsi elettrici che attraversano la distanza tra un cervello e un altro corpo. I ricercatori dei Feinstein Institutes lo chiamano controllo motorio cooperativo.
Forse è qualcosa di più semplice e inquietante: l’inizio di un’epoca in cui il corpo smette di essere un confine e diventa una risorsa condivisibile.