La differenza tra la vita e la morte può nascondersi in strutture cellulari così piccole da essere invisibili a occhio nudo. Il trapianto di mitocondri, quegli organelli che dentro le nostre cellule convertono il glucosio in energia, sta dimostrando di poter ribaltare le sorti di pazienti condannati: dal neonato prematuro con problemi cardiaci alla persona anziana con tessuti danneggiati dall’età.
Mi affascina come qualcosa di così infinitesimale possa avere un impatto così devastante sulla nostra esistenza. Questi minuscoli eredi di batteri ancestrali non si limitano a rifornire di energia le cellule; regolano anche il suicidio cellulare, gestiscono la comunicazione intercellulare e mantengono i livelli di calcio. Quando si guastano, le conseguenze possono essere catastrofiche; quando vengono sostituiti con esemplari sani, possono letteralmente riportare la vita dove c’era quasi la morte. E voglio capirne di più: e se possibile, capire di più insieme a voi.
Origini batteriche e funzioni mitocondriali
I mitocondri sono strani ibridi: organelli cellulari con un passato da batteri indipendenti. Miliardi di anni fa, questi antenati batterici stabilirono una relazione simbiotica con le cellule primitive che avrebbero poi dato origine a tutti gli organismi complessi, noi compresi. Mantengono ancora tracce di questa indipendenza ancestrale, compreso un proprio genoma separato dal DNA nucleare.
Pensare ai mitocondri solo come “centrali energetiche” è riduttivo come considerare il cervello solo un organo per respirare. Certo, la produzione di energia attraverso la fosforilazione ossidativa rimane la loro funzione più nota (e vitale): scompongono molecole di glucosio per liberare l’energia che alimenta il metabolismo. Ma il loro curriculum è decisamente più ricco: disassemblano acidi grassi e amminoacidi in eccesso; sintetizzano l’eme, il cuore funzionale dell’emoglobina; avviano l’apoptosi (il suicidio cellulare programmato) quando necessario; fungono da centri di comunicazione per proteine di segnalazione; e regolano i livelli di ioni calcio, fondamentali in innumerevoli processi cellulari. I mitocondri sono delle maledette rockstar.
Con un simile ventaglio di responsabilità critiche, non sorprende che i mitocondri difettosi causino o contribuiscano a numerose patologie, dalle malattie congenite (ereditate geneticamente) a problemi legati all’invecchiamento come diabete e disturbi cardiovascolari.
La promessa del trapianto di mitocondri è proprio questa: sostituire i componenti malfunzionanti con pezzi di ricambio funzionanti.
Trapianto di mitocondri: dal laboratorio ai neonati prematuri

James McCully dell’Harvard Medical School è uno dei pionieri in questo campo emergente. Ha sviluppato un trattamento rivoluzionario per neonati prematuri con danni mitocondriali nei muscoli cardiaci dovuti a ischemia (termine medico per indicare un ridotto apporto di sangue). Senza intervento, questi bambini morirebbero; anche con l’ausilio di una macchina cuore-polmone, solo il 60% sopravvive.
In uno studio pubblicato circa quattro anni fa, McCully è riuscito a migliorare quel tasso fino all’80%. La tecnica? Sorprendentemente semplice nell’idea, anche se complessa nell’esecuzione: prelevare un piccolo pezzo di tessuto dalla parete addominale del bambino, frammentarlo per liberare i mitocondri, separarli dagli altri componenti cellulari mediante centrifugazione e reinfonderli nel cuore compromesso.
I risultati sono stati immediati: aumento della produzione di molecole di segnalazione, riduzione dell’infiammazione e blocco dell’apoptosi. Nel lungo termine, i mitocondri trapiantati si sono stabiliti nel tessuto cardiaco danneggiato, ripristinandone la funzionalità. Il campione dello studio era piccolo (solo dieci bambini), ma i risultati abbastanza promettenti da attirare l’attenzione della Food and Drug Administration americana, che sta attualmente valutando la procedura.
McCully ora spera di estendere questo approccio ad altri tessuti colpiti da ischemia, inclusi cuori, polmoni, reni e arti di pazienti adulti. E non è il solo: Lance Becker del Feinstein Institute di New York intende testare una tecnica simile su neonati prematuri, mentre Melanie Walker dell’Università di Washington a Seattle sta conducendo esperimenti su un diverso tipo di ischemia: quella responsabile degli ictus.

