Parliamo di guerre, di pace, di trattative. Ma poi, nel bel mezzo di un conflitto che dura da anni e sembra non voler finire, arriva un accordo. Non un accordo per il cessate il fuoco, attenzione. No, stavolta si parla di qualcosa che (apparentemente) ha poco a che fare con le armi: un accordo sulle terre rare. Un “grande baratto” tra USA e Ucraina che ha tutto il potenziale per influenzare, eccome, gli equilibri della guerra e del mondo.
Ieri, 30 aprile 2025, è stato firmato un memorandum che prevede investimenti americani fino a 850 milioni di dollari per lo sviluppo di settori strategici in Ucraina, in particolare quello dell’estrazione e lavorazione di minerali rari e metalli critici. Ma non è solo una questione economica. È un patto che, sotto la superficie, parla di potere, risorse, dipendenze e visioni contrapposte del futuro. Come sempre, vi dico tutto partendo con un piccolo passo indietro (ma solo per prendere la rincorsa).
Cosa sono le terre rare e perché interessano così tanto
Partiamo da qui. Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici fondamentali per la tecnologia moderna. Si usano in tutto: telefoni, computer, auto elettriche, turbine eoliche, droni militari, satelliti. E no, non sono poi così “rare” nella crosta terrestre. Il problema è che sono difficili da estrarre e ancora più complicate da raffinare.
Ad oggi, chi detiene il monopolio? La Cina, che controlla circa l’87% della raffinazione globale a partire dal litio. Ed è proprio questo il nervo scoperto: Stati Uniti ed Europa dipendono ancora troppo da Pechino per materiali fondamentali alla transizione energetica e alla difesa.
L’Ucraina, invece, ha delle carte interessanti in mano. Nel suo sottosuolo si trovano 22 dei 34 minerali considerati critici dall’Unione Europea. Non è poco. Anzi, è moltissimo in un momento storico in cui il controllo delle risorse naturali è diventato uno degli strumenti principali della geopolitica globale. Ora, torniamo ai termini dell’accordo.
Cosa prevede l’accordo USA-Ucraina sulle terre rare
Il cuore dell’accordo è la creazione di un Fondo di Investimento per la Ricostruzione, sostenuto dagli Stati Uniti tramite la DFC (Development Finance Corporation). L’obiettivo dichiarato è aiutare l’Ucraina a riprendersi dalla guerra. Ma lo strumento scelto è tutt’altro che generico: si punta a sviluppare miniere di litio, titanio, uranio e, naturalmente, terre rare.
Non è tutto. L’accordo parla anche di:
- Sviluppo dell’energia nucleare (in particolare piccoli reattori modulari);
- Potenziamento delle filiere industriali locali;
- Creazione di infrastrutture per l’esportazione verso l’Occidente.
La proprietà delle risorse resta (formalmente) ucraina. Ma le aziende americane avranno diritti di prelazione su molti dei nuovi progetti. In sostanza: le miniere sono di Kiev, ma chi le farà fruttare sarà un nutrito gruppo di investitori americani.
Certo, una parte dei fondi servirà anche alla ricostruzione del Paese. Ma tra gli entusiasmi ufficiali e i comunicati più o meno trionfalistici e patinati, si insinua un dubbio sempre più legittimo: questo accordo è una grande opportunità o un rischio mascherato? Vediamo insieme punti di forza e punti deboli.
Accordo per le terre rare, i punti di forza: un patto senza soldati
C’è chi conquista territori con l’esercito, e chi conquista risorse con i capitali. Gli USA, in questo caso, scelgono la seconda strada. Entrano in Ucraina senza armi, ma coi portafogli pieni, ottenendo accesso diretto a risorse strategiche senza dover combattere (anche perché lo hanno già fatto per procura inondando di armi l’Ucraina e sostenendo la sua resistenza, inutile girarci intorno).
Per Kiev, sulla carta, è una manna dal cielo. Non solo denaro fresco, ma anche un segnale forte da mandare all’interno e all’esterno: l’Occidente ci crede ancora, l’Ucraina non è un Paese fallito, si sta già costruendo il domani.
“Non è una svendita delle risorse”, ha ribadito più volte Zelensky. Ma anche se non lo è formalmente, è comunque un passo verso un legame economico e politico profondo con Washington. Un segnale chiaro a Mosca e al resto del mondo.
I rischi: dipendenza, sfruttamento e visione a corto raggio
L’altra faccia della medaglia fa riflettere. Perché c’è il rischio concreto che questo accordo per le terre rare si trasformi in una forma elegante (diciamo) di neocolonialismo economico.
