Il mondo sta cambiando pelle e fa rumore. Ursula von der Leyen lo ha detto chiaro ieri al Parlamento europeo: “Si profila uno scontro per un nuovo ordine mondiale basato sul potere”. Parole che pesano, pronunciate tra droni russi che violavano lo spazio aereo polacco e Xi Jinping che stringe la mano a Putin davanti alle telecamere.
Il sistema che ha retto il pianeta dal 1945 scricchiola, e tutti si chiedono cosa verrà dopo. La Cina promette un mondo multipolare, i BRICS parlano di giustizia, l’America first di Trump ripropone, in sostanza, un revival imperialista. Ma siamo sicuri che quello che sta nascendo da questa insalata sarà meglio di quello che muore?

La paura europea ha un nome preciso
Von der Leyen non ha usato mezzi termini nel suo discorso sullo stato dell’Unione. “Non c’è semplicemente spazio o tempo per la nostalgia. In questo momento si stanno tracciando le linee di battaglia per un nuovo ordine mondiale basato sul potere. Quindi, sì, l’Europa deve combattere”. Il tempismo non è casuale: mentre parlava, la SCO riuniva a Tianjin Xi Jinping, Putin, Modi e Kim Jong-un in quello che sembrava, dal punto di vista occidentale (quindi occidentalocentrico) un vertice delle potenze anti-occidentali.
La presidente della Commissione europea ha una ragione precisa per questa preoccupazione. L’Europa si trova schiacciata tra due fuochi: da una parte gli Stati Uniti di Trump che applicano dazi anche agli alleati, dall’altra una Cina che corteggia ogni paese scontento dell’ordine occidentale. Un po’ come trovarsi in mezzo a una rissa tra giganti quando si è alti la metà di loro. Facciamo un terzo.
Secondo l’analisi di Lombard Odier, l’ordine mondiale tradizionale sta cambiando e “le vecchie potenze perdono vigore mentre si affermano nuovi poli di influenza”. Nel 1975 la Cina rappresentava il 15% del PIL statunitense. Oggi, dopo neanche mezzo secolo, rappresenta il 115% del PIL statunitense. Non so se rendo l’idea.

Quando la Cina ha smesso di copiare e ha iniziato a comandare
Per decenni abbiamo guardato alla Cina come al paese dell’imitazione. Copiano tutto, dicevamo sorridendo mentre compravamo i loro prodotti. Oggi la musica è cambiata. Uno studio di Agenda Digitale mostra che la Cina è diventata leader mondiale nelle pubblicazioni scientifiche, superando Stati Uniti ed Europa messi insieme. Nel 2003 gli USA erano in rapporto di 20 a uno nelle citazioni scientifiche. Nel 2023 la Cina li ha sorpassati.
Ma non è solo questione di numeri. La Cina ha smesso di seguire le regole scritte da altri e ha iniziato a scriverne di proprie. I BRICS si stanno proponendo come un’alternativa concreta al sistema occidentale, con sistemi di pagamento che bypassano il dollaro e regole commerciali che ignorano quelle dell’OMC. Come spiega l’analista Manlio Graziano alla RSI, “la Cina deve semplicemente passare a raccogliere la messe di quello che Donald Trump semina”. Mentre l’America first si fa nemici ovunque, Pechino si presenta, si racconta, si vende come una potenza affidabile.
Il problema dei modelli che non funzionano
Qui inizia il vero nodo del discorso. Von der Leyen ha ragione a preoccuparsi, ma non per i motivi che dice in pubblico. Il punto non è che la Cina sia una minaccia militare (quello lo è già). Il punto è che anche il modello cinese, per quanto efficace economicamente, porta con sé problemi che l’Occidente preferisce non vedere.
Prendiamo i dati. La Cina è 75esima nell’Human Development Index delle Nazioni Unite, l’Iran 78esimo, l’India 134esima. Sulla libertà di stampa, la Cina è 178esima su 180 paesi, la Russia 175esima. Come nota Joseph Nye su Project Syndicate, “nessuno dei discendenti di quelle civiltà antiche fa molto bene sui parametri del benessere umano”.
E poi c’è la questione della repressione. Pechino usa il potere statale per soffocare le aspirazioni nazionali in Tibet, Mongolia Interna e Asia Centrale. Ogni lingua e dialetto in Cina viene soffocato dal mandarino. Gli agenti cinesi, secondo l’intelligence occidentale, “rubano su scala massiccia” per acquisire tecnologie all’estero. Non esattamente il profilo di una leadership illuminata.

