Cosa serve per far reagire un governo? Nelle Filippine, 130mila persone in strada e uno scandalo da 33 miliardi di dollari. Il 21 settembre 2025 Manila si è fermata: cittadini che chiedevano di sapere dove fossero finiti i fondi per il controllo delle inondazioni. Progetti “completati” ma inesistenti, contratti gonfiati, costruzioni che crollano alla prima pioggia. Un sistema di corruzione che non si fa scrupoli delle vite umane.
La risposta è arrivata tre giorni dopo, ma non era l’ennesima commissione d’inchiesta. Era un sistema blockchain chiamato Integrity Chain: ogni contratto pubblico ora vive su un registro distribuito, validato da università, ONG e media. Nascondere diventa impossibile.

Un registro digitale immutabile per 98 miliardi di dollari
Integrity Chain, il sistema sviluppato nelle Filippine, funziona in modo piuttosto radicale. Ogni contratto del Dipartimento dei Lavori Pubblici (DPWH), ogni pagamento, ogni fase di progetto viene registrato come asset digitale su una rete Polygon, una blockchain Ethereum-compatibile che garantisce trasparenza.
I dati vengono cifrati, marcati temporalmente con crittografia e ancorati on-chain prima di raggiungere i validatori indipendenti. “Qualsiasi tentativo di nascondere o manipolare informazioni diventa visibile invece che nascosto”, spiega Gelo Wong, chief growth officer di BayaniChain, la società che ha sviluppato il sistema.
Il meccanismo prevede che oltre 40 organizzazioni non governative, università, gruppi mediatici e associazioni civiche esaminino e attestino ogni voce. Le loro azioni vengono a loro volta registrate come asset pubblici, creando un doppio livello di accountability. Le chiavi dei validatori sono protette da hardware, ruotate periodicamente e assegnate tramite randomizzazione per evitare conflitti di interesse. Il modello “un’organizzazione-un voto”, infine, impedisce che un singolo settore domini il processo.
L’obiettivo dichiarato è ambizioso: una volta esteso ad altre agenzie governative, il sistema potrebbe “proteggere l’intero budget annuale delle Filippine”, stimato in circa 98 miliardi di dollari. “La responsabilità diventa permanente, misurabile e inevitabile”, dice Paul Soliman, CEO di BayaniChain.
“La fiducia pubblica si ricostruisce non su promesse, ma su crittografia, validazione aperta e un sistema dove i cittadini stessi verificano i risultati”.
Filippine, dalle piazze al codice
Le proteste del 21 settembre non erano casuali. Quella data segna l’anniversario della legge marziale dichiarata da Ferdinand Marcos Sr. nel 1972, padre dell’attuale presidente. Un periodo ricordato per abusi dei diritti umani, censura e corruzione sistemica. Quando sono emerse le rivelazioni su contratti sovraprezzati, costruzioni scadenti e progetti fantasma nel programma di controllo delle inondazioni, la piazza ha chiesto conto. Secondo l’Australian Institute of International Affairs, oltre 33 miliardi di dollari erano stati allocati in 15 anni per questi progetti.
La manifestazione “Trillion Peso March” ha riempito Manila e altre città filippine. Tra i 50mila e i 130mila cittadini hanno marciato pacificamente, ma non sono mancati scontri isolati con le forze dell’ordine: 216 arresti, 95 agenti feriti. La rabbia era diretta verso un sistema che prometteva protezione dalle alluvioni (le Filippine affrontano in media 20 tifoni l’anno) ma consegnava progetti inesistenti o infrastrutture che cedevano alla prima tempesta.
Quando la tecnologia diventa strumento civico
Integrity Chain non è un esperimento isolato. Il governo filippino aveva già implementato un sistema simile al Dipartimento del Budget (DBM) nel luglio 2025, pubblicando documenti chiave di bilancio su Polygon. Il progetto Prismo, lo strato di orchestrazione che gestisce dati, cifratura e validazione, era già stato testato. Ma l’estensione al DPWH, l’agenzia al centro dello scandalo, segna un cambio di passo. Non si tratta più di trasparenza passiva: è accountability attiva, dove la società civile diventa parte integrante del processo di verifica.
Il senatore Paolo Benigno Aquino IV ha proposto il Senate Bill 1330, noto come “Blockchain the Budget Bill”, che prevede di inserire l’intero bilancio nazionale su blockchain. Se approvato, le Filippine potrebbero diventare il primo paese al mondo a gestire completamente la propria spesa pubblica tramite registri distribuiti. Un modello che altri governi osservano con interesse, dalla Francia alla Germania, dove progetti pilota sono già attivi ma non su scala nazionale.

E se l’Italia facesse lo stesso?
L’Italia non è estranea agli scandali sugli appalti pubblici. Da Nord a Sud, inchieste su tangenti, subappalti opachi e opere incompiute riempiono periodicamente le cronache giudiziarie. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici prevede già la digitalizzazione del ciclo di vita degli appalti, ma manca un sistema di validazione distribuita come quello filippino. L’adozione di una blockchain per gli appalti potrebbe trasformare radicalmente il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione italiana.
Immaginate ogni gara d’appalto, ogni aggiudicazione, ogni SAL (Stato Avanzamento Lavori) messo su un registro pubblico e validato non solo dalla Corte dei Conti ma anche da università, ordini professionali, associazioni di categoria. Gli effetti sarebbero molteplici: riduzione drastica delle infiltrazioni mafiose negli appalti (la ‘ndrangheta controlla circa il 15% dei lavori pubblici secondo stime della DIA), impossibilità di creare fatturazioni gonfiate o forniture fantasma, tracciabilità totale dei fondi PNRR. La trasparenza forzata dalla crittografia potrebbe far emergere le inefficienze molto, molto prima che diventino scandali.
Un recente studio del King’s College di Londra su LabTrace ha dimostrato come la blockchain possa certificare con efficacia i dati scientifici e prevenire frodi nella ricerca medica. Lo stesso principio applicato agli appalti italiani significherebbe: ogni modifica progettuale tracciata, ogni variante in corso d’opera giustificata pubblicamente, ogni ritardo documentato in modo immutabile. Non più commissioni d’inchiesta a posteriori, ma prevenzione in tempo reale.
Filippine, la fiducia negli algoritmi
Le Filippine stanno scommettendo che la fiducia nei confronti delle istituzioni si possa ricostruire attraverso la matematica. Un registro distribuito dove la verità non dipende da chi ha il potere, ma da un consenso verificabile da chiunque. È un esperimento che vale la pena osservare, perché se funziona a Manila, potrebbe funzionare ovunque la corruzione si nasconde dietro l’opacità.
Come dice Soliman: “La responsabilità non si promette. Si codifica”. Forse è arrivato il momento che anche altri paesi prendano appunti. In Italia, di opacità da illuminare, ne abbiamo ancora parecchia.