Una ragazza di 19 anni fugge da un matrimonio forzato in Nigeria: le hanno promesso un’opportunità in Europa, studio, libertà. Arriva in Libia, e solo lì scopre di essere partita per tutt’altro: prostituirsi. La chiamano Precious, ma il suo nome potrebbe essere quello di uno qualsiasi tra i 50 milioni di esseri umani ridotti ancora in schiavitù, all’alba del terzo millennio.
Perché è questo il numero globale della schiavitù moderna secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ed è pure una stima per difetto. Non si tratta di schiavi nel senso che intendevamo duecento anni fa (anche se qualcuno usa ancora le catene e la frusta, specialmente dove lo Stato chiude gli occhi). Qui parliamo di persone costrette al lavoro forzato, matrimoni imposti, debiti impossibili da ripagare, passaporti confiscati. Persone che tecnicamente potrebbero muoversi, ma di fatto non hanno scelta.
Schiavitù moderna, quando i numeri parlano
Nell’ultima stima completa, datata ormai 2022, erano 50 milioni le persone in condizioni di schiavitù moderna nel mondo. Di queste, 28 milioni subivano lavoro forzato e 22 milioni erano intrappolate in matrimoni forzati. Rispetto al 2016, in soli 6 anni il numero era già cresciuto di 10 milioni. È come dire che ogni 5 anni aggiungiamo una popolazione equivalente a quella della Svezia alla lista degli schiavi contemporanei.
Save the Children stima che siano coinvolti oltre 12 milioni di minori: 3,3 milioni nel lavoro forzato, 9 milioni nei matrimoni forzati. Bambini che nascono già con un debito che i genitori non hanno potuto ripagare, ragazze che vengono promesse in sposa a uomini che non hanno scelto, adolescenti reclutati online con promesse di lavoro che si trasformano in incubi.
In Italia, secondo le stime, vivrebbero 129.600 persone in condizioni di schiavitù moderna. Non è un problema che riguarda solo Africa o Asia: più della metà del lavoro forzato globale si concentra nei paesi a reddito medio-alto.
Le nostre catene di approvvigionamento, i prodotti che compriamo, i servizi che consumiamo: tutto può avere dietro qualcuno in schiavitù. Qualcuno che non ha scelto di essere lì.
Come funziona la schiavitù nel 2025
I trafficanti moderni non rapiscono in pieno giorno. Promettono. Offrono contratti di lavoro, visti regolari, opportunità. Poi confiscano i documenti, impongono debiti impossibili (“devi ripagare il viaggio”), minacciano le famiglie rimaste a casa. Il risultato è lo stesso di duecento anni fa (nessuna libertà, nessuna scelta), ma la forma è diversa. Più subdola, più difficile da individuare.
Il settore che genera più profitti è lo sfruttamento sessuale (73% degli introiti totali, circa 236 miliardi di dollari all’anno secondo l’OIL). Seguono agricoltura, edilizia, lavoro domestico, manifattura. Persone che raccolgono pomodori 10 ore al giorno per 40 dollari alla settimana, un caporalato che purtroppo conosciamo bene anche noi. Donne impiegate come domestiche senza contratto, pagate quando e quanto decide il datore. Operai edili con passaporti confiscati che vivono in baracche.
La tecnologia? In questo caso peggiora le cose
Internet doveva democratizzare il lavoro. Ha anche democratizzato il reclutamento degli schiavi. Le organizzazioni criminali usano social media, app di messaggistica, piattaforme di annunci per individuare persone vulnerabili. Offrono lavoro all’estero con un click. I bambini vengono adescati online, ricattati con materiale compromettente, costretti a produrre contenuti per reti di sfruttamento.
Un caso emblematico: la piattaforma di recruiting che promette “lavoro in Europa per badanti”, raccoglie dati personali, poi vende quei contatti a reti di traffico. E le prospettive non riguardano solo il lavoro manuale: si può sempre peggiorare. Come abbiamo raccontato qui, alcune aziende sviluppano già tecnologie per monitorare i lavoratori fino ai livelli cerebrali.
Se queste tecnologie finiscono nelle mani sbagliate (o semplicemente in contesti dove i diritti sono carta straccia), lo scenario diventa distopico.
Perché continua ad esistere
La schiavitù moderna prospera dove le persone sono vulnerabili: bassi salari, discriminazione, leggi deboli, migrazioni senza protezione. A volte intere famiglie nascono in sistemi dove lo sfruttamento è normalizzato. In alcune regioni dell’India esistono ancora forme di schiavitù per debiti, tramandate di generazione in generazione.
Le aziende spesso guardano dall’altra parte. Le catene di approvvigionamento sono lunghe, complesse, opache, in buona parte esternalizzate “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. I chicchi di caffè che beviamo la mattina potrebbero provenire da piantagioni dove i lavoratori non hanno libertà. I componenti del nostro smartphone potrebbero essere estratti in miniere dove lavorano bambini. Non perché le aziende vogliano attivamente schiavizzare (nella maggior parte dei casi), ma perché è più economico non controllare, e far finta di non vedere.
Scheda del Rapporto OIL
- Ente: Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)
- Anno: 2022
- Titolo: “Global estimates of modern slavery: Forced labour and forced marriage”
- Dati principali: 50 milioni di persone in schiavitù moderna nel 2021 (28M lavoro forzato, 22M matrimonio forzato)
- Link: Download rapporto ILO
Le leggi ci sono, l’applicazione no
I governi hanno creato leggi, ratificato convenzioni internazionali, fissato obiettivi ambiziosi. L’ONU aveva promesso di eliminare il lavoro minorile entro il 2025. Siamo nel 2025 e i numeri della schiavitù sono cresciuti. Le leggi sono lente, i sistemi sono sottofinanziati, i sopravvissuti non ricevono il supporto necessario per reintegrarsi.
In Europa abbiamo normative sulla trasparenza delle catene di approvvigionamento. Le aziende devono dichiarare da dove provengono i materiali. Ma i controlli? Le sanzioni? Spesso simbolici. Costa meno pagare una multa (quando arriva) che riorganizzare l’intera filiera produttiva.
Approfondisci
Ti interessa come la tecnologia sta cambiando il mondo del lavoro (in meglio e in peggio)? Leggi anche il nostro articolo su come le aziende stanno investendo in tecnologie per monitorare i dipendenti.
Quando e come ci cambierà la vita
Se i governi mantenessero gli impegni presi (maggiori controlli sulle catene di approvvigionamento, supporto ai sopravvissuti, sanzioni reali), potremmo vedere un calo significativo della schiavitù moderna entro 10-15 anni.
Ma serve pressione. Da parte dei cittadini che chiedono trasparenza, delle aziende che scelgono fornitori etici, dei consumatori che sono disposti a pagare un po’ di più per prodotti puliti. Il cambiamento non verrà dall’alto, verrà dal basso.
La schiavitù esiste in parte perché la maggior parte di noi non si rende conto di essere collegata ad essa attraverso le scelte quotidiane. Ogni prodotto che compriamo, ogni servizio che consumiamo, ogni azienda a cui diamo soldi: potrebbe avere dietro qualcuno che non ha scelto.
Abramo Lincoln ha abolito la schiavitù nel 1865. Centosessant’anni dopo stiamo ancora contando gli schiavi. Li chiamiamo in modo diverso, li teniamo nascosti meglio, ma ci sono.