Il paradosso dei BRICS emerge chiaramente nella loro risposta alla guerra in Ucraina. Come evidenzia l’analisi ISPI, i BRICS condannano gli attacchi ucraini alle infrastrutture russe ma restano in silenzio sui bombardamenti di Mosca. “Un fallimento nel riconoscere l’aggressione militare aperta suggerisce nient’altro che la credenza nel fatto che la forza fa il diritto”.
Nuovo ordine mondiale, l’Europa in mezzo al guado
Von der Leyen si trova davanti a un dilemma che non ha soluzioni facili. Da una parte, gli Stati Uniti di Trump che vedono l’Europa più come un concorrente (diciamo pure una sottoposta) che come un alleato. Dall’altra, una Cina che offre partnership economiche vantaggiose ma a condizioni politiche complicate da accettare (per la sudditanza di cui sopra). E nel mezzo, un’Europa che secondo l’intelligence americana deve “costruire con maggiori risorse finanziarie e industriali il pilastro europeo della NATO” proprio mentre i suoi cittadini chiedono meno spese militari e più welfare.
L’Europa deve combattere, dice Ursula. Se questo proposito rappresenta tentativo europeo di trovare una “terza via” tra l’America first e il modello cinese, siamo davvero alla disperazione.
“l’Europa deve combattere e conquistarsi un posto in un mondo in cui molte grandi potenze hanno nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo o apertamente ostile”. Un po’ come dire che bisogna correre più forte quando si ha il fiato corto.
La strategia europea punta su tre pilastri: autonomia strategica (meno dipendenze), sovranità tecnologica (più ricerca propria) e soft power (più attrattività del modello democratico). Sulla carta funziona. Nella realtà, significa competere con la Cina sui chip mentre si dipende dal gas americano, sviluppare un’industria della difesa mentre si taglia la spesa pubblica, promuovere i diritti umani mentre si fanno affari con chi li viola. Una catastrofe totale.
Quello che von der Leyen non dice
C’è qualcosa che la presidente della Commissione non può dire apertamente, ma che traspare dalle sue parole. L’Europa non ha tanto paura del successo cinese, quanto del fallimento occidentale. E fa bene, perché il modello liberale che ha dominato dal 1989 non è stato sconfitto dai carri armati: si è auto-sabotato.
Le crisi finanziarie ripetute, l’aumento delle disuguaglianze, l’incapacità di rispondere alle sfide globali dal clima alle migrazioni hanno eroso la credibilità dell’Occidente. Un flop in quello che Ugo Tramballi su ISPI definisce
“un periodo tumultuoso per le relazioni internazionali, meno centralizzato e meno governato da principi condivisi”.
La Cina, in sintesi, non ha vinto perché il suo modello è superiore. Ha vinto perché l’Occidente ha smesso di credere nel proprio, e lo ha smontato un pezzo alla volta, nel disprezzo dei suoi cittadini. Da tempo l’Occidente può dare ben poche lezioni di democrazia, e von der Leyen lo sa. Per questo la sua strategia non punta a fermare l’ascesa cinese (impossibile) ma a convincere il mondo che l’Europa può offrire qualcosa di diverso sia dall’America first che dall’autoritarismo con caratteristiche cinesi (due visioni che stanno convergendo, per la verità).
Resta da vedere se l’alternativa UE al nuovo ordine mondiale funzionerà, se le sopravviveremo.
Intanto, però, il mondo sta cambiando. E stavolta, per la prima volta da secoli, l’Occidente non scrive le regole del gioco. Un po’ come scoprire che il gioco che credevi di aver inventato, in realtà lo stavi solo imparando da qualcun altro.
Il nuovo ordine mondiale che tanto spaventa von der Leyen non arriverà domani. Ma i suoi contorni sono già visibili. E forse, la domanda giusta non è se sarà migliore o peggiore di quello attuale: ma se saremo abbastanza intelligenti da adattarci prima che sia troppo tardi.