La lancetta pungidito è uno degli aspetti più fastidiosi della vita di chi convive con il diabete. Pungere il polpastrello più volte al giorno per misurare la glicemia non è solo doloroso: è un rituale che molti pazienti finiscono per saltare, con conseguenze serie sulla salute. I sensori sottocutanei hanno migliorato la situazione, certo, ma restano invasivi e vanno sostituiti ogni due settimane. Ora arriva qualcosa di diverso. Ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno messo a punto un dispositivo che misura la glicemia senza aghi: senza bucare nulla. Basta appoggiare il braccio su una superficie e attendere 30 secondi.
Il sistema usa la spettroscopia Raman, una tecnica che punta luce nel vicino infrarosso sulla pelle e analizza come le molecole la riflettono. Ogni sostanza chimica ha una firma luminosa unica, e il glucosio non fa eccezione.
Come funziona la spettroscopia Raman per misurare la glicemia senza aghi
La tecnologia dietro questo sensore non è nuova, ma l’applicazione pratica è stata un rompicapo per anni. La spettroscopia Raman funziona così: un laser colpisce i tessuti della pelle, le molecole vibrano e rimandano indietro luce a frequenze leggermente diverse. Analizzando queste frequenze si può identificare cosa c’è nel tessuto. Il problema? Il segnale del glucosio è minuscolo rispetto al rumore di fondo generato da proteine, lipidi e collagene.
Il team del MIT ha risolto il problema cambiando l’angolo di illuminazione. Invece di puntare il laser perpendicolare alla pelle e raccogliere la luce dalla stessa posizione, hanno deciso di illuminare con un angolo di circa 60 gradi e raccogliere il segnale perpendicolarmente. Questo filtra i riflessi superficiali indesiderati e lascia passare solo il segnale utile del glucosio. Un po’ come fotografare attraverso una vetrina angolata per evitare riflessi.
Lo studio, pubblicato su Analytical Chemistry, porta come prima firma Arianna Bresci, ricercatrice italiana in postdoc al MIT. Il team ha dimostrato che bastano solo tre bande spettrali su circa mille disponibili per ottenere una misurazione accurata. Questo ha permesso di ridurre le dimensioni dell’apparecchio da quelle di una stampante desktop a quelle di una scatola da scarpe.
Dal laboratorio al polso: il prototipo indossabile
Nel test clinico condotto presso il MIT Center for Clinical Translation Research, un volontario sano ha indossato due sensori commerciali invasivi mentre veniva monitorato dal dispositivo MIT. Per quattro ore, ogni cinque minuti, il sistema ha scansionato il braccio del soggetto. Durante la prova il volontario ha bevuto due soluzioni da 75 grammi di glucosio, causando picchi glicemici significativi. L’accuratezza del sensore MIT è risultata paragonabile a quella dei due monitor commerciali, ma senza nessun ago o filo sottocutaneo.
Il dispositivo utilizzato nello studio è ancora un po’ ingombrante (dimensioni di una scatola da scarpe), ma il team ha già sviluppato un prototipo delle dimensioni di uno smartphone. Questo secondo modello è attualmente in fase di test su volontari sani e prediabetici. Se i risultati saranno confermati, il prossimo anno partirà uno studio più ampio in collaborazione con un ospedale locale, che includerà pazienti diabetici.
L’obiettivo finale? Un sensore grande come un orologio (che sarebbe una grande comodità, diciamolo). Il team sta lavorando per miniaturizzare ulteriormente il sistema e sta anche esplorando modi per garantire letture accurate su persone con diverse tonalità di pelle, un aspetto critico troppo spesso trascurato nello sviluppo di dispositivi medici.
Perché i diabetici non misurano abbastanza la glicemia
Secondo Jeon Woong Kang, ricercatore del MIT e autore senior dello studio, più della metà dei pazienti diabetici non testa i livelli di glucosio con la frequenza raccomandata. Le punture al dito sono dolorose, scomode e fastidiose. Molti pazienti sviluppano una forma di “stanchezza da automonitoraggio” e saltano i controlli, aumentando così il rischio di complicazioni gravi come retinopatia, neuropatia e problemi cardiovascolari.
I sensori di monitoraggio continuo (CGM) hanno parzialmente risolto il problema. Ci sono già dispositivi che permettono di leggere la glicemia passando un lettore sul braccio, senza pungersi: ma anche questi richiedono l’inserimento di un filamento sottocutaneo che va cambiato ogni 10-15 giorni. Alcuni pazienti lamentano irritazioni cutanee, altri semplicemente non vogliono avere qualcosa conficcato nel braccio in permanenza.
Un sensore completamente non invasivo risolverebbe entrambi i problemi. Nessun dolore, nessun filamento sottocutaneo, nessuna irritazione. Solo un dispositivo da indossare che fa il suo lavoro senza che tu te ne accorga. Finché non suona l’allarme, naturalmente.
Gli altri tentativi (falliti) di misurare la glicemia senza aghi
Il MIT non è il primo a provarci. Come raccontavo qualche anno fa, startup e colossi tech hanno tentato la strada del glucometro non invasivo con risultati alterni. Apple ha lavorato su sistemi basati sulla spettroscopia di assorbimento sin da prima della morte di Steve Jobs, senza mai arrivare a un prodotto commerciale. Nel 2013 C8 MediSensors ha raccolto 60 milioni di dollari da General Electric per sviluppare sensori ottici, fallendo nel tentativo.
La startup giapponese Quantum Operation ha presentato al CES 2021 un prototipo di smartwatch con spettrometro integrato, ma il dispositivo non è mai arrivato sul mercato. PKVitality ha mostrato un sistema basato su infrarossi, anche quello senza seguito. Il problema non è mai stato teorico, ma pratico: ottenere letture affidabili e ripetibili attraverso la pelle è maledettamente difficile.
Il motivo per cui il MIT potrebbe riuscire dove altri hanno fallito sta nell’approccio incrementale. Invece di promettere subito uno smartwatch miracoloso, il team ha prima dimostrato la fattibilità scientifica con un dispositivo da laboratorio, poi lo ha ridotto a dimensioni portatili, e solo ora sta lavorando alla versione indossabile. Passo dopo passo, con validazioni cliniche a ogni stadio.
Quando arriverà sul mercato (e quanto costerà)
Nessuna data definitiva, ma il percorso è tracciato. Il prototipo da smartphone è già in test clinici. Se i dati saranno positivi, nel 2026 partirà uno studio più ampio su pazienti diabetici. Dopo quello serviranno ancora test di sicurezza, approvazioni regolatorie e produzione su scala. Parlare di commercializzazione prima del 2027-2028 sarebbe ottimistico. E sul prezzo? Troppo presto per dirlo, ma il fatto che il team abbia lavorato esplicitamente per ridurre i costi (usando solo tre bande spettrali invece di mille) è un segnale positivo.
Vale la pena notare che il MIT ha già una lunga storia di collaborazioni con l’industria per portare le proprie tecnologie sul mercato. Lo studio è stato finanziato dal National Institutes of Health, dalla Korean Technology and Information Promotion Agency e da Apollon Inc., una biotech sudcoreana. Quest’ultima collaborazione suggerisce che esista già interesse commerciale concreto.
Quando e come cambierà la tua vita
Se tutto va bene, tra 3-4 anni un paziente diabetico potrebbe indossare un dispositivo delle dimensioni di un orologio che monitora la glicemia 24/7 senza alcuna invasività. Niente più punture al dito, niente più sensori sottocutanei da cambiare, solo controlli passivi e continui. Per i 4 milioni di diabetici in Italia (destinati a diventare 5 milioni entro il 2030), potrebbe essere una svolta nella qualità della vita quotidiana.

Approfondisci
Interessato alle tecnologie per il diabete? Leggi anche come un sensore di sudore può monitorare il glucosio per tre settimane. Oppure scopri come i tracker della salute stanno già salvando vite.
La strada verso un mondo senza punture quotidiane è ancora lunga, ma per la prima volta non sembra più utopia: è tecnologia che esiste, funziona e ha superato i primi test clinici. Ora serve solo portarla fuori dal laboratorio e trasformarla in un prodotto che milioni di persone possano usare ogni giorno.