Mi piace osservare le persone ferme al semaforo. Mi piace, ma poi mi dispiace. Quasi tutte, nei pochi secondi di attesa, tirano fuori compulsivamente lo smartphone: come se quei venti secondi di inattività rappresentassero una minaccia, un vuoto insopportabile da riempire a tutti i costi. I sogni ad occhi aperti, una volta compagni fedeli dei nostri momenti di pausa, sono diventati una specie in via d’estinzione.
Li abbiamo sacrificati sull’altare dell’efficienza e della stimolazione continua. Eppure, erano proprio quei momenti apparentemente “sprecati” in divagazioni mentali a nutrire la nostra creatività, a costruire la nostra capacità di anticipazione, a darci l’opportunità di processare emozioni e pensieri. Oggi nessuno vuole più annoiarsi. E questo, paradossalmente, ci sta rendendo molto più noiosi.
Quando la noia era normale
C’è stata un’epoca in cui la noia faceva semplicemente parte della vita. Appartengo alla Generazione X, cresciuta senza tecnologie portatili più sofisticate di un “Grillo parlante” (se siete miei coetanei, sapete di cosa parlo). Le nostre ore vuote dovevano essere riempite in altri modi, principalmente uscendo e facendo cose con gli amici. Alcuni guardavano la tv, ma le opzioni di programmazione erano limitate. La noia era parte della vita, e l’accetta amo. Di più, spesso ne tiravamo fuori qualcosa di buono.
Confronto questo con mia figlia, Generazione Alpha, nata in piena epoca di tecnologia mobile. Lei e quelli come lei non devono mai annoiarsi: ogni piattaforma, ogni app per bambini li abitua all’idea che non ci si deve annoiare. Mi preoccupa come questo possa cambiare le loro aspettative e la capacità di affrontare ritardi, frustrazioni e tempo vuoto da adulti.
Perché la noia ha uno scopo. Per comprenderla e sfruttarla, dobbiamo dare alle nostre menti più opportunità di sperimentarla, invece di combatterla come un nemico da sconfiggere a tutti i costi.

L’estinzione del tempo interstiziale
Una volta fissavamo semplicemente il panorama dal finestrino. Marshall McLuhan osservava che in Grecia gli uomini usavano i komboloi (una sorta di rosario) per far passare il tempo. Questo rifletteva un bisogno umano profondamente sentito di riempire il tempo interstiziale. Tutti facciamo questi piccoli rituali: scarabocchiare, agitarsi, sferruzzare; molti fumavano.
Lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi definiva queste “attività di microflusso che ci aiutano a superare i momenti morti della giornata”. Sebbene l’esperienza della noia sia profondamente umana, ciò a cui ricorriamo quando la sperimentiamo è strutturato socialmente, unico nel nostro momento storico.
I komboloi e le sigarette di epoche precedenti hanno ceduto il posto agli smartphone. La nostra è una distrazione meno cancerogena ma non meno dannosa, con impatti a lungo termine che stiamo appena iniziando a comprendere. Secondo Pew Research, nove americani su dieci possiedono uno smartphone e il 95% degli adolescenti vi ha accesso. La metà degli adolescenti tra i 13 e i 17 anni ha dichiarato di essere online “quasi costantemente”. In Europa, invece, la diffusione supera l’80% tra i 9 e i 16 anni in molti paesi (tra cui Italia, Germania, Polonia, Portogallo, Croazia, Lituania, Norvegia, Romania, ed altri.)
In sintesi, la “persona media” in Occidente trascorre la maggior parte dei suoi momenti liberi guardando uno schermo. Quello che è diminuito significativamente è il tempo libero trascorso con altre persone.
Un mondo che non ti lascia mai tranquillo
Che succede quando sostituiamo la noia con distrazione e stimolazione costanti? Gli avvertimenti sugli effetti dannosi di troppa stimolazione non sono nuovi. Sigmund Freud osservava:
“Per un organismo vivente, la protezione contro gli stimoli è una funzione quasi più importante della ricezione degli stimoli”.
E data la gamma e la velocità degli stimoli a nostra disposizione, potremmo aver bisogno di un nuovo modo di pensare ai loro effetti.
È un impulso umano ragionevole cercare distrazione dall’esperienza scomoda della noia. Ciò che è nuovo del nostro momento attuale è che il metodo scelto per alleviare la noia a breve termine ha impatti negativi a lungo termine sulla nostra capacità di attenzione e sulla nostra capacità di praticare la pazienza. Abbiamo creato una macchina per la stimolazione ben oltre qualsiasi cosa immaginabile ai tempi di Freud.
In una delle lettere che Aldous Huxley scambiava con George Orwell nel 1949, si legge: “Sento che l’incubo del 1984 è destinato a modularsi nell’incubo di un mondo più simile a quello che ho immaginato in Il Mondo Nuovo”.
Cosa vedeva Huxley in quella distopia? Non un ordine mondiale globale o un despota carismatico, ma il cambiamento “come risultato di un bisogno avvertito di maggiore efficienza”. Quanto accidenti aveva ragione, amici miei. Godiamo delle efficienze e delle distrazioni che la tecnologia porta, ma ci lasciano meno abili nella pazienza.