L’Ucraina potrebbe diventare una semplice terra da scavare, un magazzino di materie prime da cui estrarre, portare via e raffinare altrove. Uno schema (lo abbiamo già visto in tanti altri Paesi ricchi di risorse) non arricchisce chi estrae, ma chi trasforma.
Piccola parentesi, scusate se lo ricordo e non pensiate che sia secondario. L’estrazione di terre rare è altamente inquinante. Se non sarà accompagnata da tecnologie moderne, controlli ambientali e una visione sostenibile, il Paese potrebbe trovarsi con una ricostruzione tossica, letteralmente, dopo una guerra altrettanto tossica (anche qui la storia insegna).
Infine, c’è un altro tema che da qualcuno viene sottovalutato (grave errore, soprattutto in questa fase del conflitto): molti dei giacimenti più “promettenti” si trovano oggi in territori occupati dalla Russia. In quel caso, l’accordo rischia di restare un foglio firmato e basta. Cosa verrà dato (o fatto dare) alla Russia per convincerla a cedere in tutto o in parte queste aree? Posto che, lo dico per senso di realtà che non vedo in giro, la Russia non tornerà mai, mai, mai, ai territori pre 2014. E questo ci porta dritti dritti al prossimo punto.
Il riverbero geopolitico è potente (e pericoloso)
L’accordo per le terre rare è un messaggio strategico molto chiaro: l’Ucraina non entrerà politicamente nella NATO (potete scommetterci), ma economicamente si. E in ogni caso, sul piano politico e militare, sarà saldamente dentro la sfera occidentale. Punto. La guerra non ha fermato i progetti occidentali (compresi quelli pregressi all’ingresso della Russia). Anzi, ha accelerato le alleanze.
Chiaramente non tutti leggeranno questo accordo sulle terre rare con lo stesso spirito. In Russia, questo patto potrebbe essere interpretato come una provocazione diretta, un’ulteriore intrusione americana in quella che Mosca considera ancora la sua area di influenza.
È come se si stesse già progettando l’Ucraina post-bellica mentre il conflitto è ancora in corso. Un messaggio che Mosca potrebbe non digerire affatto.
Il rischio? Che la tensione aumenti. Che la guerra diventi ancora più lunga e feroce. Che i margini per una trattativa si restringano ulteriormente, proprio mentre si cercava (se si cercava davvero) un difficile compromesso.
Accordo sulle terre rare prospettive: occasione, trappola o volano di sviluppo?
Al momento, per usare una metafora calcistica, il pronostico generale (non il mio) è “1-X-2”. Molto dipenderà da come sarà gestito l’accordo nei prossimi anni. Se l’Ucraina saprà negoziare bene, ottenere non solo capitali ma anche trasferimento di competenze, tecnologie, posti di lavoro qualificati… allora potrebbe davvero costruirsi un futuro più solido.
Se invece il paese di Zelensky si limiterà a fare da cava mineraria per le multinazionali, sarà un’occasione persa. O peggio: una nuova forma di dipendenza, travestita da cooperazione. La domanda è semplice, non giriamoci intorno: l’Ucraina ha autonomia negoziale? Ognuno può dare la sua risposta.
Per qualcuno, però, il gioco già vale la candela. Già. Perché gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno solo da guadagnare: ridurre la dipendenza dalla Cina, aumentare la loro influenza economica nell’Europa dell’Est, e mandare un segnale a chi pensa che l’era americana stia finendo (a torto o a ragione).
Conclusione: una scossa sotto i nostri piedi
Nel bel mezzo di una guerra che dura da anni, tra bombardamenti e conferenze stampa, l’accordo per le terre rare tra USA e Ucraina deve essere urgentemente messo sotto la lente di noi europei. Perché nasce per cambiare le regole del gioco.
È un accordo economico, certo. Ma anche una mossa politica, industriale e strategica. Segna l’inizio della vera ricostruzione dell’Ucraina, o l’ennesima storia di promesse non mantenute. O entrambe le cose.
Ma ha riflessi e conseguenze forti per tutti, Europa compresa. Perché di una cosa possiamo essere certi: le guerre finiscono, prima o poi. Ma le concessioni minerarie durano decenni. E chi le firma oggi, decide già da che parte starà il futuro.
Perché mentre il mondo guarda ai cieli cercando droni e missili, la partita vera (quella che conta) si gioca sotto terra.
Letteralmente.