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Quanto corre la Cina: cronaca del suo ritorno al Centro

Tornare al centro di tutto: l'obiettivo cinese ha radici molto antiche e idee molto chiare, secondo l'analisi di un esperto.

Giovanni De Palma di  Giovanni De Palma
26 Ottobre 2021
in Economia
cina centro
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L’errore più comune che noi occidentali possiamo commettere è quello di considerare “arretrate” le altre culture, in un’ottica occidentocentrica. Spesso però questa percezione è data più dalla mancanza di conoscenza della storia degli altri Paesi, che non da dati concreti.

Un esempio eclatante di ciò è l’incredulità di gran parte della nostra classe dirigente e politica nei confronti dell’ascesa e del ritorno al centro della Cina come superpotenza globale. Fino a qualche anno fa era infatti ritenuta, anche da molti intellettuali nostrani, un semplice Paese in via di sviluppo. Questo solo e unicamente perché fino alla prima metà del secolo scorso era un paese per lo più agricolo e per di più semi-colonizzato da potenze straniere. E per lo più occidentali. Si tratta ovviamente di una visione parziale che non tiene conto del grande passato dell’Impero cinese.

Lungi da me, in questa sede, voler iniziare una lunga esposizione sulla storia cinese. Ritengo però utile ricordare alcuni eventi che forse in molti oggigiorno ignorano quando si inerpicano in analisi politiche che riguardano questo Paese dalla cultura millenaria.

Il Paese del Centro

impero cinese al centro

Un’importante informazione ce la fornisce già il nome stesso della Cina, che in mandarino è zhōngguó, ovvero “Paese del Centro”. Questo è un primo importante dato. Ci fa comprendere come questo Paese sia stato sempre centrale rispetto al mondo conosciuto, a partire dalla fondazione dell’Impero (221 a.C.) fino all’epoca moderna. Questa centralità non era affatto solo culturale, ma anche economica.

Facciamo un passo indietro

In pochi sanno che già a partire dal VII secolo d.C., durante il Regno della Dinastia Tang, esisteva un sistema di tributi in cui tutti gli Stati vassalli, ovvero del Nord-Est e del Sud-Est asiatico, per entrare a far parte del mondo economico cinese, per fare affari con questo grande Paese e per ottenere i preziosi beni che esso produceva, erano tenuti a pagare un tributo con rituali ben precisi in cui un emissario dello stato vassallo portava doni e si inchinava all’imperatore, sottomettendo il proprio Paese all’Impero cinese. Ciò non era fatto solo per semplice riverenza verso un importante impero, ma soprattutto per convenienza economica: essere parte di questo sistema economico significava far sviluppare il proprio Paese rispetto ad altri che non ne facevano parte o che non ne potevano far parte.

Parliamo di un sistema economico complesso per l’epoca, con una vera e propria trade zone e una valuta comune: l’argento, con dei prezzi comuni che avevano come riferimento quelli cinesi. Potremmo dire, provocatoriamente, che già nel VII secolo la Cina aveva creato in qualche modo un antenato di ciò che è oggi la nostra Eurozona. La supremazia della Cina in Asia Orientale era effettiva e durò per secoli. Basti pensare che la formalizzazione del Sistema Tributario Cinese, che come detto esisteva già de facto nel VII secolo, avvenne durante la Dinastia Ming nel XVII secolo e durò fino all’affermazione del sistema westfaliano di stampo occidentale in Asia verso la fine del XIX secolo.

Non è un’ascesa, ma un ritorno

Un altro importante dato è il fatto che la Cina fino al 1820, secondo dati OCSE, è stata effettivamente la prima potenza economica mondiale. Quindi quando sentiamo parlare gran parte degli osservatori occidentali di una “ascesa improvvisa” della Cina, dovremmo forse chiederci se non si tratti piuttosto di un ritorno della supremazia economica cinese al centro a livello globale.

cina al centro

Il centro di tutte le scelte cinesi

Dunque, se vogliamo davvero comprendere la politica estera e gli obiettivi odierni della Cina, dovremmo prima comprendere che la parola chiave di tutte le loro scelte, nonché il loro obiettivo è: essere al Centro. Durante i secoli, la Cina ha sviluppato una centralità (e quindi una supremazia), nei confronti di tutti gli Stati dell’Asia Orientale, a diversi livelli: culturale attraverso la letteratura, l’arte, la scrittura; burocratico-politica attraverso la creazione di una classe di alti funzionari (i mandarini) altamente qualificata scelta attraverso esami basati sul merito già a partire dal VII secolo; ed economica attraverso il sistema economico dei tributi e della trade zone delineata a grandi linee sopra.

Sebbene la Cina oggi sia profondamente mutata, mantiene intatto il nocciolo della propria struttura millenaria ad ogni livello e, soprattutto, mantiene ancora lo stesso obiettivo primario: tornare al Centro, stavolta non dell’Asia Orientale, ma del Mondo intero.

