La base militare di Elmendorf-Richardson non aveva mai visto una scena simile. Quattro caccia F-22 Raptor in formazione intorno ad uno Stealth, un tappeto rosso a forma di L, e quella scritta “Alaska 2025 – Pursuing Peace”. È una serie Netflix? .
Eppure era tutto vero: Vladimir Putin, dopo dieci anni di assenza, rimetteva piede negli Stati Uniti per incontrare Donald Trump. Tre ore di colloqui, strette di mano, sorrisi diplomatici. E alla fine? Nessun cessate il fuoco in Ucraina, solo la sensazione che qualcosa di importante fosse appena cambiato negli equilibri mondiali. O sbaglio?

Vertice in Alaska: scenografia e sostanza
Non ce lo nascondiamo, e al diavolo le propagande incrociate: il vertice tra USA e Russia in Alaska è stato molto più di un semplice incontro bilaterale. Per Putin, è stata la fine dell’isolamento diplomatico iniziato con l’invasione dell’Ucraina nel 2022: per Trump, l’opportunità di dimostrare le sue “capacità negoziali” sulla scena internazionale. E per il mondo? L’ennesima conferma che la diplomazia segue spesso logiche diverse da quelle della pace immediata.
I due leader hanno discusso per oltre tre ore in formato “tre contro tre”, con Marco Rubio e Steve Witkoff per gli Stati Uniti, Sergei Lavrov e Yuri Ushakov per la Russia. La scelta dell’Alaska, come sicuramente già sapete, non è casuale: geograficamente vicina alla Russia, rappresenta un ponte simbolico tra Oriente e Occidente. Storicamente, il territorio fu venduto dall’Impero zarista agli Stati Uniti nel 1867 per 7,2 milioni di dollari, una cifra che oggi equivale a circa 130 milioni.
La conferenza stampa finale ha lasciato più domande che risposte. Trump ha parlato di “grandi progressi” senza specificare su cosa, mentre Putin ha sottolineato la necessità di “considerare tutte le legittime preoccupazioni della Russia”. Nessun cessate il fuoco è stato annunciato, ma entrambi i leader hanno confermato l’intenzione di organizzare un futuro incontro trilaterale con Volodymyr Zelensky. Già. Il “convitato di pietra”. Ci tornerò su.

Gli equilibri geopolitici in movimento
L’Europa ha osservato il vertice in Alaska con crescente preoccupazione. Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, aveva convocato una riunione d’emergenza dei ministri degli Esteri per tentare (suppongo invano. Ripeto, suppongo) di influenzare i colloqui. Il timore principale era che si potesse giungere a un accordo a spese dell’Ucraina, senza il coinvolgimento diretto di Kiev.
L’assenza di Zelensky dal vertice ha sollevato critiche internazionali. Il presidente ucraino non è stato invitato, nonostante la guerra in corso nel suo paese sia stata il tema centrale delle discussioni. Trump ha giustificato questa scelta affermando che Zelensky “è andato a tanti incontri, ma non è mai successo niente”. Dire “pragmatico” è un eufemismo.
La scelta strategica dell’Alaska ha permesso a Putin di aggirare il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale (saprete anche questo) che gli impedisce di viaggiare nei paesi membri. Gli Stati Uniti non fanno parte della CPI, rendendo il territorio americano uno dei pochi luoghi sicuri per un incontro di questo tipo. La posizione geografica dell’Alaska, a soli 100 chilometri dalle coste russe, era praticamente perfetta.

Vertice USA-Russia in Alaska, i possibili scenari futuri
Il vertice in Alaska apre diversi scenari possibili per i prossimi mesi. Il più probabile prevede un incontro trilaterale tra Trump, Putin e Zelensky, come annunciato dallo stesso presidente americano. La Casa Bianca starebbe già lavorando per organizzare questo secondo round di negoziati, probabilmente entro la fine di agosto.
Un secondo scenario riguarda le concessioni economiche. Si parla di possibili accordi su terre rare presenti proprio in Alaska in cambio di progressi nella pace, e di un graduale allentamento delle sanzioni economiche contro la Russia. Questo aspetto assume particolare rilevanza considerando l’accordo sulle terre rare tra USA e Ucraina di cui vi parlavo un po’ di tempo fa: l’America avrà accesso privilegiato ai depositi ucraini in cambio di supporto militare. Putin ha invitato Trump per un futuro summit in territorio russo, segno di una possibile riapertura diplomatica più ampia tra le due superpotenze.
Il terzo scenario, più complesso, coinvolge la questione territoriale. Trump ha accennato a possibili “scambi di territori” tra Russia e Ucraina, un tema che (al momento) Kiev respinge categoricamente. L’Ucraina, dal canto suo, mantiene la posizione che nessun accordo può essere discusso senza la sua partecipazione diretta. Come scrivevo in questo articolo, i conflitti moderni coinvolgono anche attori non statali e dinamiche economiche complesse che vanno oltre la semplice diplomazia tradizionale, figurarsi se possono escludere gli attori diretti: e vale comunque la vediate, anche se pensate che l’Ucraina sia solo un paese “sacrificato” dagli interessi NATO e Zelensky un fantoccio che ha cambiato burattinaio (prima USA, ora UE).
Prospettive di pace dopo il vertice Alaska
Giornali e tv ci imbottiranno di chiacchiere e dati, non voglio mettermici anch’io. Non allungo il brodo, concludo dicendo semplicemente che valutazione del vertice in Alaska dipende dalla prospettiva che adottate.
Dal punto di vista diplomatico, l’incontro ha riaperto un canale di comunicazione diretto tra le due superpotenze nucleari, interrotto da oltre tre anni: è quindi stato un trionfo. Dal punto di vista della pace immediata, i risultati sono stati deludenti: nessun cessate il fuoco è stato concordato e la guerra in Ucraina continua.
Non c’è accordo finché non c’è accordo. Abbiamo fatto grandi progressi, ma alcune questioni importanti devono ancora essere risolte.
Le parole di Trump riassumono bene l’esito dell’incontro: progressi dichiarati ma non verificabili, promesse di futuri sviluppi senza garanzie concrete. Putin, dal canto suo, è riuscito nel suo obiettivo principale di essere ricevuto (e percepito, soprattutto) come il leader di una grande potenza, non come un criminale di guerra isolato dalla comunità internazionale.

L’Europa rimane preoccupata per le possibili conseguenze di accordi bilaterali che potrebbero escludere gli interessi comunitari. L’Ucraina mantiene la sua posizione di principio: nessuna concessione territoriale e partecipazione diretta a qualsiasi negoziato che riguardi il suo futuro. La strada verso una pace duratura appare ancora lunga e complessa, nonostante le dichiarazioni ottimistiche dei protagonisti del vertice Alaska.
Quello che è certo è che l’Alaska ha riportato Russia e Stati Uniti a parlarsi direttamente dopo anni di tensioni crescenti. Se questo dialogo si tradurrà in pace concreta o rimarrà solo diplomazia di facciata, lo scopriremo nei prossimi mesi. La storia ci insegna che i veri accordi di pace nascono quando tutte le parti in conflitto sono pronte a compromessi dolorosi. Per ora, sembriamo ancora lontani da quel momento.