Migliaia di ghiacciai spariranno entro il 2100. Eppure in una regione del pianeta, tra le montagne del Pamir in Tajikistan, sta succedendo l’opposto: i ghiacciai non solo resistono, ma crescono leggermente. Si chiama “anomalia Pamir-Karakoram” ed è l’unica zona al mondo dove il ghiaccio aumenta invece di sciogliersi. Un team giapponese ha appena estratto carote di ghiaccio lunghe 105 metri da quella calotta glaciale, portandole in un laboratorio dell’Università di Hokkaido. Obiettivo: decifrare perché quei ghiacciai tengono, mentre il resto del pianeta fonde. E magari imparare qualcosa che potrebbe servire a salvare anche gli altri.
Il ghiacciaio che sfida la fisica
La calotta di Kon-Chukurbashi, sulle montagne del Pamir a 5810 metri di altitudine, fa quello che nessun altro ghiacciaio dovrebbe fare nell’era del riscaldamento globale: accumula massa. Non di molto, ma abbastanza da attirare l’attenzione di climatologi e glaciologi di tutto il mondo. Yoshinori Iizuka, professore all’Istituto di Scienze delle Basse Temperature dell’Università di Hokkaido, ha guidato una spedizione esclusiva nella regione assieme a un team dell’Ice Memory Foundation e dello Swiss Polar Institute.
L’operazione è stata tecnicamente complessa. Estrarre cilindri di ghiaccio da quasi 6000 metri di quota, in condizioni estreme, con attrezzature che pesano centinaia di chili, non è roba da poco. Le due carote recuperate sono state divise: una è finita in un santuario sotterraneo in Antartide gestito dall’Ice Memory Foundation, l’altra nel laboratorio di Sapporo. Ed è lì che Iizuka e il suo gruppo stanno cercando di capire cosa rende questa regione diversa da tutte le altre.
L’anomalia Pamir-Karakoram è un fenomeno documentato negli ultimi decenni. Mentre i ghiacciai delle Alpi, dell’Himalaya, della Groenlandia e dell’Antartide perdono massa anno dopo anno, questa zona montuosa tra Tajikistan, Pakistan e Cina mostra un comportamento opposto. Le precipitazioni nella regione sono aumentate nell’ultimo secolo, alimentando l’accumulo di neve che si trasforma in ghiaccio.
Carote di ghiaccio, archivi climatici da 10.000 anni
Le carote di ghiaccio sono cilindri estratti perforando ghiacciai e calotte polari. Funzionano come macchine del tempo: ogni strato corrisponde a un anno di nevicate, e analizzando il ghiaccio si possono ricostruire temperature, composizione atmosferica e precipitazioni del passato. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio contengono campioni dell’atmosfera di migliaia di anni fa, permettendo di misurare concentrazioni di CO2, metano e altri gas serra.
Nel laboratorio di Hokkaido, il team lavora in celle frigorifere a -20°C, vestito come esploratori polari. Tagliano sottili sezioni delle carote di ghiaccio, ne misurano la densità, analizzano l’allineamento dei cristalli di neve, studiano la struttura degli strati. Uno strato di ghiaccio trasparente indica un periodo caldo in cui il ghiaccio si è sciolto e ricongelato. Uno strato a bassa densità suggerisce neve compattata piuttosto che ghiaccio solido, utile per stimare le precipitazioni.
I ricercatori sperano che i campioni contengano materiale risalente a 10.000 anni fa o più. Anche se buona parte del ghiacciaio si è sciolta durante un periodo caldo circa 6000 anni fa, trovare ghiaccio antico permetterebbe di rispondere a domande cruciali: che tipo di neve cadeva in questa regione diecimila anni fa? Quali particelle erano sospese nell’atmosfera durante l’era glaciale? Come sono cambiate le precipitazioni nel corso dei millenni?
Perché i ghiacciai del Pamir resistono
Alcune ipotesi collegano l’anomalia al clima freddo della regione. Altre puntano all’uso crescente di acqua agricola in Pakistan, che crea più vapore acqueo e quindi più precipitazioni. Ma fino a ora nessuno aveva dati diretti dal ghiaccio stesso per verificare queste teorie. Le carote di ghiaccio del Pamir sono la prima occasione per esaminare scientificamente il fenomeno.
