Si è concluso a Pompei il progetto RePAIR: quattro anni di sperimentazione per ricostruire affreschi di Pompei ridotti in decine di migliaia di frammenti. Due bracci robotici guidati da intelligenza artificiale hanno lavorato sui pezzi della Casa dei Pittori al Lavoro e della Schola Armaturarum. Gli affreschi erano stati perseguitati (non trovo altre parole) prima dall’eruzione del 79 d.C., poi dai bombardamenti alleati del 1943, infine dal crollo strutturale del 2010.
Il sistema ha digitalizzato circa 2000 frammenti, li ha analizzati con algoritmi di pattern matching morfologico e ha proposto soluzioni di ricomposizione automatica. I test hanno dimostrato che funziona. Nessun essere umano avrebbe potuto farlo da solo.
Il puzzle che nessuno poteva risolvere
La storia parte dai depositi. Stanze piene di scatole, dentro le scatole ci sono frammenti. Alcuni grandi come una mano, altri piccoli come un’unghia. Colori ancora vividi: rosso pompeiano, ocra, azzurro egizio. Ma nessuna indicazione su dove vadano sistemati. Peggio: i pezzi di affreschi diversi sono mescolati insieme. Un frammento del soffitto della Casa dei Pittori al Lavoro potrebbe stare accanto a uno della Schola Armaturarum. Entrambi ridotti in polvere da eventi separati da quasi duemila anni.
Come ha spiegato il coordinatore Marcello Pelillo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, si tratta di un puzzle formato da centinaia o migliaia di frammenti spesso logorati, senza “direzione”. Un po’ come se qualcuno ti desse cinque scatole di puzzle diverse, le mescolasse tutte, buttasse via le immagini di riferimento e ti chiedesse di risolverle contemporaneamente. Solo che qui i puzzle hanno 2000 anni e non puoi permetterti errori.
Il progetto RePAIR (Reconstructing the Past: Artificial Intelligence and Robotics Meet Cultural Heritage) è stato finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma Horizon 2020 con il Grant Agreement 964854. Avviato nel settembre 2021, ha coinvolto l’Università Ca’ Foscari di Venezia come coordinatore, l’Istituto Italiano di Tecnologia, la Ben-Gurion University del Negev, l’Instituto Superior Técnico del Portogallo e l’Università di Bonn in Germania.
Mani morbide e sensori precisi
La soluzione si trova dentro la Casina Rustica, edificio demaniale all’interno del Parco Archeologico di Pompei, ristrutturato appositamente per ospitare l’infrastruttura tecnologica. Due bracci robotici dotati di “soft hands” (mani morbide, per evitare di danneggiare superfici già fragili) scansionano ogni frammento con sensori ad alta definizione. Le immagini vengono elaborate da algoritmi di intelligenza artificiale che cercano corrispondenze: forma tridimensionale, colore, texture, pattern decorativi.
Il sistema lavora su repliche artificiali dei frammenti originali, create dopo la digitalizzazione. Serve che il robot possa fare esperimenti, tentativi, errori. Lavorare direttamente sugli originali sarebbe troppo rischioso. Una volta trovata la soluzione digitale, la piattaforma hardware riceve le istruzioni e posiziona automaticamente i pezzi nella configurazione corretta. Il tutto, ripeto (perché in fondo questa è la parte che conta) senza sapere in anticipo come dovrebbero essere gli affreschi completi.
Affreschi di Pompei: due catastrofi, una sola soluzione
Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico, ha sottolineato la circostanza: ricomporre una immensa mole di frammenti dovrebbe essere possibile grazie alla forma e alla decorazione singolare di ogni elemento, ma nessun essere umano ci riuscirebbe da solo. È qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale. Non per sostituire gli archeologi, ma per affrontare una complessità che supera le capacità manuali.
I casi studio scelti sono emblematici. Gli affreschi della Casa dei Pittori al Lavoro nell’Insula dei Casti Amanti furono danneggiati una prima volta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Parti del soffitto crollarono, ma molti frammenti rimasero sepolti sotto cenere e lapilli, preservati. Poi arrivarono i bombardamenti alleati del 1943: le bombe ridussero ciò che era sopravvissuto in migliaia di schegge. La Schola Armaturarum, sede di un’associazione militare sulla Via dell’Abbondanza, aveva resistito sia all’eruzione che alla guerra. Ma nel 2010, dopo forti piogge, l’edificio è crollato. Altri frammenti da aggiungere al deposito.
Dal 2018, un team dell’Università di Losanna guidato dal professor Michel E. Fuchs lavorava sulla Casa dei Pittori al Lavoro con metodi tradizionali di ricostruzione manuale. Il progetto RePAIR ha dialogato con loro, confrontando metodologie e risultati. Un esperimento interessante: l’uomo contro la macchina. O meglio, l’uomo con la macchina.
Affreschi di Pompei, il futuro nei depositi
La tecnologia funziona. I test sul campo lo hanno dimostrato. Ma il vero problema adesso è decidere cosa farne: nei depositi del Parco Archeologico di Pompei ci sono circa 10.000 frammenti di affreschi ancora da ricomporre. Decenni di scavi, centinaia di edifici crollati, migliaia di pezzi immagazzinati in attesa di tempi migliori. Quei tempi potrebbero essere arrivati.
L’obiettivo dichiarato del progetto (non l’unico di matrice tecnologica già visto a Pompei) era eliminare una delle attività più laboriose e frustranti della ricerca archeologica, consentendo di convogliare energie verso attività più propriamente scientifiche e creative. In altre parole: lasciare che i robot facciano il lavoro noioso, così gli archeologi possono concentrarsi su interpretazione, analisi, conservazione. Ha senso. Serve che funzioni su scala più ampia.
Zuchtriegel l’ha detto chiaramente: l’archeologia del futuro richiederà un uso eticamente corretto dell’intelligenza artificiale. Soprattutto considerando l’enorme quantità di dati che emerge dagli scavi preventivi nei cantieri in tutta Italia. La ricostruzione degli affreschi di Pompei è solo l’inizio. Il metodo potrebbe essere esportato ad altri siti archeologici, altri musei, altre collezioni dimenticate nei magazzini.
Scheda tecnica del progetto
Ente coordinatore: Università Ca’ Foscari di Venezia
Sviluppo robotica: Istituto Italiano di Tecnologia (4 gruppi di ricerca tra Genova e Venezia)
Finanziamento: Horizon 2020, Grant Agreement 964854
Periodo: settembre 2021 – novembre 2025
Frammenti digitalizzati: circa 2000
Tecnologia: bracci robotici con soft hands, scansione 3D, algoritmi AI di pattern matching morfologico
Resta da vedere se il sistema riuscirà davvero a scalare. Diecimila frammenti sono molti. Ma se funziona, Pompei potrebbe tornare a mostrare affreschi considerati persi per sempre. E non sarebbe male, considerando che quelle opere sono sopravvissute a un’eruzione vulcanica, a una guerra mondiale e a un secolo abbondante di piogge italiane.
Meritano una seconda possibilità. Anche se arriva da due bracci meccanici.
