Alessandro Volta, nel 1776, aveva intuito qualcosa. I fuochi fatui, quelle fiammelle blu che danzavano sulle paludi la notte, disse, dovevano avere a che fare con l’elettricità. Poi arrivarono il metano, la fosfina, le teorie sul gas di palude. Ma mancava sempre un pezzo: chi accende la miccia? Ora un gruppo di chimici di Stanford ha filmato la risposta con telecamere ad alta velocità.
Succede in meno di un millisecondo, tra due bolle che si sfiorano nell’acqua. Una scintilla. Non grande come un fulmine, ma abbastanza per far reagire il metano con l’ossigeno. Senza calore, senza fiamma vera. Solo luce fredda, blu-violacea, che galleggia nell’aria come un fantasma. I fuochi fatui non sono anime in pena. Sono microfulmini. E cambiano il modo in cui guardiamo alla chimica delle paludi, al metano nell’atmosfera, forse anche all’origine della vita sulla Terra.
Il laboratorio dove nascono i fantasmi
Richard Zare, chimico della Stanford University, studia le bolle da anni. Nel suo laboratorio ha costruito un ugello che spara metano e aria dentro una vasca trasparente. Telecamere ad alta velocità puntate sulle bolle. E lì, in mezzo all’acqua, succede qualcosa che nessuno aveva mai filmato prima: lampi di luce submillisecondo tra bolle che si avvicinano. Il team ha pubblicato i risultati su Proceedings of the National Academy of Sciences, chiudendo un enigma vecchio di secoli.
Quando le bolle si trovano nell’interfaccia tra acqua e aria, le cariche elettriche sulla loro superficie si separano: sulle bolle più piccole si accumulano cariche negative, su quelle più grandi, positive. Questa differenza genera campi elettrici su piccole distanze che innescano i microfulmini. “Nessuno pensa che l’acqua possa essere collegata al fuoco”, ha commentato Zare.
“Si pensa che l’acqua lo spenga. Nessuno ci aveva spiegato che a partire dall’acqua, si può creare una scintilla e dare fuoco a qualcosa: questa è nuova”.

Fuochi fatui: ossidazione fredda, non combustione
La telecamera ad alta velocità ha filmato i piccoli flash di luce creati dalle bolle in collisione. Altri strumenti hanno rilevato la luce ultravioletta derivata dalla fluorescenza della formaldeide, un composto prodotto quando il metano si ossida. Ma c’è un dettaglio che spiega perché le leggende parlano sempre di luci che “non scaldano”: non è una combustione vera. È ossidazione fredda. Una reazione chimica che produce luce senza calore significativo.
Lo studio, pubblicato su PNAS, dimostra che i microfulmini tra microbolle di metano offrono un meccanismo naturale di accensione per l’ossidazione del metano in condizioni ambientali. Le scariche elettriche sono sufficientemente energetiche da eccitare, dissociare o ionizzare le molecole di gas circostanti.
James Anderson, chimico di Harvard non coinvolto nello studio, ha definito la scoperta “un passo avanti davvero interessante” perché rivela un meccanismo attraverso cui le reazioni chimiche possono essere innescate senza fonti di ignizione esterne.
Secoli di leggende, una spiegazione da laboratorio
Per secoli, i fuochi fatui hanno alimentato leggende in tutto il mondo. In Scozia li chiamavano spunkies. In Giappone hitodama, anime dei morti. Nel folklore anglosassone erano i will-o’-the-wisp, le lanterne di Will, un fabbro malvagio condannato a vagare per l’eternità con un carbone ardente per attirare in trappola i viaggiatori. Tutte storie che nascondevano un fenomeno reale: luci blu-verdastre che apparivano sopra paludi, torbiere e cimiteri, soprattutto nelle calde sere d’estate.
La base chimica era nota da tempo. Le paludi sono fabbriche di metano: sono ambienti poveri di ossigeno dove i microbi decompongono la materia organica producendo gas. L’ambiente acido rallenta la decomposizione, il metano si accumula, risale. Ma il metano da solo non si accende a bassa temperatura. Serviva una spiegazione per la scintilla iniziale. Secondo Phys.org, ipotesi precedenti includevano la fosfina (un gas altamente instabile che si autoaccende) o scariche elettrostatiche, ma nessuna aveva prove sperimentali solide.

Metano, clima e conseguenze inattese
La scoperta dei microfulmini non risolve solo un enigma folkloristico. Ha implicazioni per la chimica ambientale e il clima. Come abbiamo raccontato in passato, il metano è un gas serra estremamente potente, responsabile di circa il 30% del riscaldamento globale dai tempi preindustriali. Le zone umide sono una delle principali fonti naturali di emissioni. Capire come il metano interagisce con l’ambiente, inclusi i meccanismi di ossidazione spontanea, aiuta a costruire modelli climatici più accurati.
Ma c’è di più. Zare e il suo team avevano già ipotizzato, in studi precedenti pubblicati su Science Advances, che i microfulmini tra goccioline d’acqua potrebbero aver fornito le scintille necessarie per far nascere le biomolecole essenziali alla vita sulla Terra primordiale. Se minuscole scariche elettriche possono innescare reazioni chimiche complesse senza bisogno di fulmini atmosferici, allora l’origine della vita potrebbe essere stata molto più “locale” di quanto pensassimo. Non serve aspettare il temporale: basta una bolla d’acqua nel posto giusto.
Graham Cooks, chimico della Purdue University, ha dichiarato a Science che le reazioni chimiche innescate dalle microbolle “si riveleranno un fenomeno molto più grande e generale”. Il suo team sta già usando una variante dell’approccio di Zare per avviare migliaia di reazioni chimiche separate simultaneamente, nella speranza di scoprire nuove vie per sintetizzare composti.
Fuochi fatui: Volta aveva ragione, ma per i motivi sbagliati
Alla fine, Alessandro Volta ci aveva visto giusto. L’elettricità c’entrava davvero. Solo che non era il fulmine dal cielo, come pensava lui. Era qualcosa di molto più piccolo, nascosto tra le bolle. Come nota Scientific American, la scoperta è il risultato di tecnologie moderne applicate a domande antiche: telecamere ad alta velocità, spettrometri, contatori di fotoni.
I fuochi fatui continuano a essere rari da osservare oggi. Forse perché le zone umide si sono ridotte. Forse perché l’illuminazione artificiale ha reso invisibili luci così deboli. O forse, come suggerisce qualche scettico, perché un tempo i viaggiatori portavano lanterne a fiamma libera che potevano innescare il metano. Ma ora sappiamo che il meccanismo esiste, funziona, ed è riproducibile in laboratorio.
Le leggende parlano di spiriti che si allontanano quando ti avvicini. La spiegazione è più semplice: il tuo movimento crea correnti d’aria che disperdono il gas e spengono la reazione. Niente magia, solo fluidodinamica. Ma il fatto che l’acqua possa generare scintille abbastanza forti da accendere qualcosa rimane, in fondo, abbastanza strano da sembrare magia.
Solo che stavolta sappiamo come funziona.