Neuroni e ictus: i mitocondri come salva-cervello
Lo studio di Walker, pubblicato nel novembre 2024, si è concentrato principalmente sulla sicurezza della procedura (superata con successo) e ha coinvolto solo quattro partecipanti. Nonostante il campione limitato, i primi indicatori di efficacia sono stati descritti come “promettenti”.
La tecnica prevede l’infusione di mitocondri direttamente nel sito del coagulo sanguigno che causa l’ischemia, come parte di una procedura altrimenti standard per rimuovere il coagulo stesso. L’obiettivo, che Walker intende testare ulteriormente in futuro, è impedire ai neuroni colpiti dall’ictus di autodistruggersi.
Walker non si ferma qui: ha già in cantiere ulteriori studi clinici. Uno riguarda i cuori adulti (estendendo il lavoro di McCully); un altro mira a ripristinare la funzionalità dei neuroni danneggiati da traumi fisici anziché da ictus. Il terzo, forse il più rivoluzionario, si rivolge alla sindrome di Pearson, una condizione congenita caratterizzata da anemia e problemi pancreatici, causata non da traumi ma dalla delezione di un tratto di DNA dai mitocondri dei pazienti.
Mutazioni mitocondriali: l’eredità materna
Le mutazioni mitocondriali come quelle responsabili della sindrome di Pearson sono rare ma devastanti. Normalmente, i mitocondri di una madre vengono trasmessi intatti alla prole attraverso le cellule uovo. Talvolta, però, una mutazione si verifica spontaneamente durante la formazione dell’ovulo, risultando in figli con sintomi che la madre non presenta.
Il piano di Walker per questi pazienti è ingegnoso: selezionare soggetti le cui madri non sono affette dalla patologia; prelevare cellule staminali ematopoietiche (che formano il sangue) dai pazienti; arricchirle con mitocondri estratti dai globuli bianchi delle loro madri; e infine restituire le cellule arricchite al paziente. L’auspicio è che queste cellule generino globuli sanguigni sani, alleviando l’anemia.
Le condizioni congenite legate a delezioni come la sindrome di Pearson colpiscono circa una persona su 5.000, un numero sufficientemente grande da interessare aziende biotecnologiche emergenti. Minovia Therapeutics, un’azienda israeliana, ha nel mirino non solo la sindrome di Pearson, ma anche la sindrome di Kearn-Sayre (un’altra condizione legata a delezioni) e la mielodisplasia, una forma di anemia causata da mutazioni mitocondriali che si verificano più tardi nella vita.
Studi preliminari che utilizzano il metodo pianificato da Walker hanno già alleviato i sintomi di Pearson e KSS in bambini. Un nuovo approccio, in cui i mitocondri vengono estratti da tessuto placentare scartato piuttosto che da esseri umani viventi, è ora in fase di sperimentazione per la mielodisplasia.
Trasferimenti naturali: la rete nascosta dei mitocondri
I ricercatori coinvolti in questi progetti nutrono una speranza sorprendente: che le cellule staminali rinvigorite possano trasmettere il loro carico mitocondriale anche ad altri tessuti colpiti. Una speranza basata su un’osservazione cruciale: tali trasferimenti avvengono naturalmente durante la formazione delle cellule del sangue.
In effetti, questi trasferimenti si verificano anche durante la guarigione delle ferite, la creazione di nuovi vasi sanguigni e il potenziamento del muscolo cardiaco. Sembra plausibile che il corpo contenga una sofisticata rete di trasferimento mitocondriale, finora non percepita, in cui alcune cellule funzionano come vivai, rilasciando i loro prodotti nel flusso sanguigno a beneficio di cellule che non possono generare abbastanza mitocondri autonomamente.
Il sangue contiene effettivamente un numero enorme di mitocondri liberi fluttuanti: uno studio ha suggerito forse ben 3,7 milioni per millilitro. Una scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della fisiologia cellulare e aprire nuove strade terapeutiche.