Tom Slater, ricercatore dell’Università di Northumbria, ha spiegato che in un clima più caldo l’atmosfera trattiene più umidità, aumentando la probabilità di nevicate estreme. Lo stesso meccanismo che ha fatto crescere temporaneamente parti della calotta antartica nel 2021-2023. La differenza è che nel Pamir questo processo sembra più stabile e prolungato.
Iizuka è diretto: “Se riusciamo a capire il meccanismo dietro l’aumento di volume del ghiaccio qui, potremmo applicarlo ad altri ghiacciai nel mondo”.
Ambizioso? Certamente. Ma le implicazioni sarebbero enormi. I ghiacciai alpini, himalayani e artici non si salveranno da soli: servono interventi basati su conoscenze solide. E queste conoscenze sono nascoste negli strati di ghiaccio estratti dalle montagne del Tajikistan.
La corsa contro il tempo
Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, migliaia di ghiacciai spariranno ogni anno nei prossimi decenni, lasciando solo una frazione di quelli attuali entro fine secolo se il riscaldamento globale non viene frenato. Progetti come Ice Memory nascono proprio da questa urgenza: conservare campioni di ghiaccio prima che fondano per sempre, perdendo informazioni climatiche irrecuperabili.
Il progetto italiano Beyond EPICA, coordinato dal CNR, ha raggiunto i 2800 metri di profondità in Antartide, estraendo ghiaccio di 1,2 milioni di anni. Queste carote di ghiaccio permettono di studiare la Transizione del Medio-Pleistocene, quando i cicli glaciali sono passati da intervalli di 41.000 anni a 100.000 anni. Un mistero climatico che potrebbe spiegare molto su come funziona il sistema Terra.
Ma mentre raccogliamo questi archivi climatici, i ghiacciai continuano a sciogliersi. L’Antartide ha perso 168 miliardi di tonnellate di ghiaccio nel 2023. I ghiacciai alpini si ritirano di decine di metri all’anno. Il permafrost artico rilascia metano nell’atmosfera. Il tempo stringe.
Cosa ci dicono le carote di ghiaccio
Sora Yaginuma, studentessa del team di Iizuka, taglia con precisione millimetrica una sezione di carota. “Una carota di ghiaccio è un campione estremamente prezioso e unico”, spiega. “Da quel singolo cilindro eseguiamo molteplici analisi, sia chimiche che fisiche”. Il lavoro procede lentamente. Ogni misura deve essere calibrata, ogni dato verificato. Gli errori non sono ammessi quando si lavora con materiale insostituibile.
Il team spera di pubblicare i primi risultati nel 2026. Sarà un processo lungo di ricostruzione delle condizioni climatiche passate, con molto “trial-and-error”, come ammette Iizuka. Ma le informazioni nascoste nel ghiaccio valgono lo sforzo. Potrebbero rivelare, per esempio, come l’attività mineraria nella regione ha storicamente influenzato qualità dell’aria, temperatura e precipitazioni. O come sono cambiati i pattern atmosferici negli ultimi millenni.
Quando e come ci cambierà la vita
Se i ricercatori riusciranno a identificare i meccanismi che proteggono i ghiacciai del Pamir, potrebbero emergere strategie di geoingegneria glaciale applicabili ad altre regioni. Non soluzioni immediate, ma conoscenze che nei prossimi 10-20 anni potrebbero informare interventi su ghiacciai alpini strategici per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone. Le Alpi italiane dipendono dai ghiacciai per il 40% dell’acqua potabile estiva.
Approfondisci
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Iizuka chiude con una frase semplice: “Spero davvero che ci sia ghiaccio antico”. Non è retorica. È la consapevolezza che in quei 105 metri di cilindri congelati potrebbe esserci la chiave per capire perché alcuni ghiacciai resistono e altri no. E se quella chiave esiste, trovare il modo di usarla potrebbe fare la differenza tra un pianeta con ghiacciai e uno senza.