Come facevano gli antichi a produrre vino se i lieviti sono scarsissimi sulle bucce dell’uva fresca? La domanda ha tenuto banco per anni nei circoli scientifici. Le analisi mostrano che il Saccharomyces cerevisiae, responsabile della fermentazione alcolica, raramente colonizza l’uva appena raccolta. Eppure il vino esiste da millenni. La risposta è arrivata da Kyoto: usavano l’uva passa.
I ricercatori guidati da Mamoru Hio hanno scoperto che l’essiccazione al sole trasforma le bucce in un paradiso per i lieviti giusti. Metti l’uvetta in acqua, aspetti due settimane, e ottieni vino. Senza aggiungere nulla. È un processo naturale che spiega come popoli antichi potessero produrre alcol senza conoscere la microbiologia. Il sole faceva il lavoro sporco.
Il problema delle bucce d’uva fresche
Le cantine moderne usano S. cerevisiae coltivato in laboratorio. Si aggiunge al mosto, si controlla la temperatura, si gestisce tutto. Ma nell’antichità? Si pensava che bastasse schiacciare l’uva in giare e aspettare che i lieviti presenti naturalmente sulle bucce facessero il loro lavoro. Solo che il Saccharomyces cerevisiae è scarsissimo sull’uva fresca. Sulle bucce degli acini appena raccolti dominano altri lieviti come Hanseniaspora uvarum, Cryptococcus e Metschnikowia, che non producono alcol in quantità significative.
Questa contraddizione ha spinto il team dell’Università di Kyoto a investigare. L’ipotesi: gli antichi non usavano uva fresca schiacciata, ma uva passa reidratata. Per testarla, hanno preso dell’uva, l’hanno essiccata in tre modi diversi per 28 giorni, e poi l’hanno immersa in acqua.
L’esperimento che cambia tutto
I ricercatori hanno diviso l’uva in tre gruppi. Il primo è stato essiccato completamente al sole. Il secondo in parte al sole, in parte in incubatore a 37°C. Il terzo solo in incubatore. Dopo 28 giorni, hanno preparato una soluzione al 25% di uva passa in acqua sterile e hanno lasciato fermentare a temperatura ambiente per due settimane.
I risultati, pubblicati su Scientific Reports nel 2025, sono netti: tutti e tre i campioni di uva passa essiccata al sole hanno fermentato con successo, producendo concentrazioni di etanolo significativamente superiori agli altri.
Solo un campione essiccato in incubatore e due del gruppo misto sono riusciti a fermentare, con risultati inferiori.
La differenza? Il sole. Durante l’essiccazione all’aperto, i lieviti Saccharomyces migrano dall’ambiente circostante e colonizzano massicciamente le bucce. In incubatore questo non succede. Il processo di essiccazione naturale crea le condizioni ideali: riduce l’acqua, concentra gli zuccheri, e attira i lieviti giusti.
Uva passa, due settimane in bottiglia e via
Il processo è semplice. Dopo l’immersione dell’uva passa in acqua, i lieviti iniziano a moltiplicarsi rapidamente. Nel giro di 24-48 ore, le colonie raggiungono circa 10⁸ cellule per millilitro. I batteri rimangono bassi, intorno a 10² cellule per millilitro. Questo significa che sono i lieviti a dominare completamente il processo fermentativo.
L’etanolo raggiunge picchi di circa 90 grammi per litro entro l’ottavo giorno in due delle tre bottiglie testate. La terza è stata più lenta, ma comunque efficace. Durante la fermentazione, la diversità microbica diminuisce drasticamente. Gli Aspergillus e altri funghi presenti inizialmente scompaiono, lasciando spazio quasi esclusivamente ai Saccharomycetaceae, la famiglia a cui appartiene S. cerevisiae.
Come spiega Mamoru Hio, primo autore dello studio:
“Chiarendo il meccanismo di fermentazione naturale facilitato da vari microrganismi a livello molecolare, vorremmo collegare la nostra ricerca alla creazione di bevande alcoliche uniche”.
Cosa significa per la storia del vino
La scoperta riscrive quello che sapevamo sulla produzione antica di vino. È probabile che molte civiltà antiche non schiacciassero uva fresca, ma usassero uva passa reidratata. Il processo aveva senso pratico: l’uva essiccata si conserva a lungo, può essere trasportata facilmente, e produce fermentazioni più affidabili.
Resta da capire come i lieviti migrano dall’ambiente alle bucce durante l’essiccazione. Lo studio è stato condotto a Uji, nella prefettura di Kyoto, fuori dalle regioni tipiche di produzione dell’uva passa. Wataru Hashimoto, leader del team, sottolinea che
“studi futuri dovrebbero concentrarsi su lieviti a bassa abbondanza rilevabili in campioni più grandi, e condurre ricerche in climi più secchi per riflettere meglio le condizioni naturali dell’antica produzione di vino”.
C’è anche un caveat importante: funziona solo con uva passa essiccata naturalmente. Non andate a comprare uva passa al supermercato sperando di schiaffarla in acqua e ricavare il vino: la maggior parte di quella in venditq ha un rivestimento oleoso che impedisce la fermentazione. Serve uva passa non trattata, quella che gli antichi producevano semplicemente stendendo i grappoli al sole.
Vino da uva passa: serve che qualcuno ci provi davvero
Lo studio apre scenari interessanti per produttori artigianali che cercano metodi di fermentazione naturale. La tecnica potrebbe essere applicata per creare vini con profili aromatici unici, derivati completamente da lieviti selvaggi colonizzati durante l’essiccazione.
Ma soprattutto, risolve un mistero archeologico. Come potevano popoli senza microscopi, senza biologia molecolare, senza neanche il concetto di “lievito”, produrre vino affidabilmente? Semplice: lasciavano che il sole facesse il lavoro. L’essiccazione non era solo conservazione. Era biotecnologia applicata, millenni prima che esistesse la parola.
Finché qualcuno non proverà a replicare il metodo su scala più ampia, resta una curiosità scientifica. Ma se funziona come suggerisce lo studio, potremmo ritrovare un sapore dimenticato: quello del vino come lo bevevano gli antichi, fatto solo di sole, acqua e tempo.