L’umidità che si attacca alla pelle, l’aria satura che rende difficile respirare. È sempre stato così nella foresta amazzonica, da milioni di anni. Adesso qualcosa sta cambiando, e non per gradi: sta emergendo un regime climatico che nessun albero vivente ha mai conosciuto. Secondo uno studio pubblicato su Nature il 10 dicembre 2024, la foresta pluviale più grande del pianeta si sta spostando verso quello che i ricercatori chiamano “clima ipertropicale”. Un territorio inesplorato per la biosfera terrestre, dove le siccità roventi potrebbero durare 150 giorni all’anno entro il 2100, penetrando persino nella stagione umida.
Il termine “ipertropicale” non è un modo drammatico per dire “molto caldo”. Descrive condizioni oltre il limite di ciò che consideriamo foresta tropicale oggi. Temperature e siccità che superano il 99° percentile storico. Jeff Chambers, geografo dell’Università della California a Berkeley e autore principale dello studio, è chiaro: questo clima è esistito l’ultima volta tra l’Eocene e il Miocene, tra 40 e 10 milioni di anni fa, quando la temperatura media globale era di 14°C superiore a quella odierna.
Quando l’umidità del suolo scende sotto il 33%, gli alberi muoiono
Il team ha analizzato 30 anni di dati provenienti da una porzione di foresta a nord di Manaus, nel cuore dell’Amazzonia brasiliana. Temperatura, umidità, umidità del suolo, intensità della luce. Ma soprattutto hanno misurato qualcosa di nuovo: il flusso d’acqua e linfa all’interno dei tronchi durante le siccità. Quando il vapore acqueo evapora troppo velocemente, il terreno si secca. Gli alberi chiudono i pori sulle foglie per conservare l’acqua. Ma chiudendo quei pori, bloccano anche l’assorbimento di CO₂.
Il dato critico è questo: quando l’umidità del suolo scende sotto il 33%, gli alberi entrano in crisi sistemica. Smettono di catturare carbonio e sviluppano bolle d’aria nella linfa, come emboli nei vasi sanguigni umani. Se le bolle sono troppe, l’albero collassa.
Questa soglia si è ripetuta identica durante El Niño 2015 e 2023. Non è un’anomalia: è una regola.
Clima ipertropicale, gli alberi “veloci” moriranno per primi
Non tutte le specie reagiscono allo stesso modo. Gli alberi a crescita rapida, quelli che assorbono CO₂ voracemente per espandersi in fretta, sono i primi a cedere. Hanno bisogno di acqua abbondante e flusso costante di anidride carbonica. Le specie a crescita lenta, come lo Shihuahuaco (Dipteryx micrantha) o l’Ipê giallo (Handroanthus chrysanthus), resistono meglio. Se resistono. Perché la velocità del cambiamento climatico potrebbe superare anche la loro capacità di adattarsi.
La mortalità annuale degli alberi in Amazzonia oggi è poco sopra l’1%. Entro il 2100 potrebbe salire all’1,55%. Chambers sottolinea che questo 0,55% in più “può sembrare poco, ma su una foresta di 6,5 milioni di chilometri quadrati fa una differenza enorme”. Un po’ come dire che una febbre di 0,5 gradi in più può sembrare niente, ma su un corpo malato può segnare il confine tra recupero e collasso.
Questo riguarda anche Africa e Sud-Est asiatico
L’Amazzonia non è sola. Altre foreste tropicali in Africa occidentale e Sud-Est asiatico potrebbero subire la stessa transizione. Il motivo è semplice: il riscaldamento globale sta espandendo la stagione secca ovunque nelle fasce tropicali. Oggi l’Amazzonia sperimenta condizioni ipertropicali per pochi giorni o settimane durante le siccità estreme. Tra 20-40 anni, queste condizioni diventeranno la norma nella stagione secca. Entro il 2100, si estenderanno anche ai mesi umidi.
Chambers è esplicito:
“Dipende da noi quanto velocemente si creerà questo clima ipertropicale. Se continuiamo a emettere gas serra senza controllo, lo creeremo prima”.
Le foreste tropicali assorbono più CO₂ di qualsiasi altro bioma terrestre. Se smettono di farlo, o peggio se iniziano a rilasciarne, il ciclo del carbonio globale si rompe. Come avevamo già discusso qui, le foreste non possono compensare le nostre emissioni da sole. Ma se diventano emittenti nette, il problema si aggrava esponenzialmente.
Quando e come ci cambierà la vita
Entro il 2050 le condizioni ipertropicali saranno frequenti durante la stagione secca amazzonica. Entro il 2100, se non riduciamo le emissioni, si estenderanno all’intero anno, alterando i cicli delle piogge in Brasile, Paraguay e Argentina.
Questo impatterà agricoltura, disponibilità idrica e stabilità climatica di un intero continente. La capacità della Terra di assorbire carbonio antropogenico verrà drasticamente ridotta.
Finché possiamo ancora chiamarla “foresta pluviale”, l’Amazzonia rimane un polmone per il pianeta. Ma i polmoni hanno una capacità.
E quando quella capacità viene superata, non si ripara con una boccata d’aria fresca. Si ripara smettendo di inquinare.