Immaginate di essere benzinai nel New Jersey nel 1992. Tutti gli altri stati americani avevano già adottato il self-service, ma voi eravate protetti da una legge che impediva ai clienti di fare rifornimento da soli. Oggi, trent’anni dopo, migliaia di persone lavorano ancora versando benzina in un mondo dove questa mansione è obsoleta ovunque. Questa storia racconta perfettamente il nostro futuro senza lavoro: non sarà la tecnologia a decidere quando il lavoro umano finirà, ma le nostre scelte politiche e sociali.
Per questo, al di là dei timori apocalittici, la domanda ancora una volta non è “se” questa cosa succederà, ma “come” vogliamo che succeda e cosa faremo della nostra umanità “liberata” dall’obbligo di lavorare per vivere.
L’accelerazione che nessuno si aspettava
La pandemia ha fatto da catalizzatore per un processo già in corso. L’automazione e l’intelligenza artificiale hanno avuto nel virus un insospettabile, potente alleato: le aziende che prima esitavano ora spingono verso soluzioni automatizzate anche per ridurre i rischi di un futuro contagio. Il 53% degli italiani è già preoccupato per l’impatto negativo dell’AI sui propri stipendi, secondo un’indagine IPSOS del 2023. Ma forse stiamo guardando il problema dal verso sbagliato.
I numeri sono impressionanti: secondo il World Economic Forum, l’intelligenza artificiale sostituirà 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025, ma ne creerà 97 milioni di nuovi. Un bilancio che sembra positivo, almeno sulla carta. Tuttavia, c’è un dettaglio che spesso sfugge: la natura stessa del lavoro sta cambiando così velocemente che molte persone non riusciranno ad adattarsi in tempo.
Il paradosso della produttività senza lavoro
Robert Solow, Premio Nobel per l’economia, osservava già nel 1987 che “i computer si vedono ovunque, salvo che nelle statistiche di contabilità nazionale”. Quarant’anni dopo, stiamo ancora aspettando che l’automazione si traduca in un aumento significativo della produttività globale. Questo paradosso ci suggerisce qualcosa di importante: la tecnologia non elimina automaticamente il bisogno umano di sentirsi utili.
La vera rivoluzione non sarà nella sostituzione uomo-macchina, ma nella ridefinizione di cosa significa “essere produttivi”. Mentre Amazon dichiara che “la tecnologia non elimina posti di lavoro, ma crea opportunità”, la realtà è più sfumata: sta cambiando il tipo di contributo che gli esseri umani possono dare alla società. Anche ad una società senza lavoro. Come potrà essere questo contributo? Facciamo qualche ipotesi.
Primo scenario: la società del reddito universale

Nel primo scenario possibile, governi lungimiranti (dove sono?) implementano sistemi di reddito di base universale ben prima che l’automazione diventi dominante. La Finlandia, il Kenya e altre nazioni hanno già sperimentato forme di sostegno economico svincolate dal lavoro tradizionale.
In questo mondo, le persone senza lavoro non si dedicano al dolce far niente. Si appassionano ad attività che prima erano considerate “perdite di tempo”: arte, volontariato, cura delle relazioni familiari, esplorazione della creatività personale. Come sottolineavo in questo articolo, il problema non sarà trovare qualcosa da fare, ma liberarci dall’ossessione che tutto debba essere “produttivo” soltanto in senso economico. Anche la semplice presenza umana, l’attenzione e l’empatia di persone vere saranno “merce” di grandissimo valore in un mondo di macchine.
Secondo scenario: la resistenza organizzata

Il secondo scenario è più tumultuoso. Gruppi di lavoratori, sindacati e intere categorie professionali si organizzano per rallentare l’automazione, esattamente come accadde con i benzinai del New Jersey. Vengono approvate leggi che obbligano le aziende a mantenere una percentuale minima di lavoratori umani, anche quando questo significa minore efficienza.
Questo scenario, pur comprensibile, rischia di creare una società a due velocità: da una parte chi abbraccia il cambiamento e prospera, dall’altra chi rimane intrappolato in lavori sempre più marginali e sottopagati. La storia ci insegna che resistere al progresso tecnologico funziona solo temporaneamente. Prima o poi, la pressione competitiva rende inevitabile l’adozione delle nuove tecnologie.
Terzo scenario: la reinvenzione collaborativa

Il terzo scenario è forse il più interessante. Invece di vedere l’automazione come una minaccia, la società la abbraccia come strumento per liberare il potenziale umano. Le persone non “perdono” il lavoro: lo ridefiniscono completamente.
In questo mondo, emergono nuove forme di organizzazione sociale. Come evidenziato negli studi più recenti, nascono cooperative di creativi, comunità di makers, reti di supporto reciproco che operano al di fuori della logica capitalista tradizionale. Le persone si dedicano a risolvere problemi che il mercato non riesce ad affrontare: cura dell’ambiente, assistenza agli anziani, educazione personalizzata, ricerca di base.
La dimensione psicologica del cambiamento senza lavoro
La sfida più grande non sarà economica, ma psicologica. Per generazioni abbiamo definito la nostra identità attraverso il lavoro. “Cosa fai nella vita?” è la seconda domanda che facciamo dopo aver chiesto il nome a una persona appena conosciuta. Senza lavoro, chi siamo?
La risposta potrebbe sorprenderci. Alcune ricerche suggeriscono che le persone senza lavoro non diventano automaticamente infelici o prive di scopo. Pensionati attivi, artisti, volontari, caregivers: tutti esempi di individui che trovano significato al di fuori della produttività economica tradizionale.
Un mondo senza lavoro: verso una nuova definizione di progresso
La transizione verso un mondo senza lavoro non sarà indolore, ma potrebbe rivelarsi liberatoria. Invece di misurare il progresso in termini di PIL e produttività, potremmo iniziare a valutare il benessere sociale, la sostenibilità ambientale, la ricchezza delle relazioni umane.
Il futuro senza lavoro non è una distopia da temere, ma un’opportunità da cogliere con intelligenza e lungimiranza. Come per i benzinai del New Jersey, la scelta è nostra: possiamo aggrapparci disperatamente a un mondo che non esiste più, oppure immaginare coraggiosamente quello che potrebbe essere. La tecnologia ci sta offrendo la possibilità di rispondere finalmente a una domanda antica: cosa faremmo se fossimo davvero liberi di scegliere?
La risposta, forse, ci sorprenderà più di quanto immaginiamo.