Al posto dell’imperatore, il Partito Comunista

Oggi al posto dell’Imperatore troviamo il Partito Comunista Cinese con a capo il Presidente Xi Jinping. Come tutti gli “imperatori” cinesi, perderà il “mandato celeste” se non riuscirà a centrare l’obiettivo. Ma cosa significa nel mondo globalizzato e multipolare di oggi “riportare la Cina al centro”?

Vuol dire innanzitutto riuscire a far diventare la Cina la prima economia mondiale. Come? Sfruttando tutto ciò che la globalizzazione gli ha fornito. Una posizione di vantaggio grazie alla mano d’opera a basso costo di cui dispone, ampi mercati a cui vendere i propri prodotti (vedi Europa e USA) e l’utilizzo delle materie prime per la produzione industriale. Nel fare ciò però il Paese guidato da Xi potrebbe presto trovarsi intrappolato nella cosiddetta “Trappola della povertà”. Aumentando i salari dei lavoratori cinesi, potrebbe venire a mancare la mano d’opera a basso costo. Tuttavia questo aumento dei salari è necessario se la Cina vuole diventare una potenza economica indipendente che non dipende in larga parte dalle esportazioni.

cina al centro

Qual è la soluzione che Xi vuole dare a questo dilemma?

Un piano geoeconomico e geostrategico ben strutturato composto da varie strategie:

  • Beijing Consensus: strategia consistente per lo più nella creazione di reti di investimento in Africa, segnatamente al centro dell’Africa orientale. Questo consentirebbe alla Cina di reinvestire del capitale accumulato e di risolvere il problema della mano d’opera a basso costo, sostituendo in un futuro non molto lontano quella cinese con quella africana. Allo stesso tempo fornirebbe alla Cina anche nuove risorse naturali che di certo nel continente africano non mancano.
  • Go West: questa strategia consiste in due azioni. Prima, l’espansione ad Ovest attraverso la creazione di una Nuova via della Seta che arriva in Europa attraverso l’Asia Centrale. Seconda, una versione marittima della Nuova Via della Seta che tocca porti dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa Meridionale.
  • Leap East: strategia che consenta alla Cina, al contempo anche di “saltare” anche ad Est. Come? Imbastendo relazioni politiche ed economiche con l’America Latina, aggirando la presenza militare e navale statunitense nel Pacifico.

Tutto questo per controbilanciare la strategia statunitense del Pivot to Asia. Una strategia avviata da Barack Obama, che consiste nello spostamento del fulcro della politica estera statunitense in Asia per contenere la Cina. La presenza della 7a Flotta degli Stati Uniti nel quadrante Asia-Pacifico non è di certo casuale. A seguito del ritiro delle truppe americane dal Medio Oriente, anzi, questa strategia si va sempre più intensificando. Le tensioni di questi giorni nel Mar Cinese Meridionale e nell’isola di Taiwan sono solo la punta dell’iceberg degli effetti di tale strategia contenitiva.

Il centro della politica estera statunitense in Asia serve a contenere la Cina?

L’importanza del Soft Power per tornare al centro

Agli imperatori la revoca del mandato (geming, parola che in cinese vuol dire anche “rivoluzione”) avveniva quando gli stessi non riuscivano a portare a termine gli obiettivi che si erano prefissati per il Paese. Lo stesso potrebbe avvenire con Xi qualora quest’ultimo non dovesse riuscire nell’intento di riportare la Cina al centro, in ogni ambito: economico, politico, culturale. In quest’ultimo ambito fondamentale sarà l’utilizzo del soft power anche attraverso i 541 Istituti Confucio, emanazione diretta del Governo di Pechino, presenti in 149 Paesi; o con l’acquisto di squadre di calcio in Paesi occidentali, ad esempio.

Attenzione e consapevolezza

In sintesi, qualunque sia la postura che il nostro Paese e gli altri Paesi occidentali vogliano assumere nei confronti del gigante cinese, occorre che innanzitutto si faccia il possibile per conoscerne la storia e la cultura. Sono queste le radici su cui si basa l’incredibile ascesa che Pechino sta conoscendo negli ultimi decenni. Diversamente, non si comprenderanno mai realmente le cause di questa incredibile crescita. Di questo ritorno al centro e dell’egemonia di questo grande Paese che da regionale potrebbe divenire presto globale.

Come sempre, sta a noi decidere se essere proattivi, captando i segnali deboli per ottenere il massimo rendimento dalla situazione che abbiamo davanti. O restare intrappolati nella tela del ragno e rimanere passivi ad assistere al nuovo dominio di un gigante sottovalutato e sconosciuto.

Tags: cinageopolitica
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Giovanni De Palma

Si occupa di comunicazione politica e political advisoring. Laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista.

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