L’intelligenza artificiale sta cambiando il mercato del lavoro più velocemente di quanto le università riescano ad adattarsi. E la Gen Z lo sa. Secondo Glassdoor, il 70% dei giovani tra i 18 e i 25 anni teme che l’AI possa mettere a rischio la propria sicurezza lavorativa. Ma invece di discuterne sui social, stanno facendo qualcosa di più concreto: cambiano strada. Abbandonano informatica per diventare elettricisti, lasciano economia per imparare mestieri manuali, aprono piccole (e grandi) attività collaterali su Etsy mentre studiano. Non è panico, è pragmatismo. Un’intera generazione che riscrive le regole del lavoro senza chiedere il permesso. E forse ha ragione: quando un robot può scrivere codice, chi ripara tubature ha più futuro.
Mercato del lavoro, i numeri che raccontano la svolta
I dati parlano chiaro. SignalFire, che monitora oltre 600 milioni di profili professionali, ha rilevato un crollo del 50% nelle assunzioni di neolaureati nel settore tech rispetto ai livelli pre-pandemia. Le Big Tech hanno ridotto del 25% l’ingresso di neolaureati, le startup dell’11%. I ruoli più penalizzati? Quelli entry-level, proprio quelli che servono per fare esperienza.
Il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum conferma: i primi posti di lavoro a essere colpiti dall’arrivo dell’intelligenza artificiale sono quelli entry-level, le posizioni di inizio carriera che normalmente vengono ricoperte dai più giovani per farsi le ossa. Gli strumenti di AI svolgono i compiti di codifica e debug semplici che i programmatori junior facevano per acquisire esperienza. L’intelligenza artificiale sta anche svolgendo il lavoro che un tempo era di competenza dei giovani impiegati in ambito legale e retail.
Secondo Fortune Italia, aziende come Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno già preso in considerazione la possibilità di ridurre fino a due terzi le assunzioni di personale junior e di abbassare gli stipendi di quelli assunti perché il lavoro con l’IA non è più così impegnativo come in passato.
La risposta silenziosa: “side hustle” e mestieri
E qui arriva la parte interessante. La Gen Z non sta aspettando che qualcuno risolva il problema. Si sta muovendo. Secondo Intuit, il 57% della Gen Z ha già un side hustle, un lavoretto extra che si fa oltre al lavoro principale, contro il 48% dei millennials e il 21% dei boomer. Ma c’è una differenza: i millennials ne facevano un brand, la Gen Z semplicemente lo fa. Lo fa e basta, lo fa per sé. Uno vende su Etsy, un altro ripara mobili guardando tutorial su TikTok. Niente post motivazionali, niente personal branding. Solo pragmatismo.
Non è l’unica strategia. Uno studio Harris Poll condotto negli Stati Uniti rivela che il 23% della Gen Z considera i lavori manuali più positivamente rispetto a quelli aziendali. Il 27% valuta di intraprendere una formazione professionale o di frequentare una scuola di mestieri. La prima ragione? L’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (43%), seguita dalla sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro (42%).

Il paradosso del mercato del lavoro
C’è un paradosso che si sta materializzando: le aziende cercano esperienza, ma l’AI sostituisce chi quella esperienza dovrebbe farla. Come ha spiegato Aneesh Raman, chief economic opportunity officer di LinkedIn, al Sole 24 Ore: «I primi a crollare sono i gradini più bassi della scala professionale». Diventa realtà un vecchio paradosso che finora era poco più che una barzelletta: le aziende vogliono persone con esperienza, ma non permettono ai giovani di farsela perché non li vogliono assumere.
Nel frattempo, le aziende tecnologiche hanno aumentato del 27% le assunzioni di professionisti con due-cinque anni di esperienza. Chi entra oggi nel mercato del lavoro si trova davanti a un bivio: competere con l’AI o scegliere percorsi che l’AI non può (ancora) percorrere.
Secondo Euronews, l’Italia è al secondo posto in Europa per turnover lavorativo della Gen Z, con il 37% che prevede di cambiare lavoro entro un anno. Non è mancanza di fedeltà: è una reazione ad aspettative non soddisfatte e a un forte desiderio di progressione.
Cosa funziona (e cosa no)
Non tutti i settori sono uguali davanti all’automazione. L’analisi di Randstad su 126 milioni di annunci mostra che le offerte di lavoro entry-level si sono ridotte complessivamente del 29%, con cali nel tech (meno 35%) e nella finanza (meno 24%). L’assistenza sanitaria è uno dei pochi settori in controtendenza, con un aumento delle assunzioni entry-level del 13%. La domanda di tecnici di radiologia junior è aumentata di oltre il 100%.
Il 66% degli americani crede che i professionisti dei mestieri manuali abbiano più sicurezza lavorativa rispetto ai professionisti aziendali. Una convinzione condivisa sia dai lavoratori dei mestieri manuali (71%) che da quelli aziendali (70%). I social media stanno giocando un ruolo non secondario: il 10% degli artigiani afferma che aver visto sui social dei professionisti al lavoro ha influenzato la propria decisione di intraprendere una carriera nel settore.
Mercato del lavoro, la lezione per tutti
Abbiamo visto questo copione prima. I millennials si sono laureati nella recessione del 2008 e hanno scoperto che i lavori promessi erano spariti. Molti hanno cambiato rotta verso tech, healthcare, educazione. Non l’hanno fatto con dichiarazioni roboanti, ma con scelte silenziose che hanno rimodellato interi settori.
La Gen Z sta facendo lo stesso, ma con un’accelerazione. Non aspettano che le istituzioni dicano loro dove andare. Leggono i segnali e si muovono. In alcuni casi significa scegliere stabilità invece di prestigio: fa parte della loro filosofia. In altri, significa costruire side project che creano identità e agency oltre un singolo datore di lavoro. E lo stanno facendo senza fare troppo rumore.

Per chi è più grande, c’è una lezione. In un mondo dove la disruzione accelera, l’istinto di muoversi velocemente, sperimentare ai margini e costruire percorsi multipli potrebbe essere il modello che serve a tutti. La Gen Z sta dimostrando che la resilienza non è solo questione di forza di volontà: è agilità, lungimiranza.
È l’umiltà di cambiare rotta prima che sia troppo tardi.