Cosa succederebbe se non dovessi più cercare, confrontare e comprare? Se un’AI facesse tutto questo al posto tuo, tracciando i prezzi, chiamando i negozi, completando il checkout? Ti sembra comodo o inquietante? La risposta potrebbe non importare più. Lo shopping AI è realtà.
Google lancia strumenti che telefonano ai rivenditori per verificare disponibilità, Amazon permette acquisti automatici quando i prezzi scendono, ChatGPT integra carrelli Etsy e Walmart direttamente nella conversazione. Secondo Salesforce, solo nella Cyber Week 2025 sono stati già movimentati 73 miliardi di dollari tramite AI: il 22% di tutti gli ordini online globali. Si, siamo già a questo punto. Il traffico da assistenti intelligenti è cresciuto del 119% in un solo anno. E nei prossimi, la sfida (non scherzo) è sapere chi deciderà cosa compri quando l’algoritmo saprà cosa vuoi prima di te. Ma ripartiamo con ordine.
Quando Google chiama il negozio al posto tuo
Google ha appena attivato una funzione che sembra uscita da un racconto di quando ancora pensavamo che i robot avrebbero avuto le ruote. Si chiama “Let Google Call” e fa esattamente quello che promette: l’AI telefona ai negozi fisici per verificare se hanno il prodotto che cerchi, a che prezzo, con quali promozioni. Tu cerchi, l’algoritmo chiama, tu ricevi un riassunto. Niente attese al telefono, niente “le passo il reparto elettronica”, niente musichette.
Il sistema si basa sulla tecnologia Duplex. Ve la ricordate? Quella che nel 2018 prenotava ristoranti con una voce così umana da sembrare quasi imbarazzante. Ora è evoluta: analizza inventari, prezzi, disponibilità. E lo fa meglio di te, perché non ha fretta, non si stanca, e soprattutto non ha quella naturale ritrosia (“fa brutto”) a chiedere sconti che affligge la maggior parte degli italiani.
La funzione è attiva negli Stati Uniti per categorie specifiche: giocattoli, prodotti di bellezza, elettronica.
Google lo chiama “agentic checkout”, un termine che suona vagamente medico ma significa semplicemente che l’AI agisce per conto tuo. Puoi impostare un prezzo massimo, l’algoritmo monitora, e quando scende ti avvisa. O meglio: completa l’acquisto. Con la tua autorizzazione, ovviamente. Giusto?
ChatGPT riempie il carrello, Amazon sorveglia i prezzi
OpenAI non sta a guardare. Da settembre ChatGPT permette di acquistare prodotti Etsy senza mai uscire dalla chat. A ottobre è arrivato l’accordo anche con il colosso Walmart. Il meccanismo è semplice: stai pianificando una festa, chiedi suggerimenti, l’AI ti propone decorazioni e gadget, aggiungi al carrello, paghi. Tutto in una conversazione. Come raccontavamo qui, l’Università di Cambridge definisce questo fenomeno “economia delle intenzioni”: l’AI non aspetta che tu decida, anticipa il bisogno.
Amazon, dal canto suo, ha integrato funzionalità simili nel suo assistente Rufus, (che personalmente non mi fa impazzire, ma ne riparleremo). Le interazioni con il chatbot sono cresciute del 210% anno su anno, e chi lo usa ha il 60% di probabilità in più di completare un acquisto, secondo i dati dell’ultima call trimestrale con gli investitori. Non è assistenza: è persuasione algoritmica. Un commesso che non dorme mai, non si offende, e conosce ogni dettaglio del catalogo.
Shopping AI, la battaglia invisibile per decidere cosa compri
La posta in gioco è chiara: diventare i mediatori tra desiderio e transazione. Se Google, Amazon o OpenAI riescono a posizionarsi come l’interfaccia attraverso cui passi per comprare qualsiasi cosa, controllano non solo il commercio, ma anche i dati, le preferenze, le intenzioni. Secondo analisti di settore, entro il 2030 il 25% della spesa ecommerce sarà gestita da agenti automatizzati. PayPal lo ha dichiarato pubblicamente. Walmart ha assunto due dirigenti di alto livello dedicati all’AI aziendale e sta implementando quattro “super agenti” interni.
Il tutto mentre il 66% degli americani non ha mai usato ChatGPT, e il 20% non ne ha nemmeno sentito parlare, secondo il Pew Research Center. L’adozione procede “a macchia di leopardo”, ma la direzione è segnata. Chi vince questa battaglia non conquisterà solo un mercato: definirà il modo in cui le persone accedono ai beni per i prossimi decenni.
Come compreremo: una linea temporale (semi)seria
2030. Dici “ho finito il latte” ad alta voce mentre apri il frigo. Il tuo assistente domestico lo ordina e arriva in giornata. Nessuna app, nessun click. Solo una notifica che ti avvisa che il pagamento è stato effettuato. Ti chiedi quando hai dato il consenso, ma non te lo ricordi. Probabilmente era nella pagina 47 dei termini di servizio.
2050. Non compri più nulla direttamente. Hai un “agente personale” che gestisce acquisti, abbonamenti, sostituzioni. Sa quando finisce lo shampoo prima che tu lo noti. Sa che ti piace il caffè arabica (ah, allora si è salvato!) ma solo se biologico. Sa anche che non lo sai, ma stai per cambiare marca di scarpe perché il tuo modello preferito non viene più prodotto. Te lo comunica con tre settimane di anticipo. Gentile, efficiente, leggermente inquietante.
2100. Il concetto di “comprare” è obsoleto. Gli oggetti arrivano quando servono e vengono ritirati quando non servono più. L’economia è circolare per necessità, non per scelta. L’AI gestisce flussi, non transazioni. Tu non possiedi nulla e possiedi tutto, a seconda di come definisci il verbo “possedere”. Ogni tanto ripensì con nostalgia ai tempi in cui aggiungevi prodotti al carrello, come se fosse un gesto significativo. Era solo l’illusione del controllo. Ma era tua.
Shopping AI: chi decide davvero?
La tecnologia non è quasi mai il problema: noi siamo il problema. Per essere precisi, il problema è che stiamo delegando scelte che pensavamo fossero nostre. Ogni volta che un algoritmo suggerisce un prodotto, non sta solo facilitando l’acquisto: sta selezionando cosa possiamo vedere, cosa confrontare, cosa ignorare. E se Google, Amazon o OpenAI diventano i guardiani di quel processo, le implicazioni vanno oltre la comodità. Si tratta di chi controlla l’accesso al mercato, chi definisce la rilevanza, chi decide quale brand sopravvive e quale scompare.
Come notano gli analisti di Agenda Digitale, per i brand la sfida è esistenziale: se nello shopping AI è l’algoritmo che sceglie per il consumatore, avere il prodotto migliore potrebbe non bastare più. Bisogna avere il prodotto che l’AI trova per primo, che considera più rilevante, che inserisce nella risposta. Diventa solo una questione di visibilità, non di qualità percepita.
La domanda che ci portiamo nel prossimo decennio è semplice ma scomoda: siamo pronti a vivere in un mondo dove la scelta è un servizio, non un diritto? Dove l’AI sa cosa vogliamo prima che lo sappiamo noi? Dove comprare diventa un atto passivo, quasi involontario?
Se la risposta è sì, allora benvenuti. Lo shopping AI è già qui. E sta solo iniziando a imparare.