Trapianto di mitocondri: nel mirino cancro, lesioni spinali e ringiovanimento cellulare
A uno stadio di sviluppo precedente rispetto alle sperimentazioni umane, ma altrettanto promettenti, c’è una serie di esperimenti che utilizzano colture cellulari e animali da laboratorio. Aybuke Celik, collega di McCully ad Harvard, sta indagando l’effetto dei mitocondri trapiantati sulle cellule del cancro alla prostata e alle ovaie. Ha scoperto che riducono la quantità di chemioterapia necessaria affinché tali cellule si autodistruggano.
D’altra parte, un team della Zhejiang University di Hangzhou, in Cina, in uno studio ha utilizzato ratti per dimostrare che i mitocondri trapiantati impediscono ai neuroni danneggiati di premere il pulsante di autodistruzione. Un’osservazione che potrebbe un giorno aiutare le persone con lesioni spinali a evitare la paralisi.
Una delle scoperte più intriganti di tutte, però, è che (almeno nelle colture di laboratorio) i mitocondri trapiantati ringiovaniscono la biochimica delle cellule ospiti anziane. Dato il numero di mitocondri liberi nel sangue, questo potrebbe aiutare a spiegare l’osservazione sconcertante che la trasfusione di plasma sanguigno da animali giovani a vecchi sembra concedere a questi ultimi una nuova vita.
Questa osservazione ha a lungo entusiasmato le persone che cercano di prolungare la salute (e la vita) umana per farla corrispondere alle aspettative di vita prolungate ora godute nei paesi ricchi. Finora, però, la ricerca dell’elisir coinvolto si è concentrata sul carico molecolare del plasma. Forse non sono le molecole ma i mitocondri che gli aspiranti Matusalemme dovrebbero considerare.
Il futuro del trapianto di mitocondri
Le implicazioni del trapianto di mitocondri vanno ben oltre i casi specifici discussi finora. Se questa tecnologia manterrà anche solo una frazione delle sue promesse, potremmo trovarci di fronte a una nuova era della medicina, in cui le malattie mitocondriali (finora largamente incurabili) diventano gestibili o addirittura curabili.
Ma le possibilità si estendono ulteriormente: dall’attenuazione dei danni da riperfusione dopo infarti o ictus, al trattamento di malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer, fino al possibile rallentamento dell’invecchiamento stesso. I mitocondri disfunzionali sono infatti un marchio distintivo dell’invecchiamento cellulare, e la loro sostituzione potrebbe potenzialmente ripristinare la funzionalità giovanile.
Certo, restano ostacoli significativi da superare. Uno dei principali è l’isolamento efficiente di mitocondri funzionali e vitali in quantità sufficienti. Attualmente, i metodi di isolamento tendono a danneggiare una percentuale significativa degli organelli, rendendo il processo meno efficiente di quanto potrebbe essere. Inoltre, le tecniche di somministrazione devono essere perfezionate per garantire che i mitocondri trapiantati raggiungano le cellule bersaglio e vi si integrino correttamente.
E c’è sempre il rischio, con qualsiasi tecnologia emergente, di conseguenze inattese. I mitocondri sono profondamente integrati nei processi cellulari; manipolarli potrebbe avere ripercussioni che non possiamo ancora prevedere. Le preoccupazioni vanno dalle risposte immunitarie avverse a potenziali effetti cancerogeni se i mitocondri trapiantati dovessero influenzare impropriamente l’apoptosi.

Mitocondri e plasma giovanile: una connessione inaspettata
Negli ultimi anni, diversi studi hanno evidenziato effetti ringiovanenti apparentemente miracolosi delle trasfusioni di plasma da animali giovani a vecchi. Si è scatenata una corsa alla ricerca del fattore o dei fattori responsabili, con diverse aziende che cercano di identificare e sintetizzare le molecole chiave.
La scoperta che il sangue contiene milioni di mitocondri liberi per millilitro getta una nuova luce su questa ricerca. E se il segreto del ringiovanimento non fossero specifiche proteine o fattori di crescita, ma semplicemente mitocondri giovani e vigorosi che rimpiazzano quelli stanchi e deteriorati?
Questo collegamento potrebbe spiegare perché numerosi studi hanno osservato miglioramenti in organi ad alto consumo energetico come cervello, cuore e muscoli dopo trasfusioni di plasma giovane. Sono precisamente i tessuti che più dipendono dalla funzionalità mitocondriale.
Se confermata, questa ipotesi potrebbe portare a terapie anti-invecchiamento più mirate ed efficaci rispetto alle attuali trasfusioni di plasma intero, con il loro carico di componenti potenzialmente problematici come anticorpi e fattori di coagulazione.
Prospettive etiche e sociali
Come ogni tecnologia potenzialmente in grado di estendere la vita, il trapianto di mitocondri solleva questioni etiche profonde. In un mondo già alle prese con sovrappopolazione e disuguaglianze nell’accesso alle cure mediche, tecnologie che prolungano la vita pongono interrogativi su chi potrà beneficiarne e a quale costo.
D’altra parte, terapie che estendono gli anni vissuti in buona salute potrebbero alleggerire l’onere economico e sociale dell’invecchiamento della popolazione, consentendo alle persone di rimanere attive, produttive e indipendenti più a lungo.
Vi è poi la questione della modificazione genetica mitocondriale. A differenza delle modifiche al DNA nucleare, che sollevano timori di “bambini su misura”, le manipolazioni del DNA mitocondriale mirano a prevenire malattie devastanti. Già oggi, tecniche come il trasferimento mitocondriale (che sostituisce i mitocondri difettosi di un embrione con quelli sani di una donatrice) vengono utilizzate in alcuni paesi per prevenire la trasmissione di malattie mitocondriali ereditarie.
Il trapianto di mitocondri rappresenta un’estensione di questo approccio, potenzialmente applicabile non solo prima della nascita ma lungo tutto l’arco della vita. Un cambiamento di paradigma che richiederà attenta considerazione sia scientifica che etica.
Dalla teoria alla pratica clinica
Il percorso dalla ricerca di laboratorio alle cure disponibili è notoriamente lungo e tortuoso. Nel caso del trapianto di mitocondri, tuttavia, ci sono motivi di ottimismo. Gli studi di McCully su neonati prematuri hanno già dimostrato sia sicurezza che efficacia preliminare; quelli di Walker sugli ictus stanno seguendo un percorso simile.
La relativa semplicità della procedura ( prelievo di tessuto, isolamento dei mitocondri, reinfusione) potrebbe accelerarne l’adozione una volta ottenute le necessarie approvazioni normative. Non richiede strumentazioni particolarmente sofisticate né competenze chirurgiche avanzate, rendendola potenzialmente accessibile anche in contesti con risorse limitate.
Inoltre, poiché molte applicazioni utilizzano i mitocondri dello stesso paziente (trapianto autologo), si evitano le complicazioni legate al rigetto immunitario che affliggono i trapianti tradizionali.
Certo, per condizioni genetiche come la sindrome di Pearson, che richiedono mitocondri da donatori, permangono sfide legate alla compatibilità. Ma anche qui, l’approccio di utilizzare mitocondri materni (geneticamente simili) o da tessuti placentari (immunologicamente più tollerati) potrebbe aggirare parte del problema.
Trapianto di mitocondri, conclusioni e prospettive future
Il trapianto di mitocondri si trova a un punto di svolta: dalle prime applicazioni cliniche in neonati prematuri si sta espandendo verso una gamma molto più ampia di condizioni. Se l’evoluzione seguirà il percorso di altre terapie cellulari, possiamo aspettarci un’accelerazione sia nella ricerca che nell’implementazione clinica nei prossimi anni.
Le domande scientifiche ancora aperte sono molte. Come funziona esattamente il trasferimento naturale di mitocondri tra cellule? Esiste davvero quella “rete di distribuzione” mitocondriale ipotizzata da alcuni ricercatori? I mitocondri trapiantati mantengono la loro funzionalità a lungo termine? E soprattutto, possono effettivamente rallentare o invertire processi di invecchiamento?
Queste risposte arriveranno solo con ulteriori studi, alcuni già in corso, altri ancora da concepire. Ma l’entusiasmo della comunità scientifica è palpabile, alimentato dai risultati sorprendentemente positivi ottenuti finora.
Forse il trapianto di mitocondri non ci renderà immortali, ma potrebbe rivoluzionare il trattamento di numerose patologie e migliorare significativamente la qualità della vita in età avanzata. Non male per degli ex-batteri che, miliardi di anni fa, hanno deciso di stabilirsi all’interno delle nostre cellule antenate. In fondo, è solo l’ultima evoluzione di quella antica simbiosi che ci ha permesso di esistere come organismi complessi.
Una simbiosi che, ancora una volta, potrebbe salvarci la vita.