L’olio di palma è uno dei prodotti più controversi e criticati del pianeta. Viene utilizzato per produrre alimenti (compresa la Nutella) e prodotti di bellezza, oltre che come biocarburante.
Molte persone hanno scelto di boicottare l’olio di palma per motivi ambientali e di benessere degli animali. Ma un olio vegetale può davvero essere così immorale? Facciamo prima un piccolo passo indietro.
Cos’è l’olio di palma?
L’olio di palma, che deriva dal frutto delle palme da olio, è l’olio vegetale più consumato sulla Terra. In genere viene utilizzato come alternativa economica al burro o agli oli vegetali idrogenati che si trovano in alimenti come cioccolato, noodles istantanei e pane confezionato.
Nel 2019, il quotidiano The Guardian ha riferito che almeno un derivato dell’olio di palma si trova anche nel 70% degli articoli per la cura personale come shampoo, sapone e make up.
Da dove viene l’olio di palma?
Le palme da olio sono originarie dell’Africa ma sono state portate nel sud-est asiatico più di 100 anni fa. Secondo il WWF, più di 40 paesi producono olio di palma, ma l’85% della fornitura mondiale proviene da Indonesia e Malesia.
La produzione di olio di palma è salita alle stelle negli ultimi decenni. Ora ne produciamo 71 milioni di tonnellate all’anno, 35 volte di più di quanto ne producessimo 50 anni fa.
Perché questo olio è problematico?
Greenpeace afferma che l’olio di palma è “parte di un sistema alimentare e agricolo globale difettoso”. L’olio di palma è una fonte di significativa deforestazione, specialmente in Indonesia, paese che ospita dal 10% al 15% di tutti i mammiferi, uccelli e piante conosciuti.
Secondo un rapporto di Greenpeace, nel 2019 sono stati bruciati 857.000 ettari di terra in Indonesia. Queste attività sono la principale fonte di emissioni di gas serra in Indonesia: minacciano anche gli ecosistemi contribuendo alla perdita di habitat e, in definitiva, di biodiversità.
E veniamo alla questione degli oranghi
Secondo The Orangutan Project, quasi l’80% dell’habitat degli oranghi è scomparso negli ultimi due decenni. E ora, oltre il 50% degli oranghi vive in foreste non protette gestite da compagnie di olio di palma, legname e miniere.
L’olio di palma è la principale causa di estinzione per le specie di oranghi in pericolo.
Più di 6.000 di queste grandi scimmie muoiono ogni anno. Considerate che secondo il WWF in tutto il mondo ce ne sono meno di 120.000 (circa 104.700 nel Borneo; 13.846 a Sumatra; 800 oranghi Tapanuli).
Anche le tigri di Sumatra, che soffrono la produzione di olio di palma, sono ridotte ad appena 400 esemplari. E poi gli elefanti pigmei, e poi i rinoceronti di Sumatra… Tante specie sono a rischio.
L’olio di palma può essere sostenibile?
Le persone sono divise sul fatto che l’olio di palma possa essere prodotto anche in modo sostenibile.
Le palme da olio sono una coltura efficiente: producono più olio per superficie rispetto a qualsiasi altro equivalente di olio vegetale.
Inoltre, l’olio di palma fornisce il 35% della domanda mondiale di olio vegetale utilizzando solo il 10% della terra.
Come si possono mettere questi vantaggi al servizio dell’ambiente? La Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) è la più grande associazione al mondo per la produzione etica di olio di palma. Ha sviluppato una serie di criteri ambientali e sociali che le aziende devono soddisfare per ricevere l’etichetta Certified Sustainable Palm Oil (CSPO). I criteri includono condizioni di lavoro e salari equi e la protezione della terra e dei diritti delle comunità locali.
Secondo l’RSPO, le aree ricche di biodiversità e di specie in via di estinzione sono sotto “protezione rigorosa”. È vero?
“L’olio di palma sostenibile è una truffa”
Uno studio del 2020 ha valutato la sostenibilità di tutte le 78 piantagioni in Indonesia e 173 nel Borneo malese certificate dalla RSPO.
Il coautore dello studio, Roberto Cazzolla Gatti, ha affermato che le aziende possono aggirare i regolamenti valutando la deforestazione nelle piantagioni già pesantemente deforestate.
Nel caso della sostenibilità dell’olio di palma, se hai una piantagione già insediata con piccoli resti di foreste degradate, e inizi a certificarla in base a quello che è l’area in questo momento, non troverai mai segni di impatti ambientali più tardi.
Lo studio ha rilevato che nel 1999, l’85% delle aree certificate nel Borneo erano ancora foreste abitate da oranghi. Inoltre, dal 5 al 18% delle aree certificate a Sumatra erano ancora abitate da tigri, rinoceronti ed elefanti tra il 1985 e il 1991.
“Ciò significa che la creazione delle piantagioni sostenibili, dopo il disboscamento (legale o illegale) è avvenuta non più di 30 anni fa”, ha affermato Cazzolla Gatti. “Nonostante un recente passato di degrado dell’habitat, sono certificati con un’etichetta di “sostenibilità”.
Altri hanno fatto eco a questo sentimento. Un post su Greenpeace Aotearoa (Aotearoa è l’attuale nome Māori della Nuova Zelanda) afferma che “l’olio di palma sostenibile certificato è una truffa”. Greenpeace USA ha invitato le aziende a porre fine al loro commercio con qualsiasi fornitore responsabile della distruzione dell’ecosistema. Le ha inoltre esortate a pubblicare mappe delle proprietà terriere dei gruppi di prodotti e a rendere trasparenti le loro catene di approvvigionamento. Lo faranno?