I robot controllati a distanza potrebbero presto costruire enormi fattorie solari nello spazio, secondo un recente test condotto nel Regno Unito. La startup britannica Space Solar ha dimostrato che la robotica può assemblare satelliti solari di scala gigawatt, aprendo scenari inediti per le infrastrutture spaziali del futuro.
Indice dei contenuti
- Come funziona l’assemblaggio robotico nello spazio?
- Perché i robot sono cruciali per le infrastrutture spaziali?
- Quali sono le sfide tecniche da superare?
- Timeline e prospettive future dei progetti
- Impatti economici e ambientali
Come funziona l’assemblaggio robotico delle infrastrutture spaziali?
Il test AlbaTRUSS, condotto presso le strutture avanzate dell’UKAEA nel campus di Culham dell’Università di Oxford, ha utilizzato manipolatori robotici a doppio braccio controllati a distanza per dimostrare che i robot potrebbero assemblare satelliti solari di scala gigawatt.
Queste macchine non sono i soliti robot industriali che conosciamo dalle fabbriche terrestri. Sono progettate per operare nel vuoto dello spazio, resistere alle radiazioni e funzionare senza ossigeno. Sam Adlen, co-CEO di Space Solar, spiega come nello spazio il sole splende 24 ore su 24, e una volta costruiti, questi satelliti catturano l’energia solare e la trasmettono sulla Terra sotto forma di microonde.
Il progetto ha dimostrato che i robot possono assemblare una sezione strutturale scalata chiamata “longeron”, un elemento tubolare che forma il nucleo del framework del satellite. A differenza della Stazione Spaziale Internazionale, la più grande struttura mai costruita nello spazio, questi satelliti richiedono un assemblaggio molto più complesso e su larga scala.
Come abbiamo evidenziato parlando delle tendenze robotiche del 2025, l’intelligenza artificiale adattiva e i sensori avanzati stanno trasformando il modo in cui i robot operano in ambienti estremi.
Perché le infrastrutture spaziali richiedono necessariamente robot?
La risposta è tanto semplice quanto drammatica: lo spazio è un ambiente letale per gli esseri umani. Professor Rob Buckingham, direttore esecutivo dell’UKAEA, sottolinea che costruire una macchina complessa come una centrale a fusione sulla Terra, che sarà interamente controllata a distanza, è simile a costruire strutture nello spazio.
Le attività extraveicolari degli astronauti sono estremamente costose e rischiose. Secondo gli esperti del settore, utilizzare robot per assemblare, mantenere e smantellare a distanza le infrastrutture è più efficiente e riduce i rischi affrontati dagli astronauti. Pensate alle missioni multimiliardarie dello Space Shuttle per riparare il telescopio Hubble: erano eccezionali proprio perché normalmente simili operazioni sono proibitive.
L’UKAEA ha scelto di collaborare con Space Solar perché la fusione e la robotica spaziale hanno diverse cose in comune: non richiedono ambienti ossigenati e possono funzionare in vari gradi di radiazione. Questa sinergia tecnologica potrebbe accelerare lo sviluppo di entrambi i settori.
Le infrastrutture spaziali del futuro non si limitano ai pannelli solari. La dimostrazione apre le porte a tutti i tipi di progetti nel cosmo, dai centri dati alle strutture energetiche. Immaginate data center orbitali, stazioni di comunicazione lunari o perfino strutture per l’estrazione mineraria su Marte.
Quali sfide tecniche devono superare i robot per le infrastrutture spaziali?
La robotica spaziale affronta sfide uniche che vanno ben oltre quelle terrestri. Prima di tutto, c’è il problema della latenza nelle comunicazioni: controllare un robot sulla Luna dalla Terra comporta un ritardo di diversi secondi, rendendo impossibile il controllo in tempo reale per operazioni delicate.
Per questo motivo, l’autonomia è cruciale poiché, a causa delle limitazioni della velocità della luce, non sarà possibile controllare ogni movimento di questi robot da remoto dalla Terra. I robot devono essere dotati di intelligenza artificiale avanzata per prendere decisioni indipendenti.
La tecnologia neuromorfica emerge come soluzione chiave. Questa tecnologia è perfetta per lo spazio: il minor consumo energetico significa meno dissipazione di calore, e permette di ottenere fino a cinque volte più potenza computazionale per lo stesso budget di energia elettrica.
