La scala del dolore da 0 a 10 funziona solo se sai parlare. E se hai l’Alzheimer, una paralisi cerebrale o sei intubato in terapia intensiva? In quel caso, il medico deve indovinare osservando il tuo volto. Il problema è che “indovinare” non è una scienza.
Un team australiano ha costruito PainChek, un’app che usa l’intelligenza artificiale per fare quello che gli esseri umani fanno male: riconoscere espressioni microscopiche di sofferenza. Nove movimenti muscolari invisibili a occhio nudo, catalogati dal Face Action Coding System, vengono analizzati in tre secondi. L’algoritmo restituisce un punteggio da 0 a 42. Accuratezza del 90%. Già usata in centinaia di case di riposo in Australia, Regno Unito e Canada. Negli Stati Uniti aspetta l’approvazione della FDA.
La mia domanda “inopportuna” è: se una macchina legge il dolore meglio di noi, cosa ci dice sulla nostra capacità di vedere la sofferenza altrui?
Quando la scala del dolore smette di funzionare
Circa il 70% dei pazienti in terapia intensiva prova dolore che non viene riconosciuto né trattato adeguatamente. Nelle case di riposo, tra il 60% e l’80% degli anziani con demenza soffre regolarmente, ma il personale sanitario fatica a interpretare i segnali. La Numeric Rating Scale, la VAS (Visual Analogue Scale) e le altre scale tradizionali hanno un limite strutturale: presuppongono che il paziente possa comunicare.
Per chi non può parlare, esistono strumenti osservativi come la PAINAD o la Abbey Pain Scale. Ma richiedono tempo, addestramento e soprattutto interpretazione umana. E non è facile. Spesso gli anziani agitati vengono sedati con psicofarmaci, e il dolore resta non diagnosticato.
Come funziona l’intelligenza artificiale del dolore
PainChek usa una tecnologia di analisi facciale basata sul Face Action Coding System, lo stesso utilizzato dai ricercatori per studiare le emozioni dal 1978. L’algoritmo è stato addestrato su migliaia di immagini di volti che provano dolore e cerca nove specifici movimenti muscolari: sollevamento del labbro superiore, contrazione delle sopracciglia, tensione delle guance eccetera. Micro-espressioni che durano frazioni di secondo e che un osservatore umano fatica a cogliere, soprattutto in pazienti con espressioni alterate da condizioni neurologiche.
È come un termometro digitale, ma per il dolore. Apri l’app, punti lo smartphone a 30 centimetri dal viso della persona, registri tre secondi di video. La rete neurale analizza le micro-contrazioni facciali e produce un punteggio. Poi l’operatore completa una checklist di altri segnali comportamentali: gemiti, protezione di una parte del corpo, disturbi del sonno. Il risultato viene caricato su un archivio in cloud che traccia (e mostra) l’evoluzione del dolore nel tempo.
Kreshnik Hoti, ricercatore senior di PainChek, spiega:
“Inizialmente pensavamo che l’AI dovesse automatizzare tutto, ma ora vediamo che l’uso ibrido (AI più input umano) è la nostra principale forza”.
Il sistema non sostituisce il giudizio clinico, lo supporta. E soprattutto, riduce il margine di errore nelle situazioni dove l’interpretazione umana è più fragile.
I risultati nelle case di riposo britanniche
Orchard Care Homes ha introdotto PainChek in quattro strutture a partire dal gennaio 2021. Nel giro di poche settimane, le prescrizioni di psicofarmaci sono calate e i corridoi si sono svuotati di urla. I dati interni mostrano una riduzione del 25% nell’uso di antipsicotici a livello aziendale. In Scozia, le cadute sono diminuite del 42%. Non è tutto: gli anziani che saltavano i pasti per dolore dentale non diagnosticato hanno ricominciato a mangiare. Quelli isolati dalla sofferenza hanno ripreso a socializzare.
La tecnologia AI è stata approvata dalla Therapeutic Goods Administration australiana nel 2017, poi autorizzata in Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda. Secondo i dati aziendali, ha registrato oltre 10 milioni di valutazioni con un’accuratezza del 90%. Negli Stati Uniti, come detto, è in attesa di approvazione FDA.
Il vantaggio operativo è immediato: una valutazione completa con la Abbey Pain Scale richiede 20 minuti, con PainChek meno di cinque. Questo libera tempo per il personale clinico e rende più frequente il monitoraggio del dolore, trasformandolo in un parametro vitale routinario come la pressione arteriosa.
Scala del dolore AI: le domande che restano aperte
L’analisi facciale automatica, non nascondiamolo, ha una storia problematica con i bias algoritmici, soprattutto legati al colore della pelle. PainChek sostiene di aver addestrato il sistema su dataset diversificati, ma studi indipendenti del 2024 sulla paralisi cerebrale mostrano che l’accuratezza varia ancora in base alla popolazione. Un’espressione di nausea o paura può essere confusa con il dolore. E c’è sempre il rischio che i clinici si affidino troppo all’algoritmo, erodendo la propria capacità di osservazione.
Baird, che oggi vive con dolore cronico, ha una posizione netta: “Ho avuto difficoltà a far credere alle persone del mio dolore. PainChek avrebbe fatto un’enorme differenza”. Se l’intelligenza artificiale può dare una voce numerica a chi soffre in silenzio, allora forse vale la pena aggiungere una riga in più alla cartella clinica. Anche se quella riga la scrive una macchina.
La scala del dolore non sparirà. Ma sta cambiando forma. E forse, dopo settant’anni di “da 0 a 10”, era ora.