Un topo con l’occhio pigro riceve un’iniezione di tetrodotossina. La retina si spegne per due giorni. Quando si riaccende, il cervello ha ricostruito le connessioni che erano atrofizzate dall’infanzia. Visione recuperata, deficit sparito.
Questo è quello che hanno osservato i ricercatori del MIT in uno studio pubblicato su Cell Reports il 25 novembre 2025. L’esperimento ribalta le certezze sull’ambliopia: fino a ieri si pensava che dopo gli 8 anni non ci fosse nulla da fare.
L’ambliopia, un cablaggio che si arrende
L’ambliopia colpisce il 4% della popolazione mondiale. In Italia, circa un milione di persone. Il meccanismo è semplice: durante lo sviluppo infantile, un occhio lavora male (strabismo, differenze di rifrazione, cataratta congenita). Il cervello si stanca di ricevere immagini confuse da quell’occhio e decide di ignorarlo. Le connessioni neurali tra la retina e la corteccia visiva si indeboliscono. L’occhio funziona, intendiamoci: ma il cervello ha smesso di ascoltarlo.
Il trattamento classico nei bambini è il bendaggio: si copre l’occhio buono per costringere il cervello a usare quello pigro. Funziona se fatto prima dei 5-7 anni, quando la plasticità neurale è ancora alta. Dopo quella finestra temporale, il cervello si è già organizzato. La benda non serve più. L’occhio pigro resta tale. Fine della storia, o almeno così si credeva.
Secondo il CDC statunitense, 7 milioni di americani hanno problemi visivi legati all’ambliopia. La condizione è la principale causa di disabilità visiva monoculare in bambini e adulti sotto i 50 anni. Il limite dei 7-8 anni per i trattamenti era considerato invalicabile fino ad oggi.
Occhio pigro, il “reboot” biologico del MIT
Il team guidato da Mark Bear, neuroscienziato del Picower Institute for Learning and Memory, ha scoperto che il problema non è la mancanza di plasticità. È il modo in cui la si riattiva. Nel 2016 avevano dimostrato che anestetizzare temporaneamente entrambe le retine poteva ripristinare la vista nell’occhio ambliope. Nel 2021 hanno provato a spegnere solo l’occhio buono. Funzionava, ma richiedeva di sacrificare temporaneamente la visione funzionale.
L’ultimo studio, condotto da Madison Echavarri-Leet (primo autore della ricerca), ha testato l’ipotesi opposta: spegnere direttamente l’occhio pigro. Un’iniezione di tetrodotossina mette offline la retina per 48 ore. Quando si riaccende, il cervello ha fatto retromarcia.
Come racconta Bear in un comunicato ufficiale del MIT:
“L’occhio ambliope, che non sta facendo molto, potrebbe essere inattivato e ‘riportato in vita’. Sarebbe rassicurante sapere che la visione nell’occhio buono non deve essere interrotta dal trattamento.”
Tetrodotossina, il veleno che riprogramma il cervello
La tetrodotossina è la stessa neurotossina che rende letali i pesci palla e alcuni porcospini. Blocca i canali del sodio nelle cellule nervose, impedendo la trasmissione dei segnali elettrici. In dosi controllate, funziona come un interruttore biologico. Spegnere la retina per due giorni innesca nel nucleo genicolato laterale (LGN), la stazione di rilancio tra occhio e corteccia visiva, un’attività elettrica particolare: scariche sincronizzate ad alta frequenza, simili a quelle che si osservano nei neonati prima della nascita.
Questi “burst” guidano lo sviluppo sinaptico iniziale. Nel cervello adulto, normalmente non si vedono più. Ma quando la retina viene spenta, i neuroni del LGN tornano a sparare in quel modo. Il team del MIT ha dimostrato che questo pattern dipende da canali del calcio di tipo T. Quando hanno bloccato geneticamente questi canali nei topi, l’effetto terapeutico della tetrodotossina è scomparso. Senza burst, niente recupero visivo.
Scheda dello Studio
Ente di ricerca: MIT Picower Institute for Learning and Memory
Anno: 2025
Pubblicazione: Cell Reports (25 novembre 2025)
Primo autore: Madison Echavarri-Leet
Autore senior: Mark Bear
TRL: 3-4 – Dimostrazione di principio validata su modelli animali
Occhio pigro, i risultati sui topi (e il paradosso dell’inattività)
Gli esperimenti hanno coinvolto topi con ambliopia indotta. Dopo l’iniezione di tetrodotossina nell’occhio ambliope, i ricercatori hanno misurato l’attività neuronale nella corteccia visiva una settimana dopo. Il rapporto di input tra i due occhi, che prima era sbilanciato verso l’occhio sano, si era riequilibrato. L’occhio trattato aveva riguadagnato parità. Non solo: l’effetto era duraturo. I topi mantenevano il recupero visivo nel tempo.
Il paradosso è che per far lavorare l’occhio pigro, bisogna spegnerlo. Non si tratta di stimolazione, ma di reset. Come se il cervello avesse bisogno di un silenzio completo per ricalibrare i pesi delle connessioni. Le bende non funzionano negli adulti perché la retina continua a mandare segnali anche al buio. La tetrodotossina azzera tutto. Quando la retina si riaccende, il cervello la tratta come nuova.
Dalla cyclette ai primati
L’idea di riattivare la plasticità cerebrale per curare l’ambliopia non nasce solo dal MIT. Nel 2018, un gruppo italiano del CNR di Pisa (coordinato da Alessandro Sale e Maria Concetta Morrone) aveva dimostrato che l’attività fisica combinata alla deprivazione visiva temporanea dell’occhio pigro migliorava permanentemente la visione negli adulti. Dieci pazienti ambliopi avevano pedalato su una cyclette per tre ore al giorno, alternando sessioni da 10 minuti, mentre guardavano un film con l’occhio pigro bendato.
Risultato: recupero dell’acuità visiva e della stereopsi (visione della profondità) mantenuto anche 12 mesi dopo.
L’approccio del MIT è diverso ma complementare. Non serve pedalare. Basta l’iniezione. Due giorni offline, settimane di beneficio. Il prossimo passo è replicare i risultati su primati non umani. I topi hanno un sistema visivo più semplice del nostro. L’occhio umano ha oltre 2 milioni di componenti funzionali. Bear è giustamente cauto:
“È estremamente importante confermare i risultati in specie superiori con sistemi visivi più vicini al nostro.”
Quando e come ci cambierà la vita
Se i test sui primati confermeranno l’efficacia del trattamento, le sperimentazioni cliniche sull’uomo potrebbero iniziare entro 3-5 anni. La tetrodotossina è già usata in medicina come anestetico locale per dolore cronico. La via di somministrazione (iniezione intraoculare) è invasiva ma collaudata.
Il vero ostacolo non è la sicurezza, ma la replicabilità dell’effetto in un cervello umano adulto. Se funziona, un milione di italiani con ambliopia cronica potrebbero recuperare visione con un trattamento di 48 ore.
Approfondisci
Il recupero della plasticità cerebrale nell’adulto non riguarda solo l’ambliopia. Lo stesso laboratorio di Bear sta studiando applicazioni simili per la sindrome dell’X fragile e altre condizioni neurologiche legate a deficit sinaptici. Il principio è lo stesso: resettare il sistema per farlo ripartire.
Nei prossimi anni vedremo se un veleno da pesce palla diventerà strumento chirurgico di precisione. Per ora, i topi vedono meglio. Gli adulti con l’occhio pigro aspettano.