Ci insegnano a valorizzare l’efficienza sopra ogni cosa e a sospettare del tempo inattivo, quando dovremmo vedere i momenti di inattività come opportunità di riflessione e rinnovamento.

La sfortunata morte dei sogni ad occhi aperti
Una cultura senza noia, concentrata sull’efficienza, mina anche i sogni ad occhi aperti, un’altra cosa a cui il tempo interstiziale era dedicato. “Sognare ad occhi aperti” sembra un termine antiquato in un’epoca in cui si apprezzano produttività e utilità. Ma come hanno scoperto psicologi e neurologi, una mente vagante (spesso il primo segnale di noia imminente) è anche una mente creativa.
Negli anni ’60, lo psicologo Jerome Singer, il nonno degli studi sui sogni ad occhi aperti, identificò tre tipi di divagazione mentale: la produttiva, creativa “fantasticheria costruttiva positiva”, l’ossessiva “fantasticheria colpevole-disforica” e il “controllo attentivo scarso”. Singer credeva che sognare ad occhi aperti fosse un comportamento adattivo positivo: una coraggiosa partenza dalla saggezza convenzionale dell’epoca, che collegava il sognare ad occhi aperti ad altre psicopatologie come fantasticare eccessivamente.
Da allora, i ricercatori hanno trovato numerosi effetti positivi in una “mente vagante”. Lo psicologo Scott Barry Kaufman li ha riassunti: “autoconsapevolezza, incubazione creativa, improvvisazione e valutazione, consolidamento della memoria, pianificazione autobiografica, pensiero guidato dagli obiettivi, pianificazione futura, recupero di ricordi profondamente personali, considerazione riflessiva del significato di eventi ed esperienze.”
Sognare ad occhi aperti è anche un impulso alla memoria. Come sostiene Stefan Van der Stigchel in “Concentration: Staying Focused in Times of Distraction”, “Quando sogni ad occhi aperti (o vaghi con la mente, come viene chiamato nei circoli scientifici), ricordi che pensavi fossero persi per sempre possono tornare in superficie”. E aggiunge che l’attività neurale osservabile durante il sogno ad occhi aperti è molto simile a quella trovata nella “rete predefinita”, un network di regioni del cervello attive durante i periodi di riposo.
Fine dell’anticipazione
Ora che abbiamo così tanti modi per riempire anche i più piccoli frammenti di tempo, è cambiata la nostra psicologia dell’aspettativa. Siamo più propensi a vivere l’attesa come un ritardo spiacevole piuttosto che come anticipazione. L’attesa è diventata un problema da risolvere, piuttosto che una logica, umana esperienza umana. Quando siamo abituati a riempire facilmente il tempo, le opportunità per l’anticipazione, come le opportunità per sognare ad occhi aperti, scompaiono.
L’anticipazione è una sorta di preparazione per il futuro. Abbracciare attivamente l’anticipazione è anche importante per la propria salute emotiva. Il neuroscienziato Antonio Damasio chiama questa pratica “risposta dell’immaginazione”, e per molti versi assomiglia al sognare ad occhi aperti nel suo potere di preparare la mente a nuove esperienze. Per questo, nonostante l’enorme numero di stimoli, non ci sentiamo mai preparati.
Risvegliate i sogni ad occhi aperti. E provate ad annoiarvi
Ha importanza se non tolleriamo più la noia, non lasciamo vagare le nostre menti, non coltiviamo un senso di anticipazione e non pratichiamo la pazienza? La nostra domanda di risposte immediate è vorace, e non del tutto negativa. Guida l’innovazione e il commercio e ha permesso la comunicazione su una scala appena immaginabile un secolo fa.
Tuttavia, vivere una vita umana piena e significativa significa affrontare il liminale, quei momenti intermedi della vita in cui dobbiamo sopportare esperienze inquiete o scomode, dalla noia durante una riunione al testimoniare la malattia di un altro, al semplice restare bloccati su un autobus.
Noi genitori abbiamo un ruolo cruciale nell’insegnare ai bambini come affrontare la noia, e può essere semplice e vecchio stile come dire loro: “Andate fuori a giocare”. Invece di consegnare a un bambino una slot machine di distrazione, incoraggiarlo a inventare il proprio gioco o attività. Più che strutturare e organizzare un’attività per i nostri figli, lasciare che lo capiscano da soli, o insieme ai loro coetanei.
Provateci anche voi: per un giorno, non prendete lo smartphone durante le piccole pause nella vostra routine, come aspettare il treno, o seduti in macchina a un semaforo. Prestate attenzione a ciò che vi circonda, o lasciate vagare la mente. Sembra un esperimento semplice, ma è rivelatore delle nostre cattive abitudini. Raggiungere il telefono ogni volta è la soluzione facile, ma ha conseguenze dannose a lungo termine per gli individui e per la società.
In altre parole: un po’ di noia è buona per noi, quindi la prossima volta che avete un minuto libero siate ribelli: sognate ad occhi aperti.