Un altro aspetto critico riguarda i materiali e la struttura dei robot stessi. Devono resistere a temperature estreme che variano da -270°C all’ombra a oltre 120°C al sole, alle radiazioni cosmiche e ai micrometeoriti. Inoltre, la mancanza di gravità crea dinamiche di movimento completamente diverse da quelle terrestri.
Abbiamo discusso dei rischi e delle opportunità del futuro robotico, evidenziando come la progettazione di sistemi autonomi richieda regole precise per garantire la sicurezza.
Quando vedremo le prime infrastrutture spaziali costruite da robot?
I tempi di sviluppo sono più vicini di quanto si possa immaginare. Space Solar prevede di mettere in servizio il suo primo sistema dimostrativo da 30MW entro il 2029 e raggiungere la piena capacità di scala gigawatt entro i primi anni ’30.
Per mettere in prospettiva questi numeri: un sistema da 30 megawatt può alimentare circa 1000 case, mentre un gigawatt potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico di una città di medie dimensioni. Le strutture progettate sono impressionanti: i satelliti sono progettati per essere lunghi diversi chilometri e larghi circa 20 metri.
Il progetto AlbaTRUSS, supportato dalla sovvenzione Proof of Concept del Science and Technology Facilities Council, rappresenta solo l’inizio. La NASA sta sviluppando parallelamente il programma ARMADAS (Automated Reconfigurable Mission Adaptive Digital Assembly Systems), che mira a creare strutture auto-assemblanti per habitat, strumentazione o qualsiasi altra struttura in orbita o sulla superficie lunare.
La corsa internazionale è già iniziata: l’Agenzia Spaziale Europea, la NASA e diverse startup nel Regno Unito, Stati Uniti, Cina e Giappone stanno tutte lavorando per rendere realtà l’energia solare spaziale.
Quale impatto economico e ambientale avranno queste infrastrutture?
I numeri sono tanto impressionanti quanto controversi. Lo sviluppo iniziale di un prototipo di scala gigawatt potrebbe costare €15-20 miliardi. Sembra una cifra astronomica, ma va confrontata con i costi delle strutture energetiche tradizionali e considerando che si tratta di investimenti per decenni di operatività.
Il vantaggio energetico è innegabile: rispetto a un pannello solare posto sulla Terra nel Regno Unito, un pannello solare identico nello spazio raccoglierebbe oltre 13 volte più energia. Questo perché nello spazio non ci sono atmosfera, nuvole o cicli giorno-notte a limitare la captazione solare.
Tuttavia, l’impatto ambientale solleva questioni complesse. L’installazione di un satellite di quella scala potrebbe comportare centinaia di lanci di razzi separati, contribuendo all’inquinamento atmosferico. È un paradosso del nostro tempo: per ottenere energia pulita nello spazio, dobbiamo inquinare l’atmosfera terrestre durante la fase di costruzione.
La partnership UKAEA-Space Solar mira a rafforzare la leadership del Regno Unito nel settore in rapida crescita dell’assemblaggio e manifattura nello spazio (ISAM). Si stima che questo settore raggiungerà valori di mercato enormi nei prossimi decenni.
Professor Buckingham vede implicazioni ancora più ampie: potrebbe essere una stazione lunare o una struttura su Marte, quindi stiamo parlando del futuro dell’umanità oltre che di garantire la sicurezza energetica.
Il futuro delle infrastrutture spaziali è già qui
La dimostrazione AlbaTRUSS segna un punto di svolta nella nostra capacità di costruire strutture complesse nello spazio. Non si tratta più di fantascienza, ma di ingegneria applicata con timeline concrete e investimenti reali.
L’espansione dell’umanità nel cosmo richiede strutture che possono essere costruite solo da robot. Con l’esperienza acquisita nei servizi orbitali, queste tecnologie diventeranno la base per costruire strutture lunari, marziane e oltre.
Tra vent’anni, 10 miliardi di persone sulla Terra potranno guardare in alto e vedere le luci della città sul lato notturno della falce lunare. Quella che oggi sembra una visione audace, domani potrebbe essere semplicemente la vista normale dalla finestra di casa.
I robot stanno costruendo letteralmente il ponte verso il nostro futuro tra le stelle. E questo ponte passa necessariamente per le strutture spaziali che stanno iniziando a prendere forma nelle menti brillanti e nelle mani meccaniche dei nostri alleati artificiali.