Un diciottenne muore in un incidente. I genitori cercano di accedere alle sue foto su iCloud, ma Apple blocca tutto. Il fratello prova a recuperare i Bitcoin che custodiva, ma le chiavi private sono sparite con lui. La fidanzata vorrebbe leggere i loro messaggi su WhatsApp, ma Meta risponde con un modulo da compilare e sei mesi di attesa. Nessuno di loro aveva mai pensato che servisse un piano. Nessuno immaginava che la vita digitale potesse sopravvivere al corpo, ma senza istruzioni. Siamo la prima generazione a lasciare eredità digitali sostanziose: account social, portafogli crypto, foto nel cloud, domini web. E anche la prima a non avere idea di come trasmetterle.
Il patrimonio invisibile che lasciamo
L’eredità digitale è un concetto che fino a dieci anni fa non esisteva. Oggi comprende tutto: dalle email ai profili social, dalle criptovalute ai documenti nel cloud, dai domini web agli NFT. Uno studio presentato alla CHI Conference 2025 ha analizzato le percezioni degli utenti riguardo agli “AI Afterlife”, agenti digitali che simulano i defunti. I risultati? Le persone sono divise tra il desiderio di preservare la memoria e la paura di creare dipendenze malsane. Il problema vero però, come dicevo, è che nessuno sta pianificando.
Il Consiglio Nazionale del Notariato italiano ha pubblicato a marzo 2025 un decalogo aggiornato sull’eredità digitale. Il documento sottolinea una verità scomoda: in Italia e in Europa non esiste ancora una normativa organica sulla trasmissione del patrimonio digitale. Le regole cambiano da piattaforma a piattaforma, da paese a paese. Facebook permette di nominare un “contatto erede”, Google ha il “gestore account inattivo”, Apple il “Legacy Contact”. Ma TikTok? Twitter? Le tue crypto? Lì sei praticamente da solo.
Entro il 2070, secondo l’Oxford Internet Institute, i profili Facebook dei morti supereranno quelli dei vivi. Non è un’ipotesi distopica: è semplice matematica. Ogni giorno migliaia di persone muoiono lasciando tracce digitali. Ma solo una minoranza ha pianificato cosa succederà a quelle tracce.
Quando l’identità sopravvive al corpo
Il paradosso è che le nostre identità digitali possono diventare immortali. Come raccontavo in questo articolo, esistono già casi di persone che hanno creato “repliche digitali” dei propri cari defunti usando l’intelligenza artificiale. Nel 2017, James Vlahos creò il “Dadbot”, un chatbot basato sulle registrazioni vocali di suo padre. Nel 2021, Joshua Barbeau usò GPT-3 per ricreare la fidanzata scomparsa. Funziona? Forse. Ma solleva domande più grandi delle risposte.

Eredità digitale, il vuoto normativo italiano
Il testamento tradizionale non basta. Puoi scrivere “lascio il mio account Instagram a mia sorella”, ma se Instagram dice no, tua sorella resta fuori. Le password non sono beni ereditabili in senso giuridico: sono chiavi d’accesso. Il notariato suggerisce due strade: il mandato post mortem exequendum, con cui affidi a qualcuno la gestione dei tuoi dati digitali, o il testamento digitale, dove specifichi chi eredita cosa. Ma qui arriva il problema: le piattaforme hanno sede all’estero, spesso negli Stati Uniti o in Cina. Le loro policy prevalgono sulle leggi italiane. E molte prevedono la chiusura automatica dell’account alla morte dell’utente.
Il GDPR europeo tutela i dati personali dei vivi, ma per i morti? Il Codice della Privacy italiano consente a chi ha un interesse legittimo di esercitare i diritti sui dati dei defunti, salvo divieto espresso. Traduzione: se non hai lasciato istruzioni chiare, i tuoi eredi potrebbero accedere ai tuoi dati. O potrebbero non riuscirci. Dipende.
Le criptovalute: il caso estremo
Le criptovalute sono l’esempio perfetto del caos. Chi possiede le chiavi private possiede i Bitcoin. Se quelle chiavi muoiono con te, i tuoi Bitcoin sono persi per sempre. Non c’è banca centrale da chiamare, non c’è supporto clienti. Secondo alcune stime, tra il 10% e il 20% di tutti i Bitcoin in circolazione sono irrecuperabili perché i proprietari sono morti senza lasciare le chiavi agli eredi. Parliamo di miliardi di dollari evaporati. E il problema si estende agli NFT, ai domini web, agli account con valore economico.

Eredità digitale, cosa possiamo fare ora
La soluzione non è complicata, è solo ignorata. Primo: fai un inventario del tuo patrimonio digitale. Ogni account, ogni password, ogni wallet. Secondo: nomina un esecutore digitale, una persona di fiducia che sa dove trovi tutto. Terzo: usa gli strumenti esistenti. Apple, Google e Facebook offrono opzioni per designare eredi digitali. Usale. Quarto: scrivi un testamento digitale con l’aiuto di un notaio. Specifica chi eredita cosa e come accedere.
Un dato inquietante: secondo la Digital Legacy Association, meno del 5% delle persone ha pianificato la propria eredità digitale. Significa che oltre il 95% di noi lascerà un caos digitale ai propri cari. Non perché siamo irresponsabili, ma perché continuiamo a rimandare.
Il problema non è tecnologico. È culturale. Continuiamo a pensare alla morte come a qualcosa di lontano, che riguarda gli altri. Ma le identità digitali non aspettano. Crescono ogni giorno, si stratificano, accumulano valore. E quando ce ne andiamo, restano lì. Sospese. Inaccessibili. O peggio: accessibili a chi non dovrebbe.
Siamo la prima generazione con identità immortali. È ora di decidere cosa farne